Di fronte al Covid smarriti e divisi

martedì 13 aprile 2021


Tutto insegna nella vita. L’essere umano è fatto per apprendere e per l’apprendimento, non importa che ciò venga dal bene o dal male e spesso il male insegna più del bene, perché la sua spinta d’emergenza e dolorosa determina impennate di discernimento e di ragione. Eppure, in questa esperienza del Covid-19 non sembra funzionare così, almeno nel breve, poiché invece di balzi e progressi affoghiamo sempre di più nell’incertezza e nella confusione.

Lo ha spiegato bene, su Repubblica, Ezio Mauro in un articolo dedicato alla crisi del lavoro, la seconda infezione che rischia di fare oltre 4 milioni di disoccupati quando finirà il blocco dei licenziamenti: “Stiamo smarrendo un’interpretazione condivisa della crisi in cui siamo immersi – fa notare Mauro – dopo un anno il logoramento umano, economico e sociale operato dalla pandemia non innesca una capacità di ricomposizione unitaria del fenomeno, ma lascia via libera alle letture parziali, alle valutazioni contrapposte, alle strumentalizzazioni interessate. Lo Stato e le Regioni hanno punti di vista discordanti; i virologi non hanno ancora trovato una risposta univoca agli interrogativi dei cittadini; le aziende farmaceutiche si contraddicono sui rimedi; l’Europa sbaglia il calcolo dei vaccini e gli Stati nazionali lo stanno riformulando; i partiti che sostengono il governo hanno idee contrastanti sulla gestione dell’emergenza e sulla gerarchia delle urgenze. Soltanto il virus è uno, ha coscienza genetica di sé e sa dove andare”.

Il problema del lavoro è una emergenza grave, ma la parcellizzazione della ragione, anzi la frantumazione della realtà in tanti rivoli e letture contrapposte, tra negazionismi e allarmismi, rischia di essere il male peggiore, perché rischia di disperdere quel dono unico che ha fatto grande il genere umano in un cammino che ha solcato i secoli. Dall’homo sapiens al cogito ergo sum, alla razionalità kantiana ed hegeliana, la storia dell’uomo ha teso alla ricerca di regole razionali e universali soprattutto nella scienza. Cioè la ricerca del principio unico di tutte le cose, pur nel mare magnum delle diversità, ma optando per la loro composizione, per il superamento del difforme verso l’unità.

Oggi, invece, il mondo sembra aver smarrito la logica, o meglio l’obiettività. Non vi è più nulla di unico e ragionevole, di credibile e sensato per categorie universali di uomini, ma nell’ansia di sconfiggere le diversità dei generi abbiamo consumato la realtà. Voler vedere tutto uguale non ci fa vedere più nulla. Il genio del creato è che su miliardi di uomini “tutti uguali”, che si ripetono da miliardi di secoli, non è mai nato un essere perfettamente identico ad un altro e la clonazione è l’aberrazione, non la libertà. Per cui attenzione nell’ansia di uguaglianza a non consumare il principio della “differenza”, che contiene molte più libertà di ciò che pensiamo. E non spingiamo oltremodo sul valore della difformità di vedute, perché il caos delle idee è come l’universo disordinato e scomposto prima del Big Bang.

La storia è storia di lotte tra gruppi, ma la fatica delle contrapposizioni sia anche la via per l’approdo alle ragioni supreme e condivise. Ciò che serve al mondo di oggi non è un caleidoscopio di verità, di modi di vedere, di interpretazioni per cui si è smarrita la consapevolezza. Il Covid è anche questo, l’esito di una biologia spezzata. Di fronte a un virus imprevedibile e sconosciuto non sappiamo più cosa sia negativo e positivo, cosa sia giusto e sbagliato, cosa sia bene e cosa sia rischioso con tutti i mezzi tecnici e innovativi di cui disponiamo. “Senza un criterio unitario di giudizio diventa complicato stabilire le priorità degli interventi”, osserva Ezio Muro.

Dovremmo ricordarci dove abbiamo disperso questo criterio unitario che era il dono che ci distingueva. Dovremmo tornare a quegli anni Settanta che hanno ciancicato, logorato, imbrattato e consumato tutto il “credo”. Da allora guai ad avere un’idea universale, equivalente a un’imposizione, a una dittatura del pensiero. Ricordo una disputa liceale fino alle grida sul fatto che non era democratico convenire tutti che il bianco fosse bianco, perché ciascuno doveva essere libero di vedere ciò che voleva. La libertà, si diceva, di vedere le cose col proprio umore, metodo e sentire.

Io credo che la sfida di questo virus sia proprio ritrovare la ragioni condivise, ossia l’obiettività, il criterio universale. E anche questo governo disperato di emergenza e di unità dovrebbe avere questo fine, cioè ricomporre le difformità nell’antico schema del dibattito, del confronto, delle valutazioni, del rispetto delle opinioni per approdare a verità che non siano della politica. La ragione non ha i colori dei partiti, sono i partiti che devono saper interpretare al meglio ragioni valide per un numero ampio di individui e soprattutto proporre loro il bene. La ragione è della natura, di cui l’uomo è un cercatore di senso e di regole. Per questo la sfida del centrodestra è vincere incertezza e divisione per offrire una forte unità di vedute su valori universali, che riguardino soprattutto la famiglia, il lavoro e la vita.


di Donatella Papi