Egitto: il nemico della democrazia non è Al Sisi, ma la Fratellanza Musulmana

Criticare l’Egitto di Al Sisi è divenuta pratica sovente su blog e quotidiani, nazionali ed europei. Ma in Italia l’attenzione verso il Cairo è certamente più elevata, a causa dell’infinitamente grave e purtroppo tuttora irrisolto caso Regeni.

Guardare oggi a quella che fu la terra de faraoni con gli occhi della democrazia, della libertà e del pluralismo non può non portare a considerazioni negative circa il corso che gli eventi hanno assunto dopo la tragica esperienza della Primavera Araba. Tuttavia, si registra la tendenza diffusa a mirare il proprio disappunto in un’unica direzione, quella di Al Sisi, dimenticando tutto il resto o non includendolo appieno nella disamina dell’attuale situazione egiziana.

Tutto il resto ha un nome ben preciso ed è quello della Fratellanza Musulmana. Anche nei rari casi in cui la Fratellanza Musulmana viene menzionata da analisti e commentatori, la sua esistenza è ridotta a un mero dato di cronaca, fornito per aggiungere qualche battuta in più ad articoli scarni, privi di analisi che aiutino il lettore a decifrare la complessità dello scenario. Quindi ci si limita a ricordare brevemente il rovesciamento del Presidente Morsi, quello della “primavera democratica”, a cui è seguito il ritorno al potere dei militari, colpevoli di aver riesumato un regime ancor più duro di quello di Mubarak. Nulla più.

Fiumi d’inchiostro e mira ad alzo zero quando invece si tratta di gridare allo scandalo per le telecamere che una recente legge ha reso obbligatorie dentro e fuori i locali pubblici, in particolare bar e ristoranti. L’incremento della sorveglianza, si sottolinea immancabilmente, è dovuto non a ragioni di prevenzione anti-terrorismo ma di repressione degli oppositori.

Per gettare luce sul lato che resta (volutamente?) oscuro della vicenda, va allora messo in chiaro che terrorismo e dissenso in Egitto vanno a braccetto e portano il nome ancora una volta della Fratellanza Musulmana, non quello del “Grande Fratello” che si accusa l’amministrazione Al Sisi di voler stabilire.

Pur essendo stati messi nuovamente fuori legge e con i principali leader della “primavera democratica” in prigione, la Fratellanza Musulmana in Egitto resta attiva attraverso il terrorismo che colpisce anche i cristiani, il proselitismo clandestino e i canali cibernetici, dove cavalca diffusamente il dissenso democratico già sfruttato in precedenza per andare al potere con l’obiettivo d’imporre la propria dittatura ideologica islamista.

Il dissenso democratico, quello autentico, dovrebbe allora comprendere – definitivamente –  che il cambiamento non può avvenire né con e né attraverso la Fratellanza Musulmana e che fare di Al Sisi il nemico assoluto produce solo un ulteriore irrigidimento della situazione, che è ciò che la Fratellanza Musulmana più vuole per mantenere alta la tensione sia interna che internazionale nei confronti dell’attuale leadership.

Le cinque copie de “I detti di Hassan Al Banna”, sequestrate alla Fiera del Libro del Cairo solo qualche giorno fa, dimostrano come il messaggio islamista sia sempre in agguato, pronto a riemergere in superficie non appena se ne presenti l’opportunità.

É un episodio questo che offre la misura dell’ansia che attanaglia l’Egitto nei confronti della Fratellanza Musulmana, che non ha smesso di coltivare le sue ambizioni di conquista con il supporto della Turchia di Erdogan e del Qatar. È un’ansia condivisa con i paesi con cui l’Egitto forma il cosiddetto Quartetto arabo contro il terrorismo, vale a dire Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, che hanno tutti direttamente fronteggiato e respinto tentativi di sovversione interna guidati dalla Fratellanza Musulmana.

Pertanto, se gli attivisti per i diritti umani occidentali intendono offrire un buon servizio alla causa della democrazia, della libertà e del pluralismo perorata dai loro colleghi egiziani, dovrebbero ricentrare la mira per colpire non Al Sisi, ma la Fratellanza Musulmana.

Aggiornato il 29 gennaio 2019 alle ore 11:12