I radicali e la sindrome grillina

C’è chi non voleva “morire per Danzica”. E poi contribuì allo scoppio della seconda guerra mondiale. E c’è chi, oggi, mutatis mutandis, tra i radicali italiani, intesi come i più o meno aderenti o iscritti alla galassia creata da Pannella alla fine degli anni ’80 attorno al Partito radicale transnazionale e transpartito, si chiede se abbia senso continuare a fare politica perchè gli altri ne raccolgano i frutti elettorali e istituzionali. Cioè se abbia senso “lavorare per Grillo”. L’interessato però, benchè il gennaio 1998 in un’intervista vagamente profetica avesse reso omaggio al duo Pannella-Bonino, definiti come gli ultimi romantici in politica, lo scorso 8 maggio, dopo la notevole affermazione avuta alle amministrative, in una dichiarazione che offese non poco la sensibilità radicale ebbe il coraggio di dire che “se il MoVimento 5 Stelle farà boom (come quello dei favolosi anni '60), il prossimo presidente non sarà un'emanazione dei partiti, come la Emma Bonino". Come a volersi scrollare da dosso un’eventuale debito di royalty da pagare alle idee radicali. Gli addetti ai lavori della politica sanno che le poche idee buone, quelle migliori, tra quelle che hanno portato all’incredibile successo del M5s sono tutte farina del sacco radicale: abolizione del finanziamento dei partiti e restituzione del bottino, trasparenza on line, anagrafe degli eletti e dei nominati, eccetera.

Mentre le altre idee, quelle sulla decrescita, alcune demagogiche altre addirittura demenziali, appartengono all’ala movimentista casaleggiana e poco o nulla hanno a che vedere con l’odio verso la casta. Che i radicali sobillano da cinquant’anni ma che regolarmente non riescono a tradurre in consenso elettorale. E checchè ne dica l’attuale dirigenza radicale questo avere raccolto solamente settantamila voti, a fronte dei 300 mila se non 500 mila cui ci si era abituati, ha poche plausibili spiegazioni nella pur giusta analisi di uno stato, quello italiano, che vive fuori dalla legalità interna e internazionale come peraltro dimostrano le continue condanne europee in materia di giustizia e di carceri in particolare. Grillo nel 1998 irrideva la visione pannellian - boniniana di un paese che aveva perso il proprio stato di diritto. Definiva i radicali come “gli ultimi romantici” della politica e sosteneva essere giusto, con un notevole gusto del paradosso, che dovessero scomparire. Sostenendo che l’Italia si stesse avviando verso le tenebre. Nei 24 minuti testimoniati dalla intervista di Dario Vese trasmessa da Radio radicale quel 5 gennaio 1998, nel contesto della nascita di Radio Parlamento e dei timori che la Radio di Pannella potesse essere gradualmente fatta fuori, Grillo tirava fuori la propria visione apocalittica del mondo secondo cui il diritto ormai era diventato “nemico della gente”. I paradossi e l’irrazionalità del messaggio di Grillo erano già chiari. Ad esempio nella frase “ma perchè vi ostinate a pensare che far sentire il Parlamento è far sentire la voce della democrazia..?” Grillo poi suggeriva a Radio radicale di andare a far sentire la voce della “ggente” in diretta dai super mercati. O di andare a protestare a Bankitalia. Ecco a ben vedere è quello che poi lui ha fatto più o meno nella personalissima “lunga marcia” partita dal Vaffa day e conclusasi con lo “Tsunami tour”.

Chiaramente proporre a un filosofo come Pannella (che discetta per ore in Radio di Cesare e di Pietro, prendendo a prestito le parole di Cristo per comunicare come oggi il problema sia proprio Cesare, lo stato, che non rispetta più le sue stesse leggi e questo non solamente in Italia ma un po’ in tutto il mondo, e come persino Pietro, cioè la Chiesa, magari quella del Ratzinger dimissionario, si stia evolvendo nei suoi confronti) di scendere sul piano grillesco è un po’ una bestemmia. Però quel che è avvenuto, come si lamentano nei vari forum i tanti “radicali ignoti”, è esattamente il contrario: “abbiamo lavorato per Grillo”. E per 50 anni. Nel senso che questa persona si è presa le idee cardine dell’ontologia radicale, principalmente sul finanziamento dei partiti e sullo svergognamento della casta, se ne è appropriato senza neanche ringraziare ed è andato a raccontarle nelle piazze e su internet come se fossero una sua invenzione. E quegli stessi italioti che per decenni hanno detto “che palle ‘sto Pannella con la partitocrazia”, eccoli oggi delirare per l’astuto comico genovese che ha condito il tutto con un po’ di salsa no Tav, no logo e con tanto giovanilismo d’accatto. Grillo però ha fatto di più e di peggio a Pannella e ai radicali: non solo si è impadronito della parte centrale del loro pensiero politico ma se le è anche venduta meglio e ha dimostrato come sia ormai un falso problema essere più o meno silenziati da tv e giornali prima, durante e dopo la campagna elettorale.

E depotenziando così l’eterna giustificazione di ogni insuccesso radicale: “ci hanno silenziato”. Questo problema di comunicazione spicciola è oggi il problema centrale della galassia radicale e non lo si combatte più con scioperi della fame e della sete che provocano appelli di solidarietà come negli anni ’70 ma che nessuno a livello della plebe riesce più a capire per l’ottimo motivo che non siamo più negli anni ’70. L’Italia è regredita intellettualmente prima che moralmente. Grillo diceva che i radicali dovevano “adeguarsi strutturalmente al nuovo mercato”. Non lo sapeva ma non aveva torto. Tra il 1968 e la fine degli anni ’70 l’ideologia spingeva anche il bottegaio ad emanciparsi dalla propria ignoranza e dal proprio particulare mentre la classe operaia era chiaramente indottrinata ed intellettualizzata, e questo tanto a destra quanto a sinistra. Adesso la politica la si fa negli outlet e sebbene Pannella e Bonino non si siano mai rassegnati a questo andazzo e non abbiano voluto prendere qualche contromisura le cose stanno così. Grillo, che ha molta meno onestà intellettuale ma tanta più furbizia politica, dopo essersi impossessato delle idee per cui i radicali hanno lavorato una vita oggi passa all’incasso. Mentre i nostri eroi scompaiono dalle istituzioni e lo stesso partito, senza soldi, è ridotto, come si dice a Roma, a “due pinze ‘na tenaglia”. Grillo diceva che i radicali dovevano morire per poi risorgere. E’ anche vero , come dice Pannella, che di profeti della scomparsa dei Radicali sono pieni i cimiteri della poiltica italiana. Speriamo bene.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:23