Il viaggio di Rand Paul in Israele

domenica 20 gennaio 2013


Gli statunitensi sono rigidamente monolingui. Non parlano, non comprendono, non scrivono lingue straniere. I pochi che lo fanno, sono indicati a dito come li circondasse un’aura dorata e loro stessi si sentono degli intellettuali sofisticati. Del resto, quando un americano maneggia una lingua straniera di solito si tratta del latino o del greco classico. E l’italiano serve solo a qualcuno per leggere direttamente Dante. Hanno ereditato praticamente tutto dai loro progenitori britannici, e ciò gli basta. Gli italiani, invece, l’inglese lo parlano tutti, per lo più da cani, e infatti normalmente non se ne fanno nulla. Tradotto in politica (sulla tristezza degli scambi culturali stendiamo un velo pietoso), ciò significa che normalmente gli americani non sanno niente delle nostre vicende, e che quel poco che sanno è solo quanto smozzicano in tre frasi i corrispondenti esteri, che però sarebbe come pensare che Giovanna Botteri è un’autorità sugli Stati Uniti. Gli italiani, invece, pensano di sapere tutto di Oltreoceano solo perché conoscono il ritornello di qualche loro canzonetta. Nel mezzo, la vera politica sia dell’Italia sia degli Stati Uniti prosegue imperturbabile il proprio corso, e pochi sanno cosa davvero ciò comporti.

La settimana scorsa il Sentore repubblicano del Kentucky Rand Paul ha compiuto un viaggio in Israele. Negli Stati Uniti è stata la notizia del giorno per giorni, un viaggio seguito in presa diretta passo dopo passo mentre da noi nessuno se n’è accorto. Giusto, dirà qualcuno, mene interne che non c’interessano. Sbagliato invece. Rand Paul, per chi non lo ricordasse, cioè i più, è stato nel 2010 una delle punte di diamante politiche dei Tea Party, un beniamino del loro popolo, un artefice del loro successo alla Camera dei deputati nelle elezioni di “medio termine” di quell’anno. Rand Paul è un nemico giurato degli scialacqui pubblici, delle tasse esagerate, delle elefantiasi statalistiche, insomma è un libertarian tetragono. Eletto alla Camera, è stato subito protagonista del “Tea Party Caucus” dentro quell’assise, ovvero la “commissione” informale di eletti proveniente dai Tea Party e decisi a rappresentarne senza compromessi le istanze dentro il Congresso. La crescita di Rand Paul è stata magari lenta, ma continua, concreta, sensibile. Rand Paul è inoltre, notoriamente, figlio di Ron Paul, l’ultrà libertarian che all’età di 77 anni ha corso nel 2012 l’ultima sua campagna presidenziale totalizzando un successo di gradimento pubblico mai conosciuto prima. I due Paul, Rand figlio e Ron padre, da buoni libertarian, si portano dietro anche un bel bagaglio “isolazionista”.

Aborrono le imprese militari all’estero, le spese per la Difesa che crescono vorticosamente, la perdita di libertà concreta per i cittadini che uno Stato gendarme comporta sempre. Ron Paul ha cercato la nomination repubblicana e così ha guadagnato numeri enormi, segno evidente che è assai meno marziano di quanto certuni vorrebbero dipingerlo. Così configurati, Ron e Rand non sono però affatto dei pacifisti nel senso sinistro che (giustamente) attribuiamo al termine. Sono invece totalmente favorevoli, come ogni buon libertarian, al libero possesso personale di armi da fuoco, esattamente come stabilisce la Costituzione federale americana a norma di diritto naturale. Anzi, Ron Paul, in campagna elettorale, ha chiarito benissimo che un conto è la difesa legittima di un Paese, un conto l’aggressione indebita a un altro; un conto l’interesse nazionale vero, un altro quello che viene solo spacciato come tale; un conto un esercito, un altro un’armata imperialista.

Infine, da buoni libertarian che credono nel diritto naturale e nella legge divina che lo fonda, Ron e Rand sono due cristiani (protestanti) convintissimi, quindi due antiabortisti irriducibili con cognizione persino biologica di causa, essendo Ron, il padre, un ginecologo prestato alla politica e Rand, il figlio, un oftalmologo professionista. Anche lui tanto prestato bene alla politica che, sull’onda del successo del padre, di cui condivide la maggior parte del programma, e forte del successo personale che da due anni miete dentro il Congresso, sta forse pensando di correre per la Casa Bianca nel 2016. L’enorme interesse per il suo viaggio in Israele si spiega così. Rand Paul, in corsa per la Casa Bianca, non è infatti acqua fresca. Per molti versi, Paul jr. è un uomo capace di scompaginare schemi vecchi e logiche logore. Di far lievitare appropriatamente l’impasto fra libertarianism e conservatorismo socio-culturale; se forse non a vincere, può comunque mirare a ottenere successi condizionanti e pesanti. Hai infatti la physique du rôle per studiare da concentrato del meglio dei migliori Repubblicani apparsi di recente sulla scena, di ricapitolare e di rilanciare l’immarcescibile eredità reaganiana, nonché di portare all’ultima fase la trasformazione interna del Partito Repubblicano americano, da formazione ondivaga a squadra conservatrice.

Solo che il libertarianism e l’allure “isolazionista” di uno come Rand Paul si portano dietro pure gl’immancabili sospetti di ostilità verso Israele, se non addirittura di antisemitismo. Certo tutti sanno, così come però tutti pure scordano, che antisemitismo, antigiudaismo e antisionismo sono realtà assai diverse; epperò nessuno può negare che il Novecento ha avviluppato l’una cosa dentro l’altra, rendendo alla fine l’elemento razzistico praticamente indistinguibile dalla critica di natura teologica e dalla lotta politica. Ancorché sia sempre opportuno, quindi, distinguere fra le tre diversissime cose, nessuna persona di buon senso può oggi pensare di lanciarsi in una delle tre, soprattutto nella seconda e nella terza, l’antigiudaismo teologico e l’antisionismo politico, immaginando di non passare anche da antisemita razziale. Ora, tutto questo, anche solo partendo dal mero dato politico, pesa oggettivamente su Rand Paul e sulla sua possibile candidatura ai vertici politico-istituzionali del Paese nordamericano. Il primo a saperlo è proprio lui, Rand Paul.

Il quale infatti sta facendo di tutto per convincere il mondo, Israele e Stati Uniti in primis, che presentarsi con un programma politico solidale con quello di suo padre Ron non significa affatto essere degli antisemiti. Antisemita non è mai stato nessuno dei due Paul, né il padre, né il figlio, e solo uno sciocco potrebbe insinuarlo, subendone però le conseguenze. Epperò il loro anti-imperialismo suona male a chi, fra gli statunitensi, fra gli ebrei americani e dentro il Partito Repubblicano, lo traduce subito e sine glossa in ostilità verso Israele. Ecco dunque il senso del pellegrinaggio alla Canossa israeliana di un Rand Paul (che però non ha nulla da farsi perdonare, solo sospetti da allontanare) con la kippah in capo. Deve convincere, non di non essere antisemita, ché nessuno lo pensa, ma di non essere ostile a Israele quando critica il ruolo degli “Usa gendarmi del mondo”, quando distingue fra interesse nazionale e avventurismo bellico, quando dice che aiutare economicamente troppo Israele e condizionarne sempre e in ogni caso la politica fa male anzitutto a Israele, Paese di cui Rand Paul non perde, né in patria né fuori, occasione per dirsi irriducibile amico e fedelissimo alleato. Non ha ancora convinto tutti, ovviamente, ma è sulla buona strada. Perché nutre prospettive di lungo termine, prepara adeguatamente le mosse, studia bene gli avversari, conosce gli amici e sa quanto può essere carogna l’informazione. Il percorso è lungo, Rand Paul ci si è appena incamminato, ma già muove adeguatamente un passo dopo l’altro. Se vince la propria scommessa, Rand Paul sarà riuscito in un numero politico-culturale che molti attendono da tempo.

da “Italia Domani”


di Marco Respinti