Burkina Faso: virus dell’estremismo islamico

L’area dei tre confini (Burkina Faso, Niger e Mali) ma in generale tutta la striscia del Sahel da tempo è sotto la pressione dell’estremismo islamico. Diversi gruppi armati di stampo islamista “operano”, senza grossi ostacoli, nell’area centro-occidentale dell’Africa; tra questi ricordo l’organizzazione dello Stato islamico nel Grande Sahara, che è il principale punto di riferimento nell’ambito terroristico, il Gruppo di supporto per l’Islam e i musulmani, che è affiliato ad Al-Qaeda, ed altre bande minori anch’esse jihadiste ma con tendenze anarchiche.

La deriva sociale che questi “virulenti” e orami arroganti gruppi estremisti islamici portano su questi territori sta trasformando le tradizioni e i modi di vita, basati su canoni tribali e in alcuni casi con forme di convivenza relativisticamente democratiche, in complesse realtà dove regna la legge del terrore, la sharia e la zakat (tassa religiosa), che sono applicate e fatte osservare con assoluta violenza e intransigenza. Così vediamo che le donne sono obbligate ad indossare il velo, gli uomini a farsi crescere la barba con i tipici “segnali” dell’islamizzazione, avvertendo che ai ladri saranno tagliate le mani. Le donne accusate di adulterio subiranno la lapidazione e la fustigazione, con tutte le conseguenze a carattere sociale come alienazione, isolamento, o inserite in un contesto di “mercato”.

Tra venerdì e sabato della settimana scorsa nel piccolo agglomerato di Solhan, in Burkina Faso, situato a una quindicina di chilometri da Sebba, capitale della provincia di Yagha, al grido di “Allah Akbar” e nel frastuono degli spari dei kalashnikov, così riferiscono le testimonianze dei sopravvissuti, si è celebrata l’ennesima carneficina ai danni di circa 160 poveri abitanti del villaggio. I corpi, di cui circa venti erano bambini, sono stati sepolti dalla popolazione locale in tre fosse comuni. È stato l’attacco più mortale mai registrato nel Paese dall’inizio della violenza jihadista nel 2015. I gruppi estremisti islamici della zona fanno riferimento prevalentemente ad Al-Qaeda, sia dal punto di vista “associativo” che da quello organizzativo e logistico.

Ma quali sono le motivazioni che spingono questi gruppi terroristici a sottomettere queste popolazioni? Tutte le risposte si inseriscono nel quadro del “controllo” di questa area e gli attacchi sono mirati per primo a annichilire i “Vdp”, ovvero i “Volontari per la difesa della Patria”, creati nel dicembre 2019 e composti da civili reclutati e addestrati dall’esercito per combattere il terrorismo, per poi poter impadronirsi e saccheggiare le miniere d’oro disseminate nei pressi di questi villaggi, come accaduto a Solhan.

L’attacco dei terroristi, chiaramente di stampo islamista, dove però i principi religiosi, nonostante l’ostentazione di una soggettiva interpretazione, sono estranei, è stato descritto dai sopravvissuti con l’arrivo di un gruppo di uomini “in turbante” e vestiti “in abiti militari”, con i soliti pick-up con mitragliatore e motociclette, che hanno iniziato a distruggere le basi dei Vdp e uccidere i suoi membri, per poi accanirsi su chiunque era nei paraggi, con brutalità assoluta. L’ospedale di Sebba è ancora in forte emergenza per le condizioni gravissime dei feriti.

“Gli sfollati continuano ad arrivare, non abbiamo abbastanza rifugi per accogliere tutti” ha riferito un operatore umanitario. Nonostante i forti investimenti della Comunità internazionale presente con ingenti forze militari nella regione, la risposta militare promessa dal presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kaboré, l’indignazione del Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres e la solidarietà espressa dal capo della diplomazia francese, Jean-Yves Le Drian, le varie forze di sicurezza non riescono ad arginare la spirale di violenza jihadista che dal 2015 ha causato circa 1.500 morti e più di un milione di sfollati.

Dal 5 maggio, di fronte all’impennata degli attacchi jihadisti, le forze armate di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, coordinate e supportate da truppe internazionali, hanno lanciato una grande operazione nelle regioni del nord del Sahel; ma la presenza di importanti miniere d’oro e tutto il sistema di affari ad esse collegato rafforza la spregiudicatezza e la volontà dei gruppi terroristici di dominare parti di questa regione e la collettività lì presente, che già in parte vive sotto il giogo dei terroristi. A oggi, dei 18 villaggi presenti nell’area infestata dai jihadisti, sei sono sotto il loro controllo e con essi anche svariate miniere d’oro.

Aggiornato il 11 giugno 2021 alle ore 10:47