Veleni russi

Non c’erano dubbi sul fatto che a far uccidere Aleksandr Litvinenko fosse stato il Governo russo. Questo non è un caso isolato. Nessuno di noi dubitava che a far uccidere Aleksandr Litvinenko fosse stato il Governo russo, escludendo che un’azione di quel genere, con l’uso di polonio radioattivo mescolato nel tè, potesse essere frutto di iniziative personali. Nessuno dubitava, anche perché ce lo aveva raccontato la stessa vittima, morendo.

Ma la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo introduce un elemento ineludibile: mentre la giustizia inglese stabilì la colpevolezza dei due agenti segreti russi, materialmente esecutori dell’omicidio, qui si fa riferimento al Governo come mandante. Da ieri, quindi, avere a che fare con il Governo russo, che ha truccato le elezioni per mantenere il potere, significa sapere di avere a che fare con chi ha deliberatamente scelto di ammazzare qualcuno in casa nostra. Né si tratta di un caso isolato, visto che, quella volta non a Londra, ma a Salisbury, altrettanto fecero con Sergej Skripal e sua figlia Yulia, avvelenati anche loro. Si salvarono, ma la fiala contenente il veleno era stata abbandonata dai sicari in un parco e ne è morta una donna che l’aveva trovata. Mentre langue in carcere Alexei Navalny, oppositore, anche lui avvelenato, salvatosi e rientrato in Russia per sfidare il regime. Si potrebbe continuare, ricordando l’esemplare vicenda di Michail Borisovič Chodorkovskij.

Quel che ci preme dire, però, non abbisogna di altri elementi: il dispotismo russo cambia poco della sua condotta nel passare dagli zar al comunismo e dal comunismo al nazionalismo. E se si può, con una certa esagerata dose di cinismo, pensare che quelli interni siano affari loro, occorre una dose doppia di cecità o corruzione per non sapere che quel sistema dispotico spese e spende molti soldi per destabilizzare le nostre democrazie. Lo fece con il comunismo e lo fa con il putinismo. In quella condotta vibra ancora la doppia visione di Pietro il Grande, che dell’Occidente era ammiratore, fino a costruire un’intera città portando a Oriente le nostre forme (e di Pietroburgo, che aveva appena finito di chiamarsi Leningrado, Putin fu sindaco), al contempo escludendo di tollerare a Occidente confinanti potenti, quindi lavorando a dividerli, minarli e, quando possibile, invaderli.

Tutto questo non significa affatto che con la Russia non si possano e debbano avere rapporti o non si possano fare affari. Non solo il mondo dei dittatori con cui si commercia è piuttosto affollato, ma con la Russia abbiamo inscindibili legami di carattere storico e culturale. La nostra letteratura sarebbe orba se non vedesse il mondo anche con gli occhi di quella russa. Significa, piuttosto, che quando coagulano formazioni politiche che, in nome della cristianità o dell’internazionalismo comunista, del nazionalismo o dell’antioccidentalismo, guardano a Mosca come alternativa a Bruxelles, Francoforte, Roma, Parigi o Londra, lì si trovano i nemici dei nostri interessi nazionali e quanti s’asserviscono a poteri esterni per depotenziare il nostro imperfetto e meraviglioso mondo delle libertà e del diritto. Che siano grotteschi analfabeti che si suppongono affaristi o incolti propalatori di storie orecchiate, il sostegno, economico e logistico, che trovano a Est ha una e una sola chiave di lettura: un attacco alle nostre democrazie.

Con i loro usano le bevande avvelenate, con i nostri i veleni digitali. In entrambe i casi si tratta di azioni ideate a Est ed effettuate sul nostro territorio. C’è un modo per evitare che degeneri in guerra e consiste nel combattere politicamente tale dottrina. Con i comunisti era facile, perché rivendicavano orgogliosamente l’essere al servizio di Mosca, con certi nazionalisti meno, ma ascoltarli con attenzione e memoria aiuta non poco e il loro dirsi di destra non li allontana di un pelo dai compagni che non ebbero neanche la decenza di pentirsi.

Aggiornato il 24 settembre 2021 alle ore 12:21