Il piano di Xi

La visita del leader cinese Xi Jinping a Mosca ha avuto un valore fortemente simbolico. Di sicuro il dittatore cinese non è andato dal suo omologo russo, Vladimir Putin, per cercare di convincerlo a essere ragionevole sulla questione ucraina. Perché il piano di pace presentato dalla Cina tutto è meno che ragionevole: al contrario, con esso il Dragone Rosso ha messo fine a ogni ambiguità sulla guerra e si è apertamente schierato al fianco della Russia. Come sottolineato da Washington, ogni piano di pace che contempli il cessate il fuoco senza l’immediato ritiro delle truppe russe dal suolo ucraino significa, di fatto, riconoscere la sovranità russa sui territori occupati nell’est del Paese. Proprio una “cinesata” di piano: è il caso di dirlo. E pensare che taluni, in questa parte di mondo, hanno anche espresso irritazione per il fatto che il ruolo di mediatore se lo sia aggiudicato la Cina, invece che l’Europa: se i presupposti sono questi, c’è ben poco da preoccuparsi.

La maggior parte degli analisti occidentali ha giustamente visto nella visita di Xi in Russia un segnale forte e chiaro che le due potenze orientali hanno inteso d’inviare all’Occidente: il loro obiettivo è quello di cambiare l’assetto geopolitico, di dar vita a un nuovo ordine mondiale in cui le autocrazie possano esercitare un peso rilevante e arrivare a contendere alle democrazie occidentali la guida del mondo, in termini tanto culturali quanto politici ed economici. Su questo non c’è alcun dubbio. Il punto è capire se la Cina non abbia in serbo altro e se l’alleanza “solida come la roccia” con la Russia non abbia dei fini reconditi.

La verità è che la Cina fa semplicemente i suoi interessi. Anzitutto, l’obiettivo di Pechino è quello di fare con la Russia quello che ha già messo in atto con oltre duecento Paesi, principalmente asiatici e africani: diventare il principale punto di riferimento a livello economico e politico. Pechino sa di essere l’unica ancora di salvezza di Mosca e una Russia isolata dalla parte di mondo, economicamente e politicamente più rilevante, sa di non poter vivere di autarchia (proclami propagandistici a parte); sa di avere bisogno di mercati dove poter piazzare i suoi prodotti, anzitutto gas e petrolio; sa di aver bisogno di un alleato forte su cui poter contare. Soprattutto – come ammesso dallo stesso Putin – le sanzioni stanno fiaccando l’economia russa: quando questa sarà vicina al tracollo, a chi si rivolgeranno da Mosca per un eventuale salvataggio, se non a quella Cina che, dimostratasi così amica, a quel punto coglierà l’occasione per “incravattare” il Paese, magari iniziando a comprare il debito sovrano, le infrastrutture, gli asset strategici, le grandi aziende di Stato? A quel punto, la Russia diventerà, di fatto, un protettorato cinese.

In secondo luogo, il vero competitor della Cina sono gli Stati Uniti (e viceversa). La Russia – sebbene non voglia arrendersi alla realtà – è già una potenza regionale: testate nucleari a parte, non possiede il potenziale economico e tecnologico per stare al passo col “gigante a stelle e strisce” e col “gigante rosso”. In un modo o nell’altro, la Russia è destinata a restare in seconda fila: lo scontro geopolitico del futuro sarà quello tra Washington e Pechino. Scontro che si accenderà, anzitutto, per Taiwan; secondariamente, per la questione commerciale. Chiunque vincerà le prossime elezioni americane, dovrà mostrare estrema durezza nei riguardi della Cina, che l’opinione pubblica americana percepisce come il “nemico numero uno”. Questo significa che il prossimo presidente Usa, Democratico o Repubblicano che sia, dovrà continuare a garantire l’indipendenza di Taiwan e dovrà adottare misure economiche volte a penalizzare il gigante asiatico. Per questo, Pechino non ha alcun vero interesse a che il conflitto in Ucraina non si plachi, ma divampi: in questo modo, spera che gli Usa diano fondo a tutte le loro risorse e si ritrovino sprovvisti dei mezzi per competere, anzitutto in termini di armamenti e tecnologia, con l’avversario. E che, impegnati a difendere Kiev e il fianco orientale della Nato, abbassino la guardia su Taiwan e rinuncino a rispondere a una eventuale futura offensiva cinese contro l’Isola.

Da ultimo, c’è il capitolo Europa. Pechino non ha mai rinunciato alla “Via della Seta” e spera che le scelte eco-fondamentaliste di Bruxelles rendano il Vecchio Continente completamente dipendente dai chip, dalle terre rare e dalle componenti tecnologiche cinesi. La politica “indipendente e positiva” che Xi ha più volte auspicato che l’Europa ponesse in essere nei riguardi del suo Paese, è un tentativo di dividerci dallo storico alleato americano. Il che tornerebbe a esclusivo vantaggio di Pechino, che già si sfrega le mani al solo pensiero di fare dell’Europa quello che ha in mente di fare con la Russia e che ha già fatto con molti altri Paesi. Per questo, parole come quelle dell’Alto commissario Josep Borrell, che pur prendendo le distanze dal regime cinese ha comunque sottolineato la diversità di interessi tra Europa e America sulla questione dei rapporti da tenere con la Cina, sono esattamente quello che Xi si aspetta di sentire.

Pechino non aspira a restaurare il passato, come la Russia. La Cina aspira a essere il futuro, a primeggiare, a dar vita a un ordine sino-centrico attraverso la detronizzazione e il surclassamento degli Usa e l’esercizio sistematico dell’economia di conquista nei riguardi degli altri Paesi. L’alleanza con la Russia è solo uno step di questo ambizioso piano, che comunque procede spedito e che gli occidentali dovrebbero avere il buonsenso di fermare. Che senso avrebbe, infatti, contenere l’imperialismo politico-militare russo, per poi lasciare libero spazio all’imperialismo politico-economico della Cina?

Aggiornato il 31 marzo 2023 alle ore 09:44