“Washington Post”: “L’Iran è più vicino alla bomba atomica”

giovedì 11 aprile 2024


Teheran è sempre più vicina all’ingresso nel club del nucleare”. Lo sostiene il Washington Post, che sottolinea come nella relazione seguita alla visita a febbraio nell’impianto blindato di Fordow, nascosto all’interno di una montagna ai margini del Grande deserto salato dell’Iran, gli ispettori dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) abbiano raccolto segnali allarmanti. Negli ambienti del sito che aveva smesso di produrre uranio arricchito in base all’accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa), affondato tre anni dopo dal ritiro unilaterale degli Stati Uniti, gli ispettori Onu hanno registrato un’attività frenetica, apparecchiature appena installate in grado di produrre uranio arricchito a ritmi sempre più elevati e un’espansione che potrebbe portare presto al raddoppio della produzione.

Ancora più preoccupante, fa notare il quotidiano statunitense, è il fatto che Fordow stesse incrementando la produzione di una forma più pericolosa di combustibile nucleare: una sorta di uranio altamente arricchito, appena al di sotto del livello per scopi militari. Intanto, i funzionari iraniani responsabili dell’impianto hanno iniziato a parlare apertamente di raggiungere la “deterrenza”, suggerendo che Teheran abbia tutto il necessario per costruire una bomba, se lo volesse. Sei anni dopo la controversa decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi dal patto, le restrizioni per l’Iran sono cadute una dopo l’altra, permettendogli di avvicinarsi alla capacità di possedere armi nucleari più che in qualsiasi altro momento della sua storia, secondo rapporti confidenziali sulle ispezioni e interviste con funzionari ed esperti che monitorano da vicino i progressi dell’Iran.

Sebbene Teheran ribadisca di non avere intenzione di costruire armi nucleari, secondo le stime di ex e attuali funzionari oggi dispone di quantità di uranio altamente arricchito che potrebbero essere convertite in combustibile a livello militare per almeno tre bombe in un arco di tempo che va da pochi giorni a poche settimane. La realizzazione di un ordigno nucleare grezzo potrebbe avvenire in soli sei mesi, mentre superare le sfide legate alla costruzione di una testata nucleare trasportabile tramite un missile richiederebbe più tempo, forse due anni o più. Fordow, rimarca il Washington Post, è il simbolo del collasso dell’accordo nucleare. Con l’intesa, infatti, la maggior parte delle centrifughe erano state messe fuori servizio e alle restanti era stato permesso di produrre isotopi solo per applicazioni mediche e ricerca civile. Tutto il materiale fissile era stato rimosso. Poi, dopo la decisione di Donald Trump, l’impianto ha lentamente ripreso vita. Dal 2018, gli ispettori dell’Aiea hanno osservato la produzione di uranio arricchito a Fordow passare da zero a 317 chili lo scorso febbraio, secondo l’ultimo rapporto consegnato agli Stati membri il mese scorso. La differenza qualitativa nel carburante è ancora più sorprendente. Il prodotto più raffinato di Fordow oggi ha una purezza U-235 del 60 per cento.


di Redazione