La Casa Bianca ha confermato l’invio di bombe a grappolo in Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky ringrazia e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, chiede che l’Alleanza non prenda posizione sulla questione, lasciando ai singoli Stati il compito di fare le proprie politiche. Soggiunge che esse sono già in uso da entrambe le parti ma la Russia le impiega per aggredire e l’Ucraina per difendersi.

Le munizioni a grappolo sono bombe che, a loro volta, contengono centinaia di ordigni esplosivi più piccoli, che si diffondono nell’area in cui vengono lanciati senza però esplodere tutti all’impatto. Quelli rimasti inesplosi funzionano in pratica come le mine antiuomo, deflagrano se vengono toccati. È palese che la distinzione tra obiettivi civili e militari in questo caso non possa essere sostenuta, in quanto le bombe inesplose possono rimanere conficcate nel terreno per anni, rappresentando un serio pericolo per i civili, in particolare i bambini che possono confonderle per giocattoli.

Quelle prodotte dagli Stati Uniti e destinate all’Ucraina vengono sparate da obici da 155 mm e ogni contenitore trasporta 88 bombe. Sono considerate una delle principali fonti di rischio nelle aree di conflitto, in quanto il loro tasso di fallimento all’impatto è alto e nel tempo soprattutto i bambini – sia del Paese aggressore che di quello aggredito – quando si imbattono in dispositivi dall’aspetto nuovo e insolito, ne sono attratti con tendenza a raccoglierle. È per questo motivo che nel 2008 è stata sottoscritta a Dublino da più di 120 Paesi, tra cui la maggior parte dei membri della Nato, una Convenzione Onu che proibisce l’uso delle armi esplosive il cui effetto è la dispersione su una certa area di sub-munizioni.

Secondo quanto affermato dalla Convezione, “ciascuno Stato membro s’impegna a distruggere o assicurare la distruzione di tutte le munizioni a grappolo menzionate nel testo il più presto possibile, ma non più tardi di otto anni dopo l’entrata in vigore della Convenzione... e ciascuno Stato membro s’impegna a vigilare a che i metodi di distruzione rispettino le norme internazionali. Ciascuno Stato membro s’impegna a rimuovere e a distruggere, ad assicurare la rimozione e la distruzione, i residui di munizioni a grappolo situati nelle zone contaminate dalle munizioni a grappolo e sotto la propria giurisdizione o il proprio controllo”.

La Convenzione conclude che gli Stati membri debbano consultarsi e cooperare per l’applicazione delle disposizioni della Convenzione e di lavorare in uno spirito di cooperazione al fine di facilitare il rispetto degli obblighi derivanti dalla stessa. A questo punto, ci si chiede perché vengano ancora prodotte e utilizzate queste armi infernali che la civiltà del diritto ha deciso di abolire. La risposta è semplice: Stati Uniti, Russia e Ucraina non hanno sottoscritto la Convenzione, pertanto possono agire come credono. Grave è che la Comunità internazionale, nella maggioranza che è parte della Convenzione, non abbia sollevato obiezioni e che soprattutto l’Italia, Paese primo sottoscrittore, non si opponga all’esortazione di Stoltenberg affinché l’Alleanza non si occupi della questione. Il nostro Paese ha sulle spalle un’eredità giuridica che altri non hanno. E pertanto non può assecondare accomodamenti del diritto a seconda delle circostanze. Dovrebbe far sentire la propria voce nei confronti di quei Paesi di minori tradizioni, che privilegiano altri interessi nazionali. Le violazioni, da chiunque siano commesse, vanno contrastate in modo certo e credibile, al fine di non assistere a una graduale inversione dei livelli cui ci ha condotto una scuola di pensiero di cui l’Italia è punto di riferimento internazionale.

La Comunità internazionale non tolleri forzature dagli orizzonti inesplorati e faccia di tutto, affinché il ricorso alla ripetuta dicotomia aggressore e aggredito non costituisca esimente per qualsiasi comportamento, con il rischio di tornare all’archeologia del diritto.

Aggiornato il 15 luglio 2023 alle ore 14:22