Catto-liberali: contro comunismo e catto-khomeinismo

La laica Italia e lo Stato enclave Vaticano sono terra eterogenea di sani confronti reciproci, anche intensi, ma senza più gli otto-novecenteschi scontri duri tra forze laiciste e forze cattocentriche. Le battaglie intercorse tra queste due forze hanno smesso, infatti, di occupare gli scranni della narrativa dominante, e gli antichi rigori e rancori hanno perso l’inutile sapore della mors tua vita mea. La storia, al netto d’ogni Eden escatologico, ha smesso di farsi raccontare non solo come “storia di lotta di classe” ma anche come storia di scontri all’ultimo sangue fra teocrazie e ateocrazie di maniera. Se ne facciano una ragione coloro che s’autoerotizzano anacronisticamente, trascinandosi con questioni marx-leniniste e questioni romane.

Gli orgogli laicisti adesso per lo più riposano appagati, davanti ai costumi aperti dei palchi musicali, sulle nuove frontiere individualiste delle personologie neo-costituzionali e, perché no, sotto le agitate lenzuola nelle camere da letto, dove peculiari libertà italiche non hanno mai conosciuto troppi confini. Sugli equilibri e sulle vertigini del neo-laicamente corretto, alle narrazioni giornalistiche del nuovo millennio, non restano che gli scontri interni alla chiesa cattolica con le sue correnti. Questi scontri paradigmatici, uscendo dal canonico, coinvolgono la dimensione civile, in una dialettica tra fazioni ideologiche con una “destra” intransigente e una “sinistrasociale che altrove non esistono più. La cattodestra e la cattosinistra non corrispondono propriamente alle destre, nonché alle sinistre della politica del Regno d’Italia e della Repubblica italiana, ma le ricordano di più, se paragonate alle destre e alle sinistre valoristicamente nebulose dell’oggi. Così, di fronte all’attuale qualunquismo politico del parlamentarismo italiano, le nette divergenze ideal-tipiche che si misurano all’interno del Vaticano risultano più marcate.

E ci vuol poco a spiccar dall’enclave, nella valle dei bisticci ipo-politici del mainstream che anima i Palazzi Montecitorio e Madama. I letti dei fiumi dialettici prosciugati dalla recente storia populista poco pop, d’altronde, non possono restar vuoti né digiuni di passioni. Gli spazi di scontro, lasciati vacanti dalle correnti politiche italiane vengono occupati dalle costruzioni conservatrici e innovative del realpolitik vaticano.

Il Vaticano ai tempi di Papa Bergoglio si è colorato di etiche socialiste confuse, che anelano a più giuste economie capaci di ascoltare le tragedie e i bisogni degli inascoltati per antonomasia. Il Vaticano, ai tempi di Bergoglio, vive una stagione in cui da un lato ci sono grossi scandali patrimoniali e dall’altro si stampano encicliche che declassano il valore della proprietà privata. Ai tempi di Bergoglio, però, si assiste anche ad una bipolarizzazione dei gruppi cattolici. Da un lato, ci sono gli amanti di un Papa che soggettivamente ha belle intenzioni e valori umanitari profondi. Dall’altro, ci sono le fasce più conservatrici che contestano il look spirituale e sociale del Papa latino-americano, per rinchiudersi nell’omaggiare il look del Papa emerito tedesco, cresciuto con inutili e anacronistiche pose aristocratiche, poco borghesi. Dove sono finiti i wojtyliani?

La nettezza dei messaggi socialisti, ambientalisti, pacifisti di Papa Francesco trova il proprio alter ego nelle reazioni delle nicchie più estreme del conservatorismo. E ciò si riflette, in maniera distorta, su alcune contrapposizioni politiche ed etiche nel confuso panorama sociale, che da un lato tifa con tricolori e rosari nelle piazze e dall’altro con “Bella ciao” e le Ong. Di quanti dualismi-bomboniera soffre questo tempo post-ideologico? Nel Vaticano e nella Repubblica d’Italia tra i cattolici sembra mancare una seria opposizione alternativa al modello bergogliano. Le opposizioni attuali si limitano a rifugiarsi in archeologie clericali o in scetticismi antimodernisti, che non reggono il confronto con le realtà. L’incapacità da parte di queste frange reazionarie di coniugare conservazione e nuove libertà, l’eccessivo distacco degli anti-bergogliani rispetto ai volti pragmatici del tessuto produttivo, professionale e familiare degli stessi cattolici, rendono ridicole – in quanto anacronistiche – le correnti catto-conservatrici di questo tempo. I più radicali conservatori cattolici odierni sono del tutto disconnessi dai lumi equilibrati dei conservatori liberali europei e statunitensi, nonché incapaci di far fronte comune con questi ultimi.

Se si considera, per esempio, qualche slogan dell’Associazione tradizione famiglia proprietà, intransigente verso i progressismi e apertamente amante invece degli elitarismi secondo le dottrine di Plinio Corrêa de Oliveira, si noterà un abuso della parola “crociata”. Ma quale crociata contro le modernità si pretende di fare? Occorrerebbe relativizzare gli ego che si agitano nelle dialettiche; bisognerebbe ripercorrere i propri autoreferenzialismi metodologici con un po’ di sano altruismo, per arricchire e umanizzare senza retoriche le analisi etiche e politiche, tra incontri e scontri con gli ego degli altri. L’Associazione tradizione famiglia proprietà, e non solo, sembra cadere in innocue distorsioni assolutistiche. Servirebbe perciò un appunto, nei confronti di questi nuovi paladini della conservazione.

Chi ama la proprietà dovrebbe amare le libertà responsabili. Come si può parlare con un linguaggio che riecheggia le tragedie delle crociate, se si vuole difendere il concetto di proprietà? Proprietà è indipendenza, proprietà significa anche riconoscimento dei propri limiti per rispettare gli spazi di libertà e autodeterminazione degli altri proprietari. Proprietà significa essere titolari degli strumenti del proprio ego, entro gli spazi e non oltre gli spazi del proprio io, nel rispetto degli spazi degli ego altrui. Come si può parlare di crociate se si è tradizionali, familiaristi e proprietaristi? Il conservatorismo liberale – anzitutto quello statunitense – ama la tradizione delle libertà del cittadino nelle varie sfere, civili e religiose; il conservatorismo liberale ama il sostentamento e lo sviluppo morale e materiale della famiglia come istituzione. Il conservatorismo liberale ha incarnato la tradizione proprietaria quale frutto del lavoro dell’individuo sovrano, libero dai lacci di una madrepatria divenuta matrigna in quanto irrispettosa del principio “no taxation without representation”.

Come si può alterare questo sano individualismo sociale di cultura liberale, basato autenticamente su tradizione, famiglia e proprietà, parlando – seppur in modo figurato – di crociate o di altri fardelli che organicizzano l’io, assorbendolo entro riquadri stanchi e retrogradi, in cui la persona resta omologata, prigioniera ed espropriata più che proprietaria? Nella qualunquista penuria d’idealtipi politici, ai cattolici restano i due poli organicisti del catto-comunismo del catto-khomeinismo? Che alternativa opprimente, tra l’incudine e il martello. Alla penuria di valori quale anticamera del nichilismo, così, succederebbe una pericolosa bipolarizzazione etica, assolutista e inopportuna. Stando ancora così le cose in questo tempo, non si può pretendere di giungere ad una raffinatezza catto-libertaria, ma certamente è tempo di riappropriarsi delle tradizioni faticosamente conquistate in Occidente negli ultimi secoli. È tempo di difendere queste tradizioni liberali per approfondirle e favorirne l’evoluzione. Senza bagni nel passato, in un certo senso, è tempo di ristudiare quel “conservare progredendo” che illuminò l’Ottocento del Congresso di Vienna. E non solo.

Contro il catto-khomeinismo – retrogrado nonché falsamente conservatore – e lontani dai rischi del catto-comunismo, i cattolici delle società occidentali odierne potrebbero riscoprire la bellezza di un terzo polo: nell’equilibrio che ama la politicità senz’aprioristicamente giudicare, all’insegna di una sensibilità catto-liberale.

Aggiornato il 26 marzo 2021 alle ore 11:42