Massoneria: un alibi  per magistrati frustrati

Continuano le dichiarazioni di magistrati “oltranzisti” che vanno a “rivelare” a Rosy Bindi i legami, anzi, l’identità, tra mafia e massoneria.

Ciò in sé non stupisce, né merita interrogativi circa l’attendibilità, oltre che della tesi, dei personaggi che ne fanno portatori. Ai quali non è consentito neppure il vanto dell’originalità, ché certe discussioni le sentiamo fare da molti anni. Quello che stupisce e che, invece, meriterebbe attenzione, suscitando qualche allarme, è il fatto che simili giaculatorie, dopo anni, sono rimaste nel generico, anzi, nell’oscurità, ché proprio l’oscurità probabilmente è ciò che meglio si adatta a un simile alibi. Perché di alibi si tratta; alibi per la frustrazione che necessariamente coglie quanti si attribuiscono obiettivi di “battaglia”, di “lotte” (il contrario del concetto di giustizia) per una missione salvifica della società che è, nella sua stortura, destinata a fallire.

Se tanti sono i magistrati che ripetono la cantilena antimassonica, non ce n’è uno che sappia specificare in che cosa consiste il legame massonico-mafioso e, soprattutto, quale utilità dovrebbero avere i mafiosi nell’affidarsi “ai massimi livelli” ad istituzioni come quelle massoniche sia per ciò che riguarda lucrosi affari, sia per ottenere protezioni e connivenze nei poteri pubblici, potendo semmai realizzare tutto ciò direttamente e senza mediazione. D’altra parte, anche quando si è voluto lavorare anche di fantasia (vedi processo alla “trattativa”) in quella direzione è sempre stato a rapporti “diretti” che si è pervenuti (o si è preteso di essere pervenuti). Non hanno trovato manco un Massimo Ciancimino che “provasse” quei “legami” massonici. In altre parole: non si capisce perché un mafioso che si vuol sostenere abbia potuto contare su Giulio Andreotti, avrebbe affidato alla Massoneria la sua “politica ad altissimo livello”.

Ma la Massoneria si presta all’oscuro, al vago. E, quindi, all’alibi. Le polemiche antimassoniche del Potere Temporale della Chiesa e del neotemporalismo non hanno mai disdegnato il grottesco tenebroso. E neppure le più disinvolte panzane. Basti pensare allo sfruttamento dell’intermittente “massone pentito”, Léo Taxil. Anche in periodo fascista la Chiesa non esitava a rappresentare la Massoneria come una persecutrice: nel passato degli anni del Risorgimento e “quindi” nel presente. Ricordo un prete salesiano che insegnava religione nel mio ginnasio, che raccontava di oscuri complotti massonici per uccidere don Bosco a bastonate...

La Massoneria diviene dunque, per la subcultura di Sinistra di certi magistrati, sinonimo di mistero inaccessibile, imperscrutabile e, quindi, il fattore “estraneo” che giustifica ogni insuccesso della loro “lotta” e del loro impegno “giuslottatorio”.

Ci sarebbe da aggiungere, per quel che riguarda, invece, i destinatari di quelle “rivelazioni” di magistrati nelle audizioni all’Antimafia, che anche per loro, la Massoneria, nella sua pretesa “oscurità”, vaghezza, mistero, è un alibi. Reduci da militanze politico-religiose come Rosy Bindi o capitati quasi casualmente in politica come i Cinque Stelle, tutti sostanzialmente perdenti, credere nel “Maligno”, nell’Antico Nemico tenebroso, è anche per loro un alibi. Alibi anzitutto di ignoranza, di cultura di second’ordine.

Una volta c’erano i romanzi popolari, d’appendice, con i loro immancabili misteri, i “cattivi”, le vicende strappalacrime. Oggi c’è una “letteratura giudiziaria” costituita e promossa da certe “sentenze monumentali”, da “rivelazioni” dei pentiti, dalla sociologia e dalla politica dei magistrati loquaci. Con il loro pubblico, naturalmente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:47