L'ambasciatore Usa e Mani Pulite

Secondo la migliore storiografia, per avere una chiara e completa conoscenza dei fatti e degli eventi accaduti in passato, soprattutto di quelli che hanno segnato la fine di una epoca politica e storica come l’inchiesta mani pulita dei giudici di Milano, che all’inizio degli anni ottanta travolse i partiti della prima Repubblica, è necessaria la  distanza temporale dagli accadimenti.

Recentemente è apparsa sulle colonne de la Stampa un’nteressante intervista rilasciata al corrispondente dagli Usa, Maurizio Molinari, dall’ex ambasciatore americano in Italia, Reginald Bartholomew. L’intervista è importante sul piano storico, sia perché contiene i giudizi espressi dall’ex ambasciatore sulla stagione di mani pulite, di cui fu un attento testimone da una posizione privilegiata che gli consentiva l’accesso a informazioni riservate, sia perché è stata rilasciata un mese prima della sua morte, provocata da un cancro che lo ha ucciso all’età di 76 anni.

Bartolomew, che in passato è stato sottosegretario agli armamenti e ambasciatore a Beirut e Madrid, agli inizi degli anni novanta ricopriva il ruolo di ambasciatore presso la Nato. Bill Clinton, contravvenendo ad una consolidata prassi istituzionale che imponeva di nominare ambasciatore in Italia una personalità tra quelle che avevano sostenuto la sua campagna presidenziale, decise di sceglierlo, nominandolo ambasciatore del governo Usa in Italia per i suoi meriti e la esperienza maturata nel Foreign Service.

L’ex ambasciatore, con accenti di sincerità e onestà intellettuale, nella intervista rilasciata a Molinari ha rievocato il contesto della politica Italiana agli inizi degli anni ‘90. A causa del discredito seguito all’inchiesta di mani pulite, che aveva svelato la corruzione dilagante nella vita politica ed economica del paese, i partiti politici sembravano condannati alla decomposizione e alla dissoluzione. Bartolhomew ricorda che vi era la preoccupazione legittima dell’amministrazione americana che l’inchiesta Mani Pulite, distruggendo i partiti su cui si era retta e fondata la vita democratica dal dopoguerra, potesse creare una grave crisi politica nel cuore del Mediterraneo, vista la posizione geografica dell’Italia. Inoltre, e questa è la affermazione più rilevante che ripropone i dubbi che alcuni hanno nutrito sulla natura e l’origine della inchiesta Mani Pulite, secondo Barthoilomew, quando l’ambasciatore degli Usa a Roma era Peter Secchia, si era instaurato un rapporto troppo stretto e di grande ed innaturale collaborazione tra il Consolato americano di Milano, all’epoca guidato da Peter Semler, ed alcuni giudici di Mani Pulite.

Bartholomew ha ammesso che appena si insediò nella ambasciata di via Veneto, a Roma, decise di seguire di persona le attività promosse e svolte dal Consolato di Milano. Inoltre, visto il modo con cui proseguiva l’inchiesta di Mani Pulite, in più occasioni ebbe modo di constatare che vi era un abuso dei magistrati milanesi nel ricorso alla detenzione preventiva per ottenere la confessione degli imputati ed una palese violazione dei diritti della difesa, per  gli americani considerati un cardine ed un fondamento imprescindibile della democrazia liberale. Per questo motivo, Barthlomew si rivolse al giudice della corte suprema degli Usa, Antonio Scalia. L’ambasciatore fece incontrare il giudice statunitense a villa Taverna con i giudici della inchiesta milanese, ed in quella occasione venne sottolineata la grave anomalia italiana riguardante l’uso scriteriato della carcerazione preventiva e la violazione dei diritti della difesa, considerazione critica, questa espressa da Scalia, dinanzi alla quale i magistrati milanesi non seppero cosa rispondere.

L’ex ambasciatore ricorda che iniziò, visto che i partiti della prima repubblica erano destinati ad essere distrutti, a tessere una rete di rapporti e di relazioni politiche con i nuovi leader emergenti. Per questa ragione incontrò prima D’Alema, al quale rinnovò la volontà della amministrazione americana di mantenere l’alleanza con l’Italia, ed in seguito Gianfranco Fini, in procinto di trasformare il Msi in Alleanza Nazionale con la svolta di Fiuggi. Bartholomew nella intervista ha rievocato l’incontro avuto con il Silvio Berlusconi, accompagnato in quella occasione da Gianni Letta, e di avere compreso subito che si trattava di un leader in grado di raccogliere ed ottenere  un grande consenso tra i cittadini italiani, subendo per questa sua opinione personale una critica ed una censura da parte di Eugenio Scalfari, per il quale l’ambasciatore non poteva capire la complessità della politica Italiana.

L’episodio più grave accade quando al vertice del G7 del 1994 a Napoli, nel periodo in cui Bartholomew fu ambasciatore in Italia, l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi ricevette un avviso di garanzia alla presenza del presidente Bill Clinton, una offesa inaccettabile e gravissima, secondo le parole dell’ex ambasciatore, arrecata alla intera comunità internazionale ed agli Usa dai magistrati milanesi. Secondo le riflessioni politiche dell’ex ambasciatore, questo episodio fu deplorevole ed inquietante, perché dimostrava che la seconda Repubblica in Italia non aveva i suoi protagonisti negli uomini politici scelti dai cittadini, ma nei magistrati, investiti di una funzione di supplenza per rivitalizzare il sistema politico secondo i loro orientamenti culturali.

Intervistato, sempre su La Stampa da Maurizio Molinari, l’ex Console di Milano, Peter Semler, ha confermato di avere intrattenuto rapporti con i magistrati di Milano, e di avere informato all’inizio degli anni novanta Peter Secchia, predecessore di Bartholomew alla ambasciata Usa di via Veneto, che era imminente una inchiesta giudiziaria, che avrebbe travolto tutti i maggiori partiti della prima Repubblica. Peter Selmer ricorda di avere chiesto alla sua ambasciata di invitare negli Usa Antonio Di Pietro, fatto in seguito avvenuto. Infatti il dipartimento di Stato ospitò agli inizi degli anni novanta Di Pietro negli Usa, per ammissione dello stesso ex magistrato.

Queste riflessioni dell’ex ambasciatore sono importanti, poiché indicano che, proprio mentre la prima Repubblica capitolava e si dissolveva, si sono generate le gravi patologie che affliggono il nostro sistema politico, al di la degli aspetti oscuri legati alla origine della inchiesta mani pulite. Sia l’antipolitica che il populismo giustizialista, i due vizi di origine della seconda Repubblica, nacquero in quegli anni e spiegano la espansione del potere giudiziario a danno della democrazia rappresentativa e dei poteri dell’esecutivo, in violazione dell’equilibrio dei poteri dello Stato di diritto.

Queste due interviste meritano di essere valutate sul paino politico e storico con molta attenzione, anche perché forniscono elementi preziosi per capire in quale direzione deve procedere la politica italiana, perché possa rinnovarsi e ristabilire un rapporto di fiducia con i cittadini.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:34