Sahel: la “zona rossa” dei giornalisti

Il Sahel oltre ad essere ricco di miniere aurifere e luogo di proliferazione del jihadismo, è anche diventato “zona rossa” per i giornalisti. Non è stato mai semplice, per gli addetti all’informazione che operano in questa area, penetrare tra le maglie di una società gelosa delle proprie “intimità”, ed oggi timorosa e soggiogata, ma a volte, anche se apparentemente accessibile, rivelatasi poco affidabile.

I vari movimenti che fanno riferimento ai più disparati gruppi jihadisti, stanno lentamente “sigillando” vaste aree, diventate ormai interdette a chiunque non sia affiliato o utile alla “causa”, oltre ad essere estremamente pericolose per chi tenta di penetrarvi. Non si contano le aggressioni, le uccisioni e i rapimenti che si verificano in questa area sub sahariana, ricordando il sequestro e l’assassinio di due giornalisti spagnoli e un l’irlandese avvenuti solo alcuni giorni fa. In questo difficile ambito, l’8 aprile è stato rapito, a Gao nel nord del Mali, Olivier Dubois, un giornalista freelance che lavora per i quotidiani Le Point Afrique e Liberation.

Gao è una di quelle città perennemente offuscate da sabbia e polvere, sorta in mezzo al deserto, e che si “abbevera” nel fiume Niger. Il rapimento di Dubois aveva allertato subito la struttura antiterroristica del Mali, in appoggio ai meno apparenti e poco “formali” servizi francesi. Molto si è chiarito, circa la scomparsa del giornalista, la notte tra il 4 ed il 5 maggio, quando è stato trasmesso un video, girato in una tenda, della durata di ventuno secondi; tale filmato presenta il giornalista seduto a gambe incrociate, che recita un breve messaggio davanti alla telecamera. Il giornalista si appella alla sua famiglia, ai suoi amici e alle autorità francesi, affinché facciano “tutto ciò che è in loro potere” per liberarlo.

Il gruppo islamico autore del rapimento è stato identificato nel Gsim, Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani, una filiale locale di Al-Qaeda, che attualmente risulta molto attivo nella zona tra Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad. Dopo l’8 aprile, il Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri francese, sicuramente anche nel tentativo di gestire strategicamente la “questione”, aveva attuato una tattica informativa basata sulla prudenza, ma dopo il video trasmesso la notte del 4 maggio, il giorno successivo ha rotto il silenzio ufficializzando il temuto rapimento, ovviamente scontato da tempo, da coloro che conoscono le dinamiche della zona saheliana.

Ma cosa faceva in Mali Olivier Dubois? Il giornalista vive da sei anni in questa area dove gestisce una rubrica, discretamente affermata, e conosciuta anche negli ambigui ambiti jihadisti. Furono questi contatti con l’estremismo islamico che lo spinsero a proporre a Liberation, di pubblicare una intervista con un capo dell'organizzazione islamista e capo del Gsim a Gao, Abdallah Ag Albakaye, figura intermedia nella gerarchia del Gsim, ma “autocrate” nell’area di Talataye, ubicata nella zona di Ansongo nella regione di Gao. Risulta però che i responsabili di Liberation rifiutarono l’intervista, giudicandola troppo rischiosa. Dubois, visti i suoi contatti anche all’interno del labirinto dei vari gruppi armati anarcoidi non jihadisti, aveva già fatto una intervista giudicabile ad “alto rischio differito”; infatti poco prima dell’8 aprile aveva pubblicato, su Le Point Afrique, un’intervista con Youssouf Toloba, il leader della milizia di autodifesa dei cacciatori del Dogon, fondata nel 2016 in Mali, denominata Dan Na Ambassagou.

L’organizzazione di autodifesa potremmo definirla una milizia anti-jihadista, infatti è nata con lo scopo di combattere i gruppi estremisti islamici, presenti nel Mali centrale, a qualsiasi “etichetta” appartengano. I cacciatori del Dogon vengono accusati di avere commesso massacri ai danni degli appartenenti all’etnia Fulani, in quanto ritenuti “collaborazionisti” dei jihadisti, in questo caso del gruppo salafita jihadista denominato Katiba Macina, guidato dal predicatore Amadou Koufa.

Tuttavia, va notato che nel video trasmesso non c’è bandiera, non si notano iscrizioni in arabo, ma soprattutto è evidente che è stato prodotto affiche possa raggiungere i destinatari previsti. Al momento non si può escludere l’ipotesi che si tratti di uno dei numerosi gruppi autonomi e anarchici, magari legati blandamente al Gsim, il cui obiettivo è quello di “vendere” un ostaggio al “miglior valore di mercato”. Come sappiamo questa è una pratica comune dei piccoli gruppi di criminali che sopravvivono con il traffico delle armi, di esseri umani, di droga e di ostaggi.

Il Gsim (affiliato ad Al-Qaeda), conosciuto con l’acronimo in arabo Jnim, è guidato da Iyad Ag Ghali, un Touareg del Mali; l’altra organizzazione è lo Stato Islamico nel Grande Sahara. Presumibilmente il precedente incontro di Olivier Dubois con Youssouf Toloba, nemico dei jihadisti, non ha influito positivamente nella tessitura dell’incontro con Abdallah Ag Albakaye membro del Gsim, né tanto meno sull’ambiente jihadista. Per Parigi, Iyad Ag Ghali rimane il nemico da combattere; questo è un punto di  divergenza di vedute con Bamako che ritiene che il gruppo Katiba Macina, affiliato al Gsim di Iyad Ag Ghali, può essere un interlocutore valido per le trattative per la liberazione di Olivier Dubois.

Ricordo che Katiba Macina, guidato da Amadou Koufa, è un gruppo prevalentemente composto da Fulani, uno dei principali gruppi etnici dominanti nella regione. Come possiamo immaginare una trattativa su queste basi è estremamente delicata, tuttavia l’unico punto chiaro è l’interesse economico, che sovrasta ogni ideologia ed ogni valore, sia etnico che religioso.

Aggiornato il 10 maggio 2021 alle ore 12:23