La salute mentale in Afghanistan

Questo articolo è dedicato ad una tragedia umanitaria, quella di un Afghanistan “dimenticato”, con particolare riguardo alle problematiche appartenenti al sistema sanitario e, più nello specifico, al settore “materno-infantile”. L’attenzione pubblica giustamente è puntata sul “ritorno” nel Paese dei Talebani e viene sottovalutato il collasso dell’intero sistema, ove si intrecciano problematiche inerenti l’istruzione, le violazioni dei diritti umani e il già citato dramma delle mine antiuomo e dei rifugiati. È un contesto che ha visto le donne penalizzate in maggior misura anche per l’esistenza di leggi e tradizioni locali che impongono loro un vero isolamento sociale e le privavano dei diritti umani fondamentali, primo tra tutti quello alla salute. Dopo che gli Stati Uniti hanno ritirato la maggior parte delle loro forze rimanenti, i talebani hanno accelerato la loro campagna militare e hanno preso il controllo della capitale, Kabul, il 15 agosto. I donatori internazionali, tra cui la Banca mondiale e l’Unione europea, hanno congelato i loro finanziamenti per l’Afghanistan poco dopo.

Oltre a condividere il triste primato tra i Paesi con le peggiori condizioni sanitarie nel mondo, l’Afghanistan deve oggi far fronte a una crisi invisibile ma capace di lasciare cicatrici profonde e indelebili: la grave sofferenza mentale prodotta da anni di conflitti e di repressione. Un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità pubblicato nel novembre 2001 già lanciava l’allarme sulle condizioni di disagio mentale di circa 5 milioni di afghani, classificando quello della salute mentale come il maggiore problema sanitario del Paese nonché un gravoso ostacolo per la ricostruzione futura. Eccidi, esecuzioni pubbliche, perdita dei cari, abbandono forzato della propria terra, convivenza obbligata con le mine antiuomo e gli ordigni esplosivi che rappresentano il retaggio del terrore dei precedenti conflitti sono solo alcuni dei fattori traumatici che hanno gettato le popolazioni locali in un clima di paura e disperazione, terreno fertile per la diffusione di gravi disagi mentali.

Non è possibile fotografare con precisione la situazione psichiatrica in Afghanistan perché non esistono dati aggiornati: in base alle statistiche mondiali che indicano che il 3 per cento della popolazione, in condizioni normali, è affetta da gravi disturbi mentali in un dato momento della vita, è possibile dedurre che centinaia di migliaia di Afghani siano affetti da patologie psichiatriche molto gravi, in un ambiente dove non è possibile ricevere alcun tipo di trattamento specifico. Altre ricerche dimostrano inoltre che nelle aree di conflitto il 10 per cento degli individui sottoposti ad esperienze traumatiche presenta disturbi mentali gravi, mentre un altro 10 per cento è destinato a sviluppare un comportamento in grado di compromettere la capacità di svolgere una vita normale. Secondo un sondaggio dell’Unione europea del 2018 – sempre riportato da Hrw – l’85 per cento della popolazione afghana ha vissuto o assistito ad almeno un evento traumatico (la media è quattro). La metà degli intervistati ha avuto un disagio psicologico, con uno su cinque afghani “compromessi nel loro lavoro a causa di problemi di salute mentale”. Hrw stessa ha effettuato delle interviste a 21 afghani – 14 uomini e 7 donne – residenti nelle province di Kabul, Kandahar e Herat, che avevano subito un disagio psicologico dopo l’esposizione diretta alla violenza legata al conflitto, come attacchi suicidi, bombardamenti aerei, combattimenti a terra e vittime di munizioni inesplose. L’Oms afferma che il Paese ha all’incirca un solo psichiatra per ogni 435mila persone e uno psicologo per ogni 333mila persone, e soli 200 posti letto disponibili nelle strutture pubbliche dedicate alla salute mentale. Inutile dire che sono soprattutto le persone più povere che abitano nelle zone rurali, a soffrire della mancanza di servizi.

Può succedere che il trattamento di problemi di salute mentale venga affidato a figure religiose spesso mal equipaggiate per assistere adeguatamente le persone che soffrono di stress psicosociale e che talvolta contribuiscono a diffondere credenze stigmatizzanti, come l’idea che le persone con condizioni di salute mentale siano possedute da spiriti maligni. Per non parlare di una pratica, che ancora persiste, di portare e internare i sofferenti mentali nei santuari. Prassi dettata non solo da superstizione ma più sovente dall’impossibilità economica per molte famiglie di farsi carico di un onere così grande, nella totale assenza di supporti, informazione e servizi. Secondo le Nazioni Unite, nei primi nove mesi del 2019, i bambini hanno rappresentato il 77 per cento delle vittime civili a causa di armi esplosive. Questo quotidiano rischio mortale ha un profondo impatto sulla salute mentale dei più piccoli che spesso sono testimoni di atti di estrema violenza e devono affrontare lesioni traumatiche che spesso hanno ripercussioni gravissime sulla loro vita. L’imperativo categorico attuale e futuro della comunità internazionale deve essere quello di non sottovalutare l’importanza dei problemi di salute mentale, ma di impegnarsi ad affrontarli in modo adeguato.

 

Aggiornato il 21 settembre 2021 alle ore 16:22