Etiopia: tutti contro tutti

venerdì 8 ottobre 2021


In Etiopia stiamo assistendo a una piccola guerra totale. Le ostilità, con dinamiche etniche, che si stanno celebrando dal 2020 tra le forze fedeli al primo ministro Abiy Ahmed e il Tigray, sono diventate tra le più letali del Pianeta. Il perdurare di questo conflitto sta contaminando ogni iniziativa umanitaria spesa per portare una tregua e per aiutare una popolazione in profonda difficoltà. Inoltre, tale situazione minaccia di destabilizzare gli altri Paesi della regione.

L’Etiopia conta circa 110 milioni di abitanti, i due principali nemici che si scontrano nel nord del Paese giocano “carte” ambigue, tra accordi segreti, disaccordi palesi, compromessi vari e alleanze oscure. Questa guerra che dilaga in una nazione che, ironia della sorte, era stata individuata per ricoprire il ruolo di polo della sicurezza regionale, si dimostra ora l’anello più debole dell’Africa orientale. Una recente dichiarazione delle Forze di difesa del Tigray (Tdf), strutturate attorno all’ex partito del Fronte popolare per la liberazione del Tigray (Tplf), che ha governato per quasi trent’anni, ha rivelato di aver ucciso oltre tremila uomini delle “forze nemiche”, quelle della coalizione del Governo federale, e di averne ferite circa quattromilacinquecento.

Brevemente, nel fronte governativo è raggruppato parte dell’esercito federale non passato dalla parte della fazione tigrina quando è scoppiata la guerra, oltre a varie milizie, gruppi paramilitari e “multiformi” forze speciali di diversi Stati regionali etiopi. Inoltre, Abiy Ahmed ha nel suo “arsenale” i droni, la maggior parte sono i famosi Bayraktar Tb2 turchi e un attore esterno, cruciale in questo conflitto, la vicina Eritrea, già intervenuta più volte, in grado di schierare due dozzine di divisioni in Etiopia. Secondo l’ultimo rapporto diffuso dal Governo, nelle ultime operazioni militari sono stati uccisi quasi seimila soldati del Tigray.

In questo complesso contesto le varie associazioni umanitarie, ancora presenti in Etiopia, stanno cercando di contenere la scossa provocata dall’espulsione, avvenuta domenica 3 ottobre, di sette funzionari delle Nazioni Unite. La motivazione dell’allontanamento va contestualizzata nel clima di sospetti che aleggiano su ogni azione che si sviluppa in questo “gironedi intrighi e di trame, ed è stata “confezionata” da Addis Abeba come una risposta alle interferenze che i funzionari dell’Unicef, dell’Alto Commissariato per i diritti umani e dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari, hanno esercitato sugli affari interni del Paese. Secondo altre fonti diplomatiche di Addis Abeba, i sette funzionari espulsi hanno subito le conseguenze delle recenti affermazioni di Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, che ha accusato il Governo etiope di avere causato un blocco umanitario di fatto, che dalla fine di giugno ha permesso solo di consegnare l’11per cento degli aiuti alimentari necessari al Tigray. Griffiths ha anche alluso alla grande carestia del 1984 in Etiopia, sperando “che una simile tragedia non si ripeta”.

Tuttavia, i rapporti con le organizzazioni umanitarie non sono stati mai buoni, infatti già all’inizio del conflitto, novembre 2020, il Governo di Abiy Ahmed aveva accusato, senza prove, le Ong di fornire armi ai ribelli del Tigray. Così ad agosto, il Consiglio norvegese per i rifugiati, i responsabili delle agenzie Onu e Medici senza frontiere hanno dovuto sospendere le loro attività perché accusati, dalle autorità etiopi, di dirottare aiuti e materiale di comunicazione a beneficio dei “ribelli” tigrini, ma anche di politicizzare la crisi umanitaria. Questi fatti hanno indotto cinque Paesi europei e gli Stati Uniti a convocare per questa settimana una nuova riunione pubblica del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che probabilmente condannerà l’atteggiamento del Governo etiope. Ricordo che dall’inizio della guerra del Tigray i membri del Consiglio non sono riusciti a trovare un accordo, a causa dei boicottaggi di alcuni Paesi, in particolare della Russia.

Ora, da che parte sta la verità? Magari più dalla parte delle associazioni umanitarie, ma dubbi sulla disinteressata “etica umanitaria”, espressa come bandiera “occidentale, emergono sempre più spesso e in varie circostanze, destando perplessità. Intanto, il conflitto ora si estende alle due regioni vicine al Tigray, Afar e Amhara, e le “comunità umanitarie”, sospettate di ogni tipo di traffico e di interferenze politiche, “osservano”, secondo stime Onu, oltre cinque milioni di tigrini soccombere a gravi sofferenze e circa 450mila che hanno superato la “soglia della carestia”.


di Fabio Marco Fabbri