Elezioni in Russia: vince Putin ma avanzano i neo-stalinisti

E anche stavolta, in Russia, il cambiamento è rimandato a domani. Che in quel Paese ci siano degli oggettivi problemi relativi alla democrazia e allo stato di diritto è cosa nota a tutti, ma mai ci si aspetterebbe di vederlo rischiare di cadere, come si suol dire, dalla padella alla brace. Si sono, infatti, concluse le elezioni per il rinnovo della Duma, il Parlamento russo. Com’era prevedibile, il partito di Vladimir Putin, Russia Unita, di orientamento nazional-conservatore, ha vinto con il quarantotto percento dei suffragi. Nonostante queste cifre garantiranno all’attuale presidente della Federazione la maggioranza dei seggi parlamentari, sufficiente per non dover spartire il potere con nessuno, e sebbene il risultato auspicato dagli strateghi del Cremlino siano stati raggiunti, il partito esce abbastanza ridimensionato rispetto alle scorse tornate elettorali. Ora, secondo alcuni, il partito di governo avrebbe volutamente scelto di evitare i brogli e le manipolazioni, come invece era stato accusato di aver fatto negli anni passati, per cui il risultato sarebbe una proiezione fedele dei reali sentimenti dei cittadini russi.

Secondo altri, i brogli ci sarebbero stati comunque, ma Russia Unita avrebbe voluto “tenersi basso”, proprio per evitare tale accusa e le conseguenti proteste di piazza che avevano infuocato le principali città della Federazione nelle passate elezioni. Altri ancora, sostengono che una percentuale così alta la si deve, sostanzialmente, ai voti dei “nuovi cittadini”, quelli del Donbass, mossi da una sorta di sincera gratitudine nei confronti di chi li ha “liberati dal giogo ucraino”. Infine, c’è chi attribuisce il merito non al buongoverno di Putin o al gradimento di cui gode presso la popolazione russa, bensì ai suoi vassalli locali – come Ramzan Kadyrov in Cecenia, che pare abbia ottenuto il novantanove percento dei suffragi – da sempre in grado di assicurare al loro protettore alte percentuali di consenso. Tuttavia, i dati che fanno riflettere sono altri. In primo luogo, l’altissimo livello di astensionismo: quasi il cinquanta percento dei russi ha ritenuto di non doversi recare ai seggi a votare. Questo fatto – al contrario delle percentuali di cui ancora gode un partito con una credibilità assai compromessa, tra scandali, corruzione e simili – non può che essere interpretato in una sola maniera: come un chiaro segno di stanchezza e di rinuncia da parte di quasi metà della popolazione russa, che pur non volendo continuità, non crede più alla possibilità di un reale cambiamento, consapevole del fatto che ogni sincero e autentico tentativo di riforma verrà puntualmente represso e ostacolato a tal punto da determinarne il fallimento.

Il dato fa riflettere ancora di più, se si considera che l’astensione riguarda in particolar modo la fascia più giovane della popolazione, quella di età compresa tra i diciotto e i trentacinque anni. In secondo luogo, fa sicuramente specie che il secondo classificato di questa tornata elettorale sia il Partito comunista (Kprf) che con un robusto venti percento, che vede quasi raddoppiare i suoi consensi: alle scorse elezioni aveva infatti ottenuto il tredici percento. La spiegazione di questo balzo in avanti, da parte di un partito che tutto promette meno che il cambiamento – semmai persegue il ritorno alle modalità sovietiche e si dichiara, senza mezzi termini, ammiratore di Stalin – e che quindi non sembrerebbe poter assorbire, almeno in parte, l’astensionismo, sembrerebbe essere semplicemente il voto di protesta: molti hanno votato comunista pur di non votare i putiniani e pur di mettere in difficoltà il partito di maggioranza. Ciò è ancor più vero se si considera che lo stesso principale oppositore di Putin, Alexei Navalny, attualmente detenuto in carcere e le cui liste di sostenitori non sono state ammesse alla competizione elettorale, ha dato indicazioni di voto per i candidati del Partito comunista, secondo la strategia del “voto intelligente”.

Quello che Navalny ha sostanzialmente fatto sapere ai suoi è che bisognava turarsi il naso e votare i candidati dell’unico partito che avrebbe potuto dare filo da torcere a Russia Unita. Sono un ammiratore di Navalny e un suo sostenitore, ma devo dire di non aver compreso questa sua strategia, che mi pare essere contraddittoria, oltre che sostanzialmente inutile. Russia Unita, infatti, non verrà minimamente messa in difficoltà da parte dei comunisti. Ma se anche fosse, mi chiedo quanto sia coerente, per un’opposizione liberal-democratica, dare indicazioni di voto per i nostalgici di Stalin, che di sicuro cambierebbero il volto della Russia, ma in peggio. Se ora nel Paese vige un regime autocratico e ha seri problemi di corruzione ai vertici della politica, dell’economia, dell’informazione e della pubblica amministrazione, tutti settori controllati dagli amici di Putin, cosa potrebbe diventare sotto i nostalgici di Stalin? Meglio Putin, allora, almeno i russi continueranno a godere di un minimo di libertà, seppur compressa e limitata. Forse sarebbe stato meglio scegliere la via dell’astensione, come molti sostenitori di Navalny, contravvenendo ai suggerimenti del loro leader, hanno scelto di fare.

Quello che infatti preoccupa il Cremlino, non è l’avanzata dei comunisti, ma il numero sempre crescente di russi che non vanno più a votare: quelli sono i numeri che, semmai Navalny dovesse essere ammesso alle elezioni, potrebbero fare la differenza. E Putin sa benissimo di non poterlo tenere per sempre in carcere; proprio come sa benissimo che per lui, ormai ultra-settantenne, si avvicina il giorno in cui dovrà “scendere da cavallo” e nominare un successore, che non necessariamente potrebbe avere la sua stessa bravura e spregiudicatezza nel conservare il potere e nel garantire stabilità al Paese.

Aggiornato il 21 settembre 2021 alle ore 12:44