Vendicare l’Urss: Ucraina delenda est

Perché, secondo Vladimir Putin, l’Ucrainadelenda est” (deve essere distrutta), radendo al suolo tutte le sue infrastrutture civili e militari? La risposta si sintetizza, per così dire, nella frase lapidaria “io (Urss) ti ho creato (a te Ucraina) e io ti distruggo!”. Un po’ come se Grecia e Roma, una volta perduta parte dei territori già in precedenza conquistati, annessi e civilizzati, facessero una nuova guerra per distruggere tutto quello che avevano creato come rete infrastrutturale: porti, strade, acquedotti, templi monumentali, biblioteche e così via. L’autocrazia russa, alimentando l’impetuoso vento nazionalista che spira su tutta la Nazione, così come creato dall’Eolo del Grande Fratello che controlla e ispira la comunicazione addomesticata di massa, ha fatto passare il messaggio per cui gli ucraini sono dei neonazi, immemori della “Grande guerra patriottica”, da cui discende il sacro principio per cui nessun territorio liberato dai nazisti può mostrarsi ostile nei confronti della Russia. Poiché quella guerra fu vinta da Stalin contro Adolf Hitler e costò 20 milioni di morti all’Urss, gli ucraini sono degli ingrati e non meritano i “doni” che i soviet hanno fatto loro in settant’anni costruendo, grazie al contributo e all’impiego delle risorse umane e materiali di tutte le ex Repubbliche, l’intera rete infrastrutturale industriale e civile ucraina (porti, strade, industrie pesanti, reti elettriche e idriche, e così via). Ovviamente, la Disinformatija di Putin gioca sulla memoria ultracorta del suo popolo, dimenticando di dire che dopo il 1991 erano stati gli Usa (che non a caso Putin chiamava fino a poco tempo fa “partner”) a volere fortissimamente che la Russia post-sovietica restasse l’unica potenza nucleare, ai fini della ratifica e dell’attuazione degli accordi di non proliferazione Salt e Tnp, sulla limitazione degli armamenti nucleari del post-Guerra fredda.

Occorreva, quindi, disarmare le migliaia di testate stazionate in Bielorussia, Kazakistan e Ucraina, con quest’ultima che da sola all’epoca rappresentava il terzo arsenale nucleare del mondo con 3mila testate nucleari tattiche e 2mila strategiche! In merito, tuttavia, occorre sottolineare che i codici di lancio e di autorizzazione (i primi in mano ai militari, i secondi al vertice politico) rimanevano nell’esclusiva disponibilità del presidente e dello Stato Maggiore russi. Ovviamente, a tutela delle ex Repubbliche nucleari sovietiche, “tutte” le altre potenze nucleari rimanenti – in particolare Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti – si facevano garanti dell’indipendenza dell’Ucraina e della sua sicurezza, nel rispetto dei suoi confini internazionalmente riconosciuti. Peccato che tutto ciò “non” sia mai stato messo sotto forma di Trattato, molto più vincolante per i suoi sottoscrittori, ma semplicemente di un “memorandum” detto di Budapest che poteva facilmente essere denunciato unilateralmente, come poi avvenne per decisione di Putin. Tanto per capirci, prendiamo l’aggressione militare contro l’Ucraina: se ci fosse stato in merito un vero e proprio Trattato contro lo Stato che lo avesse violato, sarebbe stato considerato legittimo – a norma del diritto internazionale – un intervento armato da parte di tutti gli altri Paesi firmatari in difesa dello Stato attaccato.

Ma se Kiev avesse mantenuto le sue “nukes”, Putin avrebbe mai osato invadere l’Ucraina? La domanda, ovviamente, è retorica, dato che in buona sostanza gli ucraini non avrebbero mai potuto affrontare i costi enormi del mantenimento dei propri arsenali e dell’avvio di una produzione nazionale. Per non parlare del conseguente isolamento internazionale dell’Ucraina stessa che, invece, aveva disperatamente bisogno per sopravvivere di ricorrere a prestiti internazionali, per sostenere la propria economia e costruire uno Stato moderno. Ora, immemore di tutto, è la Russia a voler spegnere le luci sull’Ucraina, commenta sconsolato l’ex diplomatico russo Alexander Baunov, che pubblica il suo autorevole intervento su Financial Times (Ft) dal titolo “Putin is launching an assault on last vestiges of Soviet identity”. Paradossalmente, la strage del condominio di Dnipro, colpito da un missile russo antinave riadattato (e quindi, con un’elevata carica esplosiva), porta la data fatidica del 14 gennaio, ricorrenza denominata “old new year” (che rappresenta il culmine dei festeggiamenti per il nuovo anno a partire dalla fine di dicembre) e festeggiata per settant’anni, fin dal 1918, da entrambe le due Repubbliche socialiste sovietiche di Russia e Ucraina. In quei quindici giorni, i bambini partecipavano ai riti collettivi denominati “new year tree” per esorcizzare le forze demoniache, in modo da impedire loro di spegnere le luci dell’albero.

E proprio ora, quando Putin promuove la rinascita della Grande Russia sovietica, l’idea dei due popoli fratelli, quello russo e quello ucraino, non sopravvive all’era dei soviet! La distruzione dell’infrastruttura civile ucraina parla chiaro, avvertendo così i “traditori”: “Voi avete deciso di vivere senza di Noi, allora fatelo rinunciando a tutto ciò che Noi, i russi, abbiamo costruito per Voi!”. Sarà per questo che il Kazakistan, una volta territorio al centro dell’industrializzazione dell’Urss grazie alle sue immense risorse naturali, temendo di fare la stessa fine del suo vicino, sceglie la massima cautela sul conflitto in corso per non incorrere nelle ire dell’Autocrate di Mosca. Per il Cremlino, così come per il comune cittadino russo, tutto ciò che venne realizzato dallo Stato sovietico e successivamente privatizzato, modernizzato e reso appetibile per le esigenze dell’economia di mercato dopo il collasso dell’Urss, è semplicemente “nostro”, cioè dello Stato che Putin intende rappresentare. Ovviamente, si tratta di un discorso che non sta in piedi. In ogni caso, infatti, un territorio ricco come l’Ucraina, con una popolazione di alcune decine di milioni di abitanti, avrebbe seguito la strada della modernizzazione, costruendo in proprio le infrastrutture necessarie al suo sviluppo. Ciò cui stiamo assistendo, ci dice Baunov, è un fatto storico ben più clamoroso: la transizione finale dal “Noi assieme” di sovietica memoria al “Noi e Loro” della visione divisiva putiniana che, volendo ristabilire l’impero dei soviet, ne tradisce contemporaneamente la memoria e i valori fondativi!

La guerra in Ucraina non ha soltanto rafforzato il sentimento nazionalista degli ucraini: il suo effetto dirompente è di aver cambiato in modo radicale l’identità post-sovietica di molti russi. Sotto il profilo della durata e delle sorti della guerra non c’è da farsi molte illusioni. Tant’è vero che anche il filo-repubblicano Wall Street Journal (Wsj), con il suo “Is the West ready for a long war?”, si pone il problema se, per caso, la testardaggine di Putin e il tempo non giochino a suo favore, sbriciolando progressivamente quella che oggi appare come una decisione corale dell’Occidente di continuare a sostenere l’Ucraina, con decine di miliardi di aiuti e con armi pesanti. Sono proprio queste ultime, come i proiettili d’artiglieria, a scarseggiare nelle riserve di stock degli arsenali dei Paesi Nato, considerato che l’industria bellica occidentale gira molto più lenta di un Paese in guerra come la Russia. E quindi, rispetto a quest’ultima, non è in grado di ricostituire in tempi brevi le scorte necessarie per rispondere alle richieste pressanti di Kiev ed evitare la sconfitta sul campo degli ucraini, inaccettabile per l’Occidente tanto quanto per Putin lo è cedere gli “Oblast” del Donbass ribattezzati territorio russo. Per fare un esempio concreto: l’Ucraina sta consumando un numero di proiettili per i cannoni calibro 155 al tasso doppio di quanto sia in grado di produrre attualmente la manifattura bellica americana e quella dei suoi alleati. Pertanto, a questi ritmi, Kiev potrebbe prosciugare l’intera riserva di munizioni di Europa e Stati Uniti entro la prossima estate, mentre invece la Russia non avrebbe difficoltà a rinnovare il suo magazzino! Questo perché fino a ieri nessuno avrebbe mai potuto immaginare una guerra convenzionale di questa portata nel cuore stesso dell’Europa, destinata a protrarsi per anni e con milioni di perdite di vite umane! Per ora, è da escludere l’avvio di un qualsiasi processo di pace, perché Putin ha fatto ormai del Donbass una “questione esistenziale”, per cui la sconfitta comporterebbe automaticamente la fine del suo regime.

Tra l’altro, il fatto che i Repubblicani siano divenuti maggioranza nel Congresso Usa è destinato a rallentare significativamente l’entità degli stanziamenti militari americani a favore dell’Ucraina, considerato che i 45 miliardi di dollari già stanziati saranno sufficienti a sostenere lo sforzo bellico ucraino soltanto per i prossimi nove mesi! Come accade a tutti gli scommettitori che si giocano in pochi attimi la partita della vita, l’unica strada per evitare una vittoria russa sulla lunga distanza è di puntare molto più in alto ora, rifornendo di tutto il possibile armamento pesante l’esercito di Kiev perché, quantomeno, abbia successo una controffensiva limitata prima dell’inizio della prossima primavera, tagliando le vie di rifornimento russe con missili di alta precisione a lunga gittata. Per ora siamo nella fase senza via di uscita di “Noi o Loro”, di “mors tua vita mea”. Non è ancora il momento dei Saggi.

Aggiornato il 01 febbraio 2023 alle ore 10:18