Afghanistan: strage di studentesse

L’Afghanistan è una di quelle nazioni dove “l’Occidente” sperimenta l’inutilità e l’utopia di poter prendere accordi con i movimenti jihadisti locali. La dimostrazione è l’attacco ad un liceo femminile di Kabul, verificatosi domenica, che ha provocato più di 50 morti, la maggior parte delle quali ragazze appartenenti alla comunità sciita Hazara. Tale violenza “settaria” è una consuetudine in Afghanistan, anche se questa volta arriva nello scenario del ritiro degli Stati Uniti dal Paese e nella consapevolezza della possibile conquista del potere da parte dei talebani, oggi estremamente forti ed influenti.

La realtà è che dietro “finti accordi”, come quello sottoscritto a Doha il 29 febbraio 2020, tra la “diplomazia” Usa, rappresentata dal capo negoziatore Zalmay Khalilzad (era presente anche l’allora responsabile della diplomazia Usa, Mike Pompeo), ed il rappresentante politico dei Talebani, Abdul Ghani Baradar, non esisteva una concreta possibilità che potessero essere efficaci e duraturi. Infatti, nonostante l’apparente valore storico di una stretta di mano tra il “guardiano” del Pianeta (Usa) ed i talebani, espressione ideologica di una complessa combinazione tra i principi della shari’a e la tradizione pashtun, espressa dalla dottrina pashtunwali, era evidente la certezza di una totale inaffidabilità dell’interlocutore afgano.

Tuttavia definii, allora, l’accordo “ferale” ed un pericoloso precedente l’avere avviato una trattativa con gruppi estremisti che hanno annoverato tra le loro fila Osama bin Laden e altri leader jihadisti, “esaltati” da una interpretazione dell’islam sunnita con “caratteristica” deobandi (scuola giuridica di Abu Hanifa), e che fanno del terrore lo scopo della loro esistenza. Inoltre, è quantomeno “diplomaticamente bizzarro” immaginare che senza un continuo e cospicuo foraggiamento economico tali convenzioni possano rendere valida una tregua minimamente duratura. Soprattutto va considerato che “l’anello debole”, della famigerata intesa di Doha, era che gli Usa sono stati al tavolo delle trattative con un gruppo terroristico e non con i rappresentanti del Governo afghano, ovviamente non firmatario, anche se tenuto sterilmente al corrente dei negoziati.

Ricordo che il contenuto del “patto”, che univa sia il “pensiero” di Barack Obama che di Donald Trump, prevedeva un graduale ritiro militare Usa dall’Afghanistan, in cambio i Talebani non avrebbero più sostenuto i gruppi jihadisti parcellizzati a livello internazionale. L’accordo di Doha, sottoscritto tra nemici, ad oggi si presenta come una sconfitta sia per Washington che per gli alleati della Nato. Ma quali sono stati, secondo i Talebani, le parti non rispettate del patto e che hanno motivato la strage delle studentesse? Essenzialmente potremmo circoscriverli nei seguenti punti: il primo è che le truppe Usa si sarebbero dovute ritirare entro la data convenzionale del primo maggio, ciò è stato sottolineato la settimana scorsa, dal leader talebano Mullah Hebatullah, che ha aggiunto, avvertendo Washington, che la violazione degli accordi, compreso il mancato rilascio dei talebani imprigionati e la mancata revoca delle sanzioni contro alcuni leader, avrebbero avuto delle conseguenze gravi.

Così il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha calendarizzato il ritiro totale dei suoi soldati l’11 settembre (data pesante), ma secondo altre informazioni, il generale Austin Scott Miller, capo delle truppe americane e comandante della missione Resolute Nato support, ha informato i suoi comandanti che dovranno sgomberare il 4 luglio (altra data non comune), per non “esporre inutilmente le truppe”. Dopo le tre auto bomba fatte esplodere domenica, con una sequenza atroce, i talebani lunedì hanno annunciato un cessate il fuoco di tre giorni per l’Eid-al-Fitr (festa interruzione digiuno), che scandisce la fine del Ramadan.

Tuttavia, questa occasionale tregua per i talebani non cambia nulla; per loro gli Stati Uniti hanno tradito l’accordo firmato a Doha il 29 febbraio 2020, la cui non osservanza ha causato, la strage. Comunque, anche se in Afghanistan gli osservatori, afgani e internazionali, stanno ora aspettando una diffusa offensiva talebana, magari motivata dall’ovvio fallimento degli accordi di Doha, forse il fatto che le vittime siano ragazze dai 13 ai 18 anni, istruite e sciite del gruppo etnico Hazara, già potrebbe destare perplessità sulle motivazioni di tale massacro. Ricordo che l’Afghanistan negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, era “illuminato” dalla “Libertà”, le ragazze studiavano e si abbigliavano alla moda occidentale; ora le figlie e le nipoti di quelle ragazze sono fantasmi oppressi sotto la pesante prigione del burqa che annichilisce la loro identità.

Aggiornato il 12 maggio 2021 alle ore 09:57