Italia fondamentale per gli equilibri del Libano

Organizzato dal gruppo italiano della Societé Internationale de Droit Militare et de Droit de la Guerre si è svolto a Roma il convegno su “Rafforzamento delle libertà formali e sostanziali della pace in Libano”, occasione per fare un punto di situazione su un Paese da anni afflitto da molte avversità. Sin dalla sua nascita diverso dagli altri Paesi del Medio Oriente, il Libano ha rappresentato una eccezione nella regione per la sua configurazione sociale, politica ed economica dove, anche grazie al pluralismo religioso e culturale, libertà di stampa, istruzione, ricerca scientifica, funzionalità del settore bancario, attività artistiche hanno da sempre raggiunto livelli insperabili in altre società dell’area.

Modello reso possibile anche da una Costituzione laicizzata sin dal 1926 come quella turca e da una società multiconfessionale dove i musulmani, divisi tra sciiti, sunniti, drusi, ismailiti, alawiti costituiscono circa il 60 per cento della popolazione e i cristiani sono circa il 40 per cento con una componente cattolica a sua volta divisa tra maroniti, melkiti, cattolici romani e di rito armeno. I maroniti sono il più grande fra i gruppi cristiani e hanno tradizionalmente avuto grande influenza sul governo libanese. Le figure istituzionali sono attribuite in modo da garantire a rotazione una equa ripartizione, con l’unica eccezione del Premier sempre di estrazione sunnita.

Da molti anni la situazione è cambiata, il Libano si è impoverito e negli ultimi mesi – al collasso economico e allo stallo politico – si è aggiunto il dramma del Covid e della parziale distruzione della capitale, causata dall’esplosione del porto di Beirut in circostanze non ancora del tutto chiarite. La svalutazione della lira libanese nei confronti del dollaro ha allargato la forbice tra i ricchi e i poveri. Inoltre, un sondaggio ha rivelato che tre quarti delle famiglie in Libano non hanno sufficienti risorse per soddisfare bisogni essenziali come cibo, abitazione, cure mediche e istruzione.

Da qui sempre più frequenti ribellioni dei cittadini contro l’élite al potere con il pericolo dell’estensione della presenza di Hezbollah, milizia sciita ben lontana dagli schemi della politica tradizionale che funge da ammortizzatore sociale mediante la distribuzione di cibo e beni essenziali nei villaggi nel sud del Paese, ove riceve maggior consenso. Come ha ben spiegato il comandante della missione Onu presente in Libano, il generale Stefano Del Col, le politiche di Hezbollah non sono mai state del tutto accettate dalla maggioranza dei libanesi, a causa del militarismo del gruppo, dei suoi processi decisionali esterni al sistema statale, e dei suoi stretti legami con l’Iran e la Siria. Soprattutto è visto come la causa della lenta corrosione dell’integrità del Paese tanto da imporre nel territorio una forza multinazionale da parte dell’Onu.

Il Consiglio di Sicurezza, infatti, a seguito di ripetuti attacchi di Hezbollah a Israele e della conseguente pesante risposta militare di quest’ultimo, nel 2006 adottò la risoluzione 1701 con l’obiettivo di far cessare le ostilità con la supervisione di una forza multinazionale che garantisse altresì il rispetto di una linea di demarcazione tra i due Paesi, denominata Blue Line. La risoluzione, accettata sia dal governo libanese che da quello israeliano, ha consentito un lungo periodo di assenza di ostilità e un dialogo che ancora prosegue con negoziati politici tra Israele e Libano per dirimere alcuni punti contesi tra cui, come precisato dal generale Del Col, tredici aree reclamate come proprie dal governo di Beirut e la definizione dell’angolo di confine marittimo. La forza multinazionale è composta da 10.500 militari appartenenti a 46 nazioni diverse e per la quarta volta è sotto il comando italiano. In questo caso, il comandante deve possedere doti di abile diplomatico per poter garantire il delicato equilibrio tra le parti. È una responsabilità molto pesante sulle spalle italiane, finora avvalorata da concreti successi ma soprattutto dalla consapevolezza che se il Libano dovesse crollare si aprirebbe una crepa in tutto il Medio Oriente, previsione che non si vuole neppure sfiorare. Mentre sul fronte internazionale la situazione può essere considerata sotto controllo, è quindi il fronte interno a destare le maggiori preoccupazioni. La recente fase caratterizzata dalle continue rivolte popolari dovute alla minor fiducia in una classe politica considerata non idonea a gestire la sfera pubblica e causa della grave crisi economica, non si sa dove porterà.

È poi giunta la notizia che anche in Israele regna l’incertezza e il premier Benjamin Netanyahu ha comunicato al presidente Reuven Rivlin l’ulteriore fallimento delle trattative per formare un governo rimettendo nelle sue mani il mandato. I due Paesi in eterno conflitto stanno vivendo, pertanto, una crisi politica che rende ancor più difficile l’attività di mediazione del comandante italiano. La parte più vulnerabile resta comunque il Libano e si auspica che chiunque riuscirà a formare il futuro governo dovrà tenere conto delle istanze dei movimenti di protesta, e intraprendere serie iniziative di riforma che possano sbloccare gli aiuti internazionali di cui il Paese ha bisogno. Un ulteriore stallo politico potrebbe far riempire il vuoto da Hezbollah e allontanare così il Paese da ogni sostenitore straniero.

La Comunità internazionale ha il dovere di seguire la situazione e anche convegni come quello organizzato dal procuratore generale Maurizio Block, presidente del gruppo italiano della Societé, possono contribuire a far sentire a quel popolo la nostra vicinanza.

Aggiornato il 06 maggio 2021 alle ore 09:46