I datacenter islandesi per la privacy

La scoperta del programma “Prism” dell’Nsa (National Security Agency degli Stati Uniti) ha di colpo fatto aumentare l’attenzione sul tema della privacy informatica. Esistono quindi delle soluzioni per garantire la segretezza dei nostri dati? Le recenti dichiarazioni del ex impiegato dell’Nsa, Edward Snowden, riguardo al programma Prism, ha fatto aumentare l’incertezza sulla sicurezza dei nostri dati sulla rete. L’Nsa, attraverso l’utilizzo del Foreign Intelligence Surveillance Act, otteneva dai principali provider nordamericani informazioni e dati riferiti ai propri clienti, quali email, videochat, video, foto, trasferimenti di file, ecc. Ciò non ha sconvolto solo i governi di gran parte del mondo, ma anche tutti i normali fruitori/utenti della rete, che attraverso il diffondersi di internet, smartphone e social network, mettono sul web gran parte della propria vita privata e, perché no, anche gran parte dei propri segreti.

La situazioni creatasi ha ovviamente fatto alzare il livello di attenzione non solo al normale cittadino, interessato a preservare la privacy dei suoi dati, ma soprattutto alle aziende, di medie e grosse dimensioni, che attraverso internet comunicano quotidianamente strategie, idee, progetti, intenzioni e segreti. Se è vero che per ottenere un successo aziendale bisogna essere sempre un passo avanti ai propri competitors, allora è vero: la tutela delle informazioni “riservate” deve essere il primo obiettivo in termini di sicurezza aziendale. E quando si scopre che il governo americano ti osserva, è naturale chiedersi: cosa posso fare per evitare tutto ciò? La risposta ci viene dal nord dell’Europa, più precisamente dall’Islanda. Sì, perché l’isola che si trova tra il Nord America e l’Europa settentrionale, che non è entrata a far parte della Comunità Europea e pertanto non deve sottostare alle normative europee in riferimento alle richieste di dati per indagini legali, da sempre si batte a favore della privacy dei suoi cittadini e delle sue aziende. Lo ha fatto inserendo all’interno della costituzione un articolo per riconoscere il diritto alla privacy, l’articolo 71, e il 15 Giugno 2010, tramite il suo parlamento, ha approvato l'Icelandic Modern Media Initiative (Immi), cioè una legge delega al governo per modificare tutte le leggi in contrasto con la libertà di espressione.

In tal modo quindi, le autorità internazionali possono avere accesso ai dati contenuti in un datacenter islandese solo se il provider riceve un ordine esecutivo dalla magistratura islandese. Per giungere a questo, la corte deve avere prove che il privato o l'azienda, cliente del provider, abbia responsabilità diretta nel reato ad esso ascritto. Tutto ciò, com’è facile intuire, introduce la massima trasparenza su tutta la procedura e impedisce di fatto il pericolo che i propri dati possano essere scandagliati in segreto, qualunque sia lo scopo. Dade2 ad esempio, un hosting provider il cui datacenter di punta si trova in Islanda, ha recentemente dichiarato che nelle settimane seguenti alla pubblicazione delle informazioni legate al programma Prism ha registrato un notevole incremento delle richieste di server islandesi, soprattutto provenienti dal Nord America, e questo non può essere un caso. Nei prossimi mesi prevediamo quindi un forte flusso migratorio di dati in questi paradisi digitali, sarà questo il modo per battere “l’invadenza” dello Zio Sam? Ai posteri l’ardua sentenza.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:14