Sri Lanka in default: tra guerra ed errori passati

Il 12 aprile lo Sri Lanka aveva annunciato la sospensione dei pagamenti di 35 miliardi di dollari ai creditori stranieri, entrando ufficialmente in default. Il Paese insulare dell’Oceano Indiano vive principalmente di turismo, fonte di guadagno già messa a dura prova dai due anni e mezzo di pandemia. Dopo più di cinquanta giorni di guerra in Ucraina, il peso del rincaro energetico, dei generi alimentari e delle materie prime, ha decretato il fallimento dello Stato. L’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse non giovano a nessun Paese, ma sono un serio pericolo per i governi più poveri. Nello Sri Lanka i prezzi dei generi alimentari sono aumentati quasi del 20 per cento. Uno dei più importanti distributori di carburante, Lanka Ioc (che rappresenta un terzo del mercato), ha aumentato i suoi prezzi del 35 per cento.

Ieri una delegazione rappresentativa del paese è volata a Washington, e oggi si prepara a dei cruciali colloqui con il Fondo Monetario Internazionale, per tentare un salvataggio dell’ultimo minuto. Questa è la peggiore crisi che ha colpito il Paese dal 1948, anno dell’indipendenza. La rupia si è svalutata di oltre il 60 per cento nell’ultimo mese. L’inflazione del settore alimentare è del 30 per cento, mentre quella collettiva ha raggiunto il 20 per cento in questo mese. La popolazione dell’isola è vessata anche dai costi dell’energia e del carburante. Questi ultimi hanno subito una feroce impennata: dall’inizio dell’anno, il costo della benzina è aumentato del 90 per cento mentre il diesel, usato per il trasporto pubblico, del 138 per cento. Come se non bastasse, lo Sri Lanka sta soffrendo di lunghe interruzioni quotidiane di elettricità. Con il debito estero che supera i 50 miliardi di dollari e una carenza di riserve in valuta estera, lo Stato si sta mobilitando per pagare le importazioni dei beni essenziali. Ciò comporta l’aumento dei prezzi di questi elementi, come riso, latte e carburante.

I fantasmi del passato

È dall’inizio degli anni 2000 che i governi dell’isola asiatica prendono in prestito dei capitali privati attraverso l’emissione di obbligazioni sovrane, compromettendo la stabilità della bilancia dei pagamenti del Paese. Un forte calo del valore sul mercato di questi titoli ha seguito l’annuncio del default di martedì scorso. L’attuale presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa, al momento del suo insediamento nel 2019, ha cercato di correre ai ripari dalla già imperversante instabilità economica riducendo le tasse indirette sui consumi e attuando una serie di tagli fiscali. Queste operazioni hanno però creato numerosi squilibri macroeconomici, esacerbando la crisi al posto di calmarla. Secondo gli analisti, il più grande ostacolo che separa lo Sri Lanka da una ripresa è proprio l’instabilità politica. Il presidente Rajapaksa è stato contestato per oltre una settimana da migliaia di cingalesi, che hanno protestato fuori dal suo ufficio a Colombo. Invece di dare le dimissioni, il capo di Stato ha mischiato le carte del Governo, confermando cinque ministri e nominandone 17 nuovi. Anche se i parenti del presidente si sono visti esclusi dalle cariche di governo, Mahinda Rajapaksa, fratello maggiore ed ex presidente, rimane primo ministro.

Aggiornato il 19 aprile 2022 alle ore 16:00