L’empirismo liberale di Draghi e il rimprovero del presidente paneuropeo Terrenoire all’Italia

Le speranze sul governo Draghi, l’intervista ad Alain Terrenoire: il commento

Il governo di unità nazionale, con in testa Mario Draghi, può gettare le fondamenta politiche di una patria Ital-europea all’avanguardia? Al di là delle simpatie di ciascuno non si accettano risposte aprioristiche. Servono infatti percorsi riformisti radicati nella competenza, capaci d’individuare le metastasi nell’economia italiana e di attivare le più incisive soluzioni progressive per gli investimenti. Nei chiari di luna dei settori produttivi più colpiti, altrettanto chiaro dev’essere il disegno politico patriota ed euro-poietico del momento.

I nodi vanno sciolti per attivare paradigmi odierni che parlino di futuro. Dal sostentamento emergenziale si deve essere in grado di passare all’efficientamento del libero mercato, attraverso l’innovazione degli arcipelaghi economici a geometrie variabili, nonché attraverso l’implementazione degli strumenti antitrust quale nuova frontiera dello Stato sociale di diritto nel divenire della post-contemporaneità.

I fondi per la ripresa ci sono. Tocca prenderli, tutti, e usarli bene. L’empirismo liberale dell’Unione europea sconfessa finalmente le nebulose favolette dei populismi, tanto a destra quanto a sinistra. Gli stessi mantra dell’antipolitica nei Cinque Stelle, giunti al bivio nelle istituzioni, si spaccano sull’altare del realismo politico: d’altronde c’è chi ci è e chi ci fa, da sempre, con il populismo. Le alleanze si sgretolano, le certezze identitarie si annebbiano. L’Europa invece c’è. Odiata, ripudiata, rinnegata, l’Unione europea è come il respiro che s’inizia a considerare necessario solo quando l’ossigeno scarseggia. L’Europa, quel sogno imperfetto e perfettibile fatto di pane, conti, realismo e quotidianità, si dimostra più solida e più vicina al centro come alla periferia, più concreta e più chiara rispetto al basso politichese a cui gli italiani da qualche anno si stavano abituando. Tuttavia, l’Europa non è una santa, come del resto santo non è alcunché nella res publica. Ci basta l’onestà, intellettuale. Occorre poi usare bene il cervello, sempre; senza mitizzazioni né mutilazioni di spirito: non esiste il “delle due l’una”, in questo caso prevale l’equilibrio.

Se facessimo una ricerca sulle occasioni che come Paese Italia abbiamo perso, sul piano delle riforme strutturali negli investimenti, nella sburocratizzazione, nella giustizia giusta e nelle opere pubbliche strategiche, la lista sarebbe troppo lunga. Se facessimo un’indagine sulle occasioni che abbiamo adesso, con un governo ricco di competenze e un’Unione europea azionista di maggioranza nell’amministrazione delle nostre esistenze nazionali, le aspettative s’irrobustiscono. Altro che “decrescite felici” e “rientri dolci”! Non di retorica utopico-provinciale vivono i progressi delle organizzazioni sociali complesse, bensì di curve di Pil in crescita con uscite dinamiche d’investimento.

Lontani dai bonafedismi giustizialisti, con la ministra Marta Cartabia alla giustizia possiamo sperare di fare un passo in avanti sulla via della civiltà, investendo nella ragionevole durata dei processi che non facciano scappare dall’Italia gli opportuni investitori. Possiamo sperare in una più evoluta certezza del diritto, tanto nel suo versante sostanziale quanto sui versanti processuali e di esecuzione delle pene. Possiamo sperare in un più evoluto grado di costituzionalizzazione della giustizia italiana, spesso bacchettata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e non a caso. Con Brunetta possiamo sperare in una perpetuazione più radicale ed effettiva dell’efficientamento e dell’ottimizzazione nella Pubblica amministrazione. Un non inedito Renato Brunetta può agire partendo dai limiti riscontrati nei controlli sui cicli di performance previsti dalla legge delega numero 15 del 2009, con conseguente decreto legislativo numero 150 del medesimo anno. Quante speranze, per ora provvisorie ma incisive!

Per il Sud con il nuovo governo si prospetta una rimodulazione del ricettario, fino ad ora concentrato sulle costose e inefficienti politiche di mero assistenzialismo, antitetico di per sé al vero sviluppo. Per gli Esteri, invece, il governo Draghi ha dovuto confermare il pentastellato Luigi Di Maio, odiernamente il più noto apostata dell’antipolitica stessa che lo rese politico, ed al contempo il grillino più adatto a garantire stabilità alla compagine istituzionale del momento, rebus sic stantibus. L’Italia ha pure l’occasione di farsi pioniera della green new age, in un’ottica pragmaticamente liberale di transizione ecologica, nonché in contemperamento con le esigenze di crescita per l’industria e l’occupazione aziendale.

Al di là di qualche titubanza inziale sulla questione delle piste sciabili, su questo nuovo governo – emergenziale ma non meramente rimediale – si giuoca la partita di un ritorno all’innovazione, occasionata dai tanti soldi europei per la ripresa post-Covid. Con questa fase governativa di auspicata transizione verso l’architettura economica del domani, si giuoca l’opportunità di aprire in Italia e per l’Italia una nuova stagione euro-liberale, centrale ma senza etichetta centrista. Si apre l’opportunità di percepire effettivamente lo status di cittadini ital-europei, attraverso la sapiente e strategica gestione dei fondi in transito dalle istituzioni sovranazionali. Occorre chiedersi se questo embrionale neo-patriottismo abbia già gli strumenti culturali per partorire l’europeizzazione federale della sanità, della difesa e degli standard formativi d’istruzione richiesti dal mercato del lavoro, odiernamente. Al netto dei buoni auspici italiani, è importante capire come ci vedono i moderati puristi dell’Europa unita, all’estero.

Chiediamo quindi qualche parere su Draghi ad un giurista francese di grande esperienza e con tante primavere politiche alle spalle. Parliamo con Alain Terrenoire, presidente dell’Unione paneuropea internazionale-International pan-european union, l’organizzazione che il filantropo e politico Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi fondò negli anni ’20 del secolo scorso. Sì, proprio quel Kalergi morto nel 1972, che tra il 2015 e il 2016 era stato citato in causa più volte in scritti editi nonché in trasmissioni radiofoniche e televisive, come in uno pseudo-tribunale storico sfornito di prove. Si paventava, secondo alcuni, l’esistenza di un presunto “piano Kalergi” di sostituzione etnica coordinata dall’Europa attraverso i flussi migratori. Ma ritorniamo al 2021.

Il presidente internazionale dei paneuropei odierni è figlio dello storico ministro del generale Charles de Gaulle, Louis Terrenoire, nonché nipote del giornalista ed ex vicepresidente del Consiglio francese, Francisque Gay. Alain Terrenoire – classe 1941 – è stato fondatore dell’Unione dei Giovani democratici europei e all’età di venticinque anni era il più giovane membro dell’Assemblea nazionale in Francia. Ha ricoperto incarichi in varie commissioni tra cui quella degli esteri, ha occupato posti prestigiosi nel gabinetto del ministro della difesa negli anni ’70, è stato membro della delegazione francese presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si è occupato di politica internazionale ed è stato anche consigliere regionale. Nel 1972, proprio nell’anno di morte di quel Kalergi che tanto ancora lo ispira nelle attività della Coudenhove-Kalergi European Society e dell’Unione oaneuropea internazionale, è stato autore e relatore della proposta di legge contro l’antisemitismo, adottata all’unanimità dai deputati francesi.

Per sua stessa ammissione in un colloquio precedentemente intrattenuto prima della seguente intervista, non ha nascosto di essere un equivalente di quello che in Italia è stata la Democrazia Cristiana, sul piano del pensiero politico. Nel rispondere alle domande sulla sua simpatia o antipatia verso Draghi, ha premesso che “salvo nel caso di una situazione particolarmente grave riguardante l’Unione europea, non spetta a me, in qualità di presidente internazionale, intervenire e commentare la politica interna di uno Stato membro”. Tuttavia, è stato ben lieto di rispondere brevemente alle domande della seguente intervista.

È contento di vedere Mario Draghi come presidente del Consiglio dei ministri in Italia?

“Finché l’Italia non modifica le sue istituzioni che non le consentono di avere maggioranze governative durature in Parlamento, e qualunque sia la qualità e la competenza dei suoi leader, il suo governo sarà soggetto alle mutevoli ambizioni della classe politica italiana. Il signor Draghi è un economista e finanziere che è stato un eccellente presidente della Banca centrale europea. Potrà mettere le sue capacità e la sua reputazione internazionale al servizio dell’Italia. E anche nell’interesse dell’Unione europea. Gli auguro di riuscirci”.

2) Draghi ha detto che l’euro è irreversibile, ha posto l’attenzione sulla transizione ecologica, ha assunto una posizione transatlantica sullo scenario politico internazionale. Da francese e da presidente dell’Unione paneuropea internazionale come vede questo approccio del capo del Governo italiano?

“Anche per me l’euro deve essere irreversibile. Quello che mi aspetto ora è che i 27 capi di Stato e di governo accelerino il raggiungimento di un potere dell’Unione europea indipendente, libero, unito e sovrano in tutte le aree che le saranno affidate dagli Stati membri. Sono per un’Europa europea che decida essa stessa e per se stessa la difesa di tutti i suoi interessi”.

Cosa manca al presidente Draghi per essere un presidente del Consiglio ancora più interessante ed appetibile nelle relazioni internazionali? 

“Non sono in grado di rispondere a questa domanda”.

Ho definito il governo Draghi come programmaticamente riformista e politicamente divergente rispetto alle logiche istituzionali a cui ci stavamo quasi abituando in Italia. Quanto è paneuropeo Mario Draghi? Si può essere patrioti della propria nazione e nello stesso tempo paneuropei?

 “Un paneuropeo è un patriota nel e per il suo Paese”.

Ringraziando Terrenoire per la disponibilità a darci un breve parere su Draghi, si ricorda che l’Unione paneuropea internazionale è un’organizzazione laica che vuole diffondere l’idea di un’Unione europea federalista e a tradizione culturale sostanzialmente cristiana. Per quel che ci ha detto Alain, oltre al non manifestare il proprio giudizio sul grado di pan-europeismo di Draghi, non si può omettere di evidenziare la sua iniziale critica al sistema istituzionale dello Stato italiano. Terrenoire ha infatti sostenuto che l’Italia necessita di una modifica nelle sue istituzioni, con il fine di avere maggioranze governative durature in Parlamento. L’anziano e autorevole politico paneuropeo ha anche posto l’attenzione sul fatto che la qualità e la competenza dei leader di governo non basterà per tenere a bada le mutevoli ambizioni della classe politica italiana.

Sul carattere di mutevolezza potremmo chiedere – per esempio, non casuale – ai nostri due Matteo nazionali, e alle loro rispettive basi partitiche nella Lega e in Italia Viva: avrà ragione Terrenoire? La punzecchiatura all’Italia arriva dritta, in uno stile sintetico e preciso, da parte di un uomo che da più di sessant’anni fa politica dentro e fuori le istituzioni in un mondo nel frattempo sempre più globalizzato. Suvvia (!), con diplomatico orgoglio italiano l’augurio di buona riuscita a Mario Draghi ci basterà.

Aggiornato il 26 febbraio 2021 alle ore 12:04