Rischio Vesuvio,   disastro all’italiana

Il rischio idrogeologico è divenuto realtà in tutta Italia. Un semplice acquazzone si trasforma in tragedia; oltre l’80% dei comuni italiani è ad alto rischio idrogeologico. Chi da sempre denuncia e avanza proposte per contrastare la situazione è Aldo Loris Rossi, uno dei più apprezzati e autorevoli urbanisti europei. Aldo Loris Rossi da tempo avanza una proposta radicale e rivoluzionaria: “Bisogna rottamare tutta la spazzatura edilizia post- bellica, senza qualità, priva di interesse culturale e “rimette a norma” l’intero paese”. Chi dà voce al professore Rossi è Radio Radicale, attraverso una Rubrica che si chiama “Overshoot”, in onda ogni Domenica pomeriggio, ideata e condotta dal preparatissimo Enrico Salvatori che intervistiamo. Salvatori sta raccogliendo del materiale per un volume sulla lotta di Marco Pannella dedicata al Mezzogiorno e al rischio Vesuvio.

Il 10% della superficie della penisola italiana, oltre 6.600 comuni del territorio nazionale, è definita area ad elevata criticità. Sei milioni di italiani, potenzialmente, vivono in una situazione di pericolo a causa del dissesto idrogeologico causato, anche, dalla cementificazione incontrollata “dell’azione dell’uomo”. Da tempo affronti tali problematiche con il professore Aldo Loris Rossi attraverso i microfoni di Radio Radicale. Che idea ti sei fatto del “caso Italia” riguardo la speculazione edilizia, l’abusivismo, il degrado dei suoli e la cementificazione?

Prima di tutto vorrei cogliere l'occasione per ringraziare il direttore di Radio Radicale Alessio Falconio: ha potenziato le “emittenze” di Overshoot concedendo alla trasmissione, con lo spazio della domenica, un ambito di palinsesto di ascolto credo considerevole. Per venire alla tua domanda, voglio essere sintetico: dal dopoguerra ad oggi, l’Italia intera ha subìto una espansione edilizia senza regole. La partitocrazia consociativa, per assicurarsi il consenso, ha dolosamente dimenticato la presenza di zone ad alto rischio come vulcani attivi, aree golenali, zone franabili, aree sismiche, per vendersi agli abusivi, ai costruttori, alla rendita fondiaria e immobiliare. Così milioni di italiani, ogni giorno, vivono una situazione di potenziale pericolo per la loro vita. Quando si fa strage di diritto, di leggi, la strage di esseri umani è inevitabile.

Aldo Loris Rossi da tempo avanza una proposta radicale: “Rottamare – quella che definisce – la spazzatura edilizia post-bellica senza qualità, priva di interesse storico e efficienza antisismica”. Una proposta che riguarderebbe almeno 40.000 vani costruiti tra il 1945 e il 1975. Ci descrivi meglio la formulazione di tale proposta e le immediate conseguenze?

Oggi l’Italia è sovraurbanizzata, e registra il doppio dei vani rispetto agli abitanti. Se si analizza il patrimonio edilizio risulta che i 120 milioni di vani sono distribuiti in due categorie di costruzioni: edifici costruiti nell’immediato dopoguerra ed edifici realizzati dal 1970 in poi. I primi, sono stati ultimati nell’emergenza postbellica, prima delle leggi antisismiche più severe dagli anni 70 in poi, con impiantistica obsoleta. Questi edifici possono essere rottamati e ricostruiti in sito con un incremento di volume fino al 35% allo scopo di essere adeguati alle norme antisismiche, all’impiantistica di sicurezza e alle energie rinnovabili. Questo principio può consentire di mandare a macero tale “spazzatura edilizia” e trasformarla in “architettura di qualità”. Questo criterio, esteso a scala urbana, permette la trasformazione delle periferie dormitorio di edilizia pubblica o privata post bellica, non antisismica, prive di qualità, attrezzature, servizi e verde, in unità urbane a funzioni integrate, ad autosufficienza energetica; cioè in eco-cities. Sembra un problema di “adeguamento di tecniche architettoniche”, caro Domenico, invece no; è stato affrontato da Bruno Zevi prima e da Aldo Loris Rossi poi per quello che è: un grande argomento politico. Esiste un progetto simile capace di coniugare sviluppo economico, rispetto dell'ambiente, qualità della vita? Il problema è che noi siamo privi di politica; ma questa è la denuncia Radicale di tutto il tempo. E con questa rinunzia alla Politica, finiremo col perdere città degne di questo nome.

I costi dei disastri ambientali tra il 1968 e il 2003 (senza quantificare le sciagure recenti come i danni in Calabria) oscillano sui 146 miliardi di euro, senza considerare il patrimonio culturale che ad ogni tragedia irrimediabilmente perdiamo. I costi di ricostruzione di un chilometro quadrato di un’area colpita oscillano tra i 60 e i 200 milioni di euro. Parliamo di cifre enormi che danno l’idea dell’incessante “disastro” che affligge la nostra penisola. Cosa dovrebbe immediatamente fare il governo per arginare future tragedie?

Il Governo dovrebbe prendere esempio dall’Unione Internazionale degli architetti fondata da Le Corbusier, che ha fatto proprie le proposte di Aldo Loris Rossi durante il XXIII Congresso Mondiale dell’associazione. Il governo dovrebbe recepire le parole di Bruno Zevi (dice qualcosa questo nome?) che si espresse così: “Su Aldo Loris Rossi si può scommettere, perché la sua fibra artistica ed umana non conosce inerzie, stanchezze e cedimenti evasivi”. Questo perché la sua vita è una straordinaria produzione di analisi, pianificazione, progettazione e lettura per il futuro della città di Napoli e della penisola intera; è ciò che si dovrebbe fare quando si dice: salvare l'Italia. A questo punto però credo che il professor Rossi potrebbe avere un difetto: come Zevi è radicale. E notoriamente le proposte dei radicali vengono obliterate dalle agende dei governi.

Recentemente si è svolto un Convegno a Foggia, organizzato dai Radicali, che ha visto la presenza del professore Rossi e di Marco Pannella. È stata affrontata la problematica del disastro ecologico in prospettiva europea, mediterranea e transnazionale. Anche a Napoli, durante un recentissimo dibattito organizzato dalla Rivista “Il Fiore Uomosolidale” e Radio Radicale, si è posto l’accento sull’ottica transnazionale del disastro ecologico evidenziando un elemento aggiuntivo alla tematica: “Il diritto alla conoscenza” negato innanzitutto ai cittadini vittime del disastro ecologico. Diritto umano alla conoscenza e dissesto idrogeologico rappresentano le prospettive di una seria politica ecologista?

La pubblicità dei dati sullo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, ci permettono di capire dove viviamo e a quali rischi siamo esposti; ci consentono di valutare le scelte industriali della politica nei nostri territori così come ci autorizzano a scegliere con consapevolezza programmi politici che propongono un determinato modello di sviluppo industriale piuttosto che un altro. In questo senso, l’ultima battaglia di Marco Pannella coordinata da Matteo Angioli sta alla base di ogni iniziativa ecologista. Non esiste ecologia senza diritto alla conoscenza.

L’Osservatorio Vesuviano ha lanciato un allarme sul pericolo che vive Napoli e la Campania sul rischio eruzione Vesuvio. Marco Pannella e Aldo Loris Rossi da decenni denunciano la mancanza di piani di emergenza dei comuni interessati. Esiste una camera magmatica che unisce Vesuvio e Campi Flegrei che in caso di eruzione genererebbe un disastro immane. I cittadini sono all’oscuro di tali “ipotesi”. Come muoversi, come ribadire il diritto alla conoscenza dei campani a partire dalle singole amministrazioni comunali coinvolte?

Bisogna ricordare ai cittadini che il territorio della provincia di Napoli ospita due vulcani attivi: il Vesuvio e i Campi flegrei. Il Vesuvio ha causato la distruzione di Stabbia, Pompei ed Ercolano. I Campi flegrei sono una delle caldere più pericolose al mondo. Mentre il Vesuvio infatti è un vulcano di tipo “esplosivo”, come ce ne sono tanti sul pianeta, le “caldere” invece, i “super-vulcani”, si contano sulle dita di una mano e producono devastazioni ultraregionali. Possono indurre modificazioni a livello globale, perché iniettano nell'atmosfera gas e ceneri che hanno la capacità di oscurare la luce solare anche per decenni, causando modificazioni climatiche sostanziali. In geologia si dice che quello che è accaduto in passato riaccadrà negli stessi luoghi e nelle stesse modalità anche in futuro.Poche migliaia di anni fa, i Campi Flegrei, hanno generato eruzioni che hanno invaso interi territori dell’area napoletana; e qualche migliaia di anni per la storia geologica sono un battito di ciglia. Teniamo sempre a mente che è solo una questione di fortuna, se la popolazione non è stata ancora esposta ad una catastrofe ultraregionale. E non lo dice Enrico Salvatori ma tutti i massimi esperti di vulcanologia e il primo ricercatore dell’Osservatorio vesuviano Giuseppe Mastrolorenzo. Rispetto al diritto alla conoscenza, in questo caso, per i cittadini delle aree vesuviane e flegree siamo all’anno zero; infatti, i dati su eventuali alterazioni dei vulcani, secondo un accordo tra la Protezione civile e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, non possono essere comunicati al pubblico se non passano prima al vaglio della Protezione civile. In parole povere significa che la scienza, di fatto, è imbavagliata dalla politica. Alla faccia del diritto alla conoscenza e della convenzione di Aarhus che dichiara che “in caso di minaccia imminente per la salute umana o per l’ambiente, imputabile ad attività umane o dovuta a cause naturali, devono essere diffuse immediatamente tutte le informazioni in possesso delle autorità pubbliche che consentano a chiunque possa esserne colpito di adottare le misure atte a prevenire o limitare i danni derivanti da tale minaccia”.

Ingegneri, architetti, amministratori pubblici ignorano il problema della densità abitativa delle zone vulcaniche. Alcuni comuni come San Giuseppe Vesuviano vivono in una condizione di annunciato disastro in caso di eruzione. Bisognerebbe rendere operativo un’organizzazione precisa che sia in grado di portare via la gente in caso di eruzione. Cosa potrebbero e dovrebbero fare oggi i comuni direttamente interessati?

Gli architetti sono i primi responsabili dello scempio di questo Paese. Fatico a vedere in giro intelligenti figure professionali e politiche come Bruno Zevi e Aldo Loris Rossi. Paolo Portoghesi tempo fa firmò la cosiddetta “lottizzazione Nathan”, un complesso edilizio di 191mila metri cubi di cemento da realizzare all'interno della zona protetta della Villa Adriana a Tivoli (Roma). Progetto per cui Villa Adriana ha rischiato di perdere il bollino dell’Unesco. La realtà è questa. Per tornare alla tua domanda, la situazione è tragica. Stiamo parlando dell’area a più alto rischio al mondo. Da decenni i radicali denunciano la pericolosità della zona e l’assenza di piani di emergenza capaci di mettere in salvo tre milioni di persone. Se una crisi iniziasse oggi non ci sarebbe nessuna strategia per salvare la popolazione a rischio. Non esiste un piano di emergenza nazionale né piani comunali con informazioni dettagliate e costanti esercitazioni. Quando si deve preparare qualcuno ad una eventuale evacuazione, come su una nave o un aereo la prima cosa è informarlo, ricordargli cosa dovrà fare, dare informazioni costanti e corrette. Questo, come ricorda il vulcanologo Mastrolorenzo, è l’unico modo per non fare gioco d’azzardo in cui la posta sono tre milioni di persone, se un’eruzione cominciasse domani. Evento più che possibile.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:33