Il Pd, le Ong e Confindustria minacciano il governo

Le ultime vicende di cronaca politico-economica fanno riflettere su chi davvero possa governare l’Italia (o anche altre nazioni) senza condizionamenti di organizzazioni sovrannazionali. Queste ultime (ed è più grave) sono spesso soggetti privati o privatistici che, in forza dell’autorevolezza che godono presso istituzioni europee e mondiali, riescono a piegare alle loro ragioni la politica interna di stati sotto scacco finanziario come l’Italia (ma anche Grecia, Spagna, Portogallo). E la guerra che Unione europea e Confindustria muovono al governo è imperniata sul fatto che Luigi Di Maio e Danilo Toninelli vogliono rilanciare la nazionalizzazione di Alitalia e, soprattutto, osteggiare (se non vietare) l’industria delle “slot machine” (in Confindustria è forte la lobby di “gioco e scommesse” appoggiata da direttive europee).

Ma il vicepremier ha parlato di un “impegno in prima persona per garantire un futuro alla compagnia e tutelare i suoi lavoratori”: parole che non sono piaciute agli industriali. Il ministro delle Infrastrutture ha sottolineato di voler tutelare l’italianità dell’azienda che, dice Toninelli, “dovrà tornare ad essere la compagnia di bandiera, con il 51 per cento in capo al nostro Paese”. Insomma, ci sono strutture che remano contro gli interessi nazionali. Tre esempi per tutti: Confindustria, le Ong e le multinazionali. L’ultima scaramuccia tra il vicepremier Di Maio (ministro del Lavoro) e Confindustria ha origine già nelle parole d’insediamento di questo esecutivo, quando Di Maio ebbe a dire che sarebbero stati tolti gli aiuti alle imprese che delocalizzano gli impianti: ovvero industrie che mantengono eleganti sedi di rappresentanza in Italia ma poi trasferiscono la produzione (le fabbriche) fuori dal territorio nazionale. Già all’indomani di quell’affermazione partiva il siluro dalla componente confindustriale del Pd che, come suo solito, affermava che certe affermazioni del vice premier avrebbero fatto impennare lo spread: come a dire che fa male all’economia (e ci rende finanziariamente vulnerabili) la politica che premia le aziende che non trasferiscono all’estero le produzioni. C’è un certo controsenso in queste frasi del Pd, quasi che certe sinistre parteggino perché il lavoro italiano premi altre nazioni. Ma la storia è nota, perché questa sinistra è da tempo inveterato venduta alla finanza internazionale, che la foraggia sin dagli anni Settanta, quando gli Agnelli e i De Benedetti prezzolavano il centrosinistra per ottenere leggi a loro favore, anche nel senso di portare fuori dall’Italia le fabbriche. Oggi Di Maio ha detto di voler invertire la rotta, quindi negare gli aiuti a chi delocalizza, e subito il salotto dell’economia antitaliana ha fatto alzare lo spread, quindi ha azionato i collegamenti con i burocrati europei pronti a sanzionare l’Italia per le scelte di politica economica. Siamo al ricatto confindustriale, vecchia storia.

Ironia della sorte, a finanziare le Ong che “soccorrono” i migranti ci sono fondazioni bancarie europee, multinazionali ed aziende italiane che operano nel mondo: tutte strutture che alle scorse elezioni speravano in una vittoria del Partito democratico. Tertium non datur, è facilmente comprensibile come le Ong arrivino con grande disinvoltura presso le corti internazionali, dove stanno alzando il polverone dei “crimini verso l’umanità”. Particolare non secondario è che molte di queste multinazionali hanno capitale francese, tedesco e olandese: se ne deduce come le denunce siano faziose, tese solo a mettere nell’angolo l’Italia.

Il problema è che il Pd ha svenduto il Paese alle multinazionali, infatti in questi sei anni di “governi tecnici” (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) sono stati siglati gli accordi che cedevano quota parte del Mar Tirreno alla Francia, per ricerche energetiche, estrattive e in campo ittico. In questi sei anni è stato perfezionato il contratto per far passare l’oleodotto dalla Puglia e, soprattutto, l’estrazione petrolifera straniera in Basilicata e nell’alto Adriatico. E senza considerare i tantissimi “regali” fatti dai singoli ministri dei passati governi alle multinazionali farmaceutiche, chimiche e siderurgiche. Allora chi ha svenduto l’Italia domandiamo al dem Ivan Scalfarotto? Che come al solito l’ha buttata in caciara dando dell’incapace a Di Maio perché è contro le delocalizzazioni. Non paghi dei danni fatti alla Nazione fino a tre mesi fa, ora poltiglia Pd, confindustriali, Ong, multinazionali e banche tentano la via giudiziaria per liquidare il governo gialloverde. Ci conforta non poco sapere che Matteo Salvini se ne infischi di sanzioni e condanne europee, che al momento sono solo minacce. Queste ultime finiranno a barzelletta tra meno d’un anno, quando l’Europa che guarda a Visegrad avrà la maggioranza nell’emiciclo di Strasburgo.

Aggiornato il 19 luglio 2018 alle ore 14:19