Il crocevia degli stan-states giocando a scacchi al Cremlino

lunedì 10 gennaio 2022


Ricostruire l’impero sovietico con la forza o con il consenso popolare? Che cosa accadrebbe se Mosca chiedesse ai popoli delle sue ex Repubbliche federate, come Ucraina, Bielorussia e oggi il Kazakistan, di esprimersi per un nuova federazione con la moderna Russia putiniana, in base a un referendum equo e trasparente, da svolgersi sotto il più stretto controllo della comunità internazionale? Quale sarebbe il tasso prevedibile di adesione? Viceversa, che cosa accadrebbe se si perpetuasse la linea Breznev dell’invasione a scopo preventivo (per evitare disordini alle frontiere russe e/o per tutelare le popolazioni russofone), con il successivo insediamento degli usuali “governi-fantoccio” nei Paesi occupati, magari con la scusa di combattere il terrorismo? In questo caso, con ogni probabilità, si assisterebbe a una ripetizione della Storia, dato che il precedente dell’Afghanistan non avrebbe insegnato nulla agli attuali vertici politico-militari di Mosca. Ma, stavolta, i russi potrebbero non essere soli nella loro politica di prevenzione del terrorismo islamico internazionale, grazie al sostegno implicito o esplicito di Pechino, pronta come non mai a dare sostegno al dittatore kazako nella sua scelta di reprimere nel sangue la rivolta popolare contro i rincari dell’energia. Tuttavia, la supposta infiltrazione di terroristi islamici nella rivolta kazaka non è da sottovalutare, poiché oggi l’Afghanistan è di nuovo in mano ai fondamentalisti islamici (talebani, qaedisti e militanti dell’Isis) ed esiste una minoranza uigura (1,7per cento) anche nel Kazakistan.

Con quasi certezza, la presenza prolungata di militari stranieri riaccenderebbe, negli animi della maggioranza musulmana di quella parte di Asia Occidentale, l’insepolta questione della “Invasione crociata” (Russia e Bielorussia sono, infatti, Nazioni cristiane) del Sacro suolo dell’Islam, con tutte le probabili conseguenze che già abbiamo visto all’opera contro di noi in altri scenari mediorientali. Nulla esclude, pertanto, che i gruppi estremisti facciano leva sulla solidarietà islamica, utilizzando il corridoio di Kabul come una “piattaforma girevole”, per inserirsi rapidamente nel caos kazako ed eventualmente in quello futuro degli Stan-states, in una strategia geopolitica di destabilizzazione dei due grandi giganti asiatici, Russia e Cina, in base alla logica del “Tit-for-Tat” contro l’Occidente. Ovvero: tu mi crei un problema con l’Ucraina e io te ne creo il doppio con il Kazakistan. E gli Usa potrebbero ancora una volta, come fecero più di trenta anni fa con i mujaheddin afgani, rifornire i ribelli di armamenti sofisticati (tramite la filiera turca), sia in funzione anticinese come spina nel fianco di Pechino, sia per contrastare efficacemente sul terreno il contingente russo di pronto intervento. Del resto, l’Afganistan dei talebani di ritorno ha tutto l’interesse a “esfiltrare” oltreconfine i miliziani jihadisti, che non hanno altro mestiere al di fuori della guerra, del terrorismo e della destrezza nell’uso delle armi.

Tra l’altro, questo sarebbe un modo per alleggerire, da un lato, la pressione interna sul regime da parte delle componenti islamiche più radicali come l’Isis locale e per creare, dall’altro, attraverso la destabilizzazione degli Stan-states confinanti, un diversivo politico-diplomatico per allontanare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle Cancellerie internazionali dalle attuali scelte oscurantiste e antimoderne del Governo di Kabul. Per la prima volta in trenta anni, dopo la dissoluzione dell’Urss, una ex Repubblica federata come il Kazakistan, tramite il suo presidente Qasym-Jomart Qemelevič Toqaev, ha fatto appello all’intervento militare da parte dei suoi alleati, in base a una sorta di “art. 5 del Trattato Nato” che, in questo caso, prende il nome di Csto, ovvero di Organizzazione del Trattato della sicurezza collettiva di cui fanno parte gli Stan-States di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, oltre ad Armenia, Federazione Russa e Bielorussia. Fatto curioso: la Russia non è intervenuta in difesa dell’Armenia nel conflitto militare che la vedeva opposta all’Azerbaigian, dovendo in prims difendere i suoi enormi interessi per l’esportazione del gas russo in Europa, Turchia e Iran attraverso gasdotti strategici, già realizzati, o in via di ultimazione, che passano proprio per l’Azerbaigian.

A complicare ancor di più le cose nella regione, occorre rilevare che la Csto si sovrappone all’alleanza turcomanna del Consiglio per la cooperazione dei Paesi turcofoni, che vede alleati Azerbaigian e gli Stan-states di Kirghizistan e Uzbekistan, mentre Turkmenistan e Ungheria sono Paesi osservatori. Tokayev ha, in un certo senso, coinvolto entrambe le alleanze, chiedendo l’intervento degli eserciti dei Paesi ex sovietici dell’Asia Centrale, tra cui Uzbekistan e Turkmenistan che si collocano all’esterno del Csto. Ma, Mosca deve fare molta attenzione nel muovere le sue pedine all’interno del complesso scacchiere delle ex Repubbliche musulmane dell’Urss, evitando di aumentare il numero di soldati e di presidi militari sul loro territorio, il cui costo economico e in vite umane potrebbe ben presto rivelarsi intollerabile, anche per un autocrate come Vladimir Putin, già impegnato a sostenere un contingente di centinaia di migliaia di uomini ai confini ucraini. Infatti, anche questa fase di minaccia di invasione ha costi elevatissimi, dovendo mantenere nella forma combact-ready un numero molto elevato di truppe d’assalto, che necessitano di un supporto logistico rilevante e di rotazione periodica dei reparti impegnati.

La questione degli Stan-states (in cui il prefisso “stan”, che in lingua persiana significa “terra di”, è preceduto dal nome del gruppo etnico e, quindi, ad es.: Tagikistan = terra dei Tagiki; e così via), è destinata, per quanto riguarda la sfera di influenza russa, a divenire altrettanto, se non più importante (almeno per la Nato e Bruxelles), di quella che vede impegnati gli Stati Uniti nel Mar Meridionale di Cina, attraverso la doppia alleanza anticinese di Aukus (Australia + Uk + Us) e del Quad (Quadrilateral Security Dialogue: Us + Australia + Giappone + India). Come si evince da un’analisi in prima approssimazione della carta geografica dell’Asia Occidentale, gli Stan-states costituiscono una sorta di nested-states, come in una sequenza telescopica o di poupèe russe inserite l’una nell’altra in ordine decrescente. Dal punto di vista strategico, questo enorme cuneo di terra penetra in profondità nei due imperi più grandi del mondo: quelli ex sovietico e cinese. Una sorta di gate strategico dal quale si può portare un micidiale attacco da terra all’interno dei confini dei due giganti continentali. Per di più, oltre alla loro collocazione geografica, Stati musulmani come il Kazakistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan sono ricchissimi di gas e di petrolio, con il Kazakistan addirittura primo al mondo per i suoi giacimenti di uranio.

Il che significa che, qualora, in un modo o nell’altro, gli Stan-states ex sovietici rientrassero nell’orbita di influenza di Mosca, persino la risorsa “green” del nucleare sicuro sarebbe a rischio di approvvigionamento per l’intero Occidente, qualora le tensioni con la Russia dovessero giungere a un punto di rottura, tagliando fuori le immense riserve di gas e di petrolio degli Stan-states oggi destinate all’Europa. Scenario inquietante ma non improbabile, da tenere sotto stretto controllo.


di Maurizio Guaitoli