Meno male che Silvio c’è: il senatore Spaventa

Transpartitismo e politically queer contro il gender giacobino

Quando il cittadino medio è spaventato dai sistemi di dominio egemonico, incastonati nei chiaroscuri degli apparati sub-culturali e cultuali, religiosi, politici, burocratici, non basta il vezzo delle mezze libertà, per salvare i corsi e i ricorsi delle democrazie reali. Non basta l’illusione di appostarsi come leoni su Facebook, o come tigri su Twitter; non basta avere uno smartphone ed una connessione potente, non occorre diventare i personaggi che ci permettono di diventare, senza essere davvero cittadini. Non serve nemmeno vivere ai margini degli spazi irrorati dalle egemonie culturali, e nemmeno sentirsi troppo diversi o alternativi, rispetto a chi mastica minori consapevolezze sul sociale. Non serve spaventarsi bensì spaventizzare, dialetticamente, i dibattiti. Patriota liberale, ottocentesca figura senatoria della migliore Destra storica: Silvio Spaventa. Un altro Silvio, dal passato. Gli 84 anni di Berlusconi sono troppo pochi per i tempi della storica Destra liberale. Forti delle fondamenta storico-politiche sulle migliori tradizioni, consapevoli dei sacrifici da sostenere per la conquista equilibrata del futuro liberale, che potrebbe attenderci, non ci resta che sostituire allo spavento lo Spaventa; al disorientamento politico una più prognostica nonché fattiva memoria.

Iniziamo. Oltre il carattere disordinato delle destre attuali, oltre le ancor più confuse, disorientate e disgregate post-sinistre, ricominciamo ad ammirare una vita politica azionista e memoriale, per ora soltanto sperata. Ricominciamo dalle migliori basi. Se la politologia è azione di memoria, d’altronde, la politica è memoria d’azione. Se negli studi politichesi chi non ricorda può essere esonerato, in politica chi non agisce è a prescindere dimenticato.

Il patriota Silvio Spaventa disse: “Ma questa direzione dello Stato, data al partito preponderante, non deve opprimere lo Stato, cioè la giustizia e l’eguaglianza giuridica, che ne è l’anima informativa, la giustizia per tutti e verso tutti, così per la maggioranza come per la minoranza. La protezione giuridica… deve essere intera, eguale, imparziale, accessibile a tutti, anche sotto un Governo di parte. L’Amministrazione dev’essere secondo la legge e non secondo l’arbitrio e l’interesse di partito; e la legge deve essere applicata a tutti con giustizia ed equanimità verso tutti”. Sono parole audaci, proferite da Spaventa nel suo discorso Giustizia nell’Amministrazione, pronunciato presso l’Associazione costituzionale di Bergamo il 7 maggio 1880. Circa tre anni prima rispetto alla morte di un altro genio, incompreso, che in vita sbagliò i calcoli sui tempi democratici e sulla tendenza produttivista nonché proprietarista dell’essere umano: tre anni prima della morte di Karl Marx.

La giustizia deve essere accessibile a tutti, alle maggioranze come alle minoranze: lo ha sottolineato più volte Spaventa, nel corso della sua vita politica. Sono da rifuggire quindi tutte le neo-giacobine esperienze di vendetta sociale, o civile, tra gruppi di persone prima oppressi e poi nuovi dominatori, predatori illiberali che vogliono mettere mano sui cavilli giuridici per sovvertire l’insieme armonico dello Stato liberale. L’alternanza tra gruppi politici invece, nella direzione statuale, non deve farsi mai alternanza feroce, fagocitante, irreciproca al rispetto ma reciproca solo nell’odio. L’abbattimento del nemico non è una caratteristica della Destra storica e dello Stato liberale puro; quel tipo di abbattimento irrazionale ed isterico appartiene alle dittature fasciste e comuniste, ed ai loro surrogati postumi. Il partito di volta in volta preponderante, qualsiasi esso sia, non può opprimere la vita civile dei cittadini, secondo Spaventa.

Nessuna egemonizzazione culturale della politica può rendersi solitaria sui libri e nei programmi di scuola, nessuna egemonia che funzionalizzi le classi intellettuali dovrebbe precarizzare i lavoratori della scrittura, della cultura, dell’arte, per renderli fragili e malleabili nelle mani delle partitocrazie mobili nonché camaleontiche. La cultura, per non essere oppressa, necessita di una scuola che non si proclami buona senza prima divenir tale. La cultura necessita di libertà di opinioni plurime, senza mannaie e senza ipocrisie aprioristiche. La dialettica di cui necessita la libertà culturale non è rappresentata dallo schematismo delle dialettiche ideologiche. Queste ultime abituavano i propri adepti a favole, purtroppo verosimili, secondo cui i gruppi sociali che si sentono oppressi hanno la missione necessaria e dialettica di organizzarsi come classe egemonica di nuovi oppressori senza scrupoli.

La dialettica hegeliana ci ha grossomodo abituati a vedere una antitesi che si contrappone ad una tesi, per realizzare una sintesi che conservi e riaffermi i caratteri già morti della propria tesi. La dialettica marxiana ci ha abituato allo scontro, tra una tesi ed una antitesi, che partorisce utopie e dittature sintetiche. Ciò che ci resta è l’aspirazione ad un volto più liberale dei Paesi, all’interno della giustizia e nella conduzione delle economie produttive, nel rispetto dei diritti umani in divenire. Queste tipologie di dialettica possono trovare vettori valoriali nuovi, umanisti, per farsi a misura delle missioni dell’uomo concreto, e non a misura di disumane vocazioni dittatoriali, libresche o liberticide. Il post-proletariato vuole farsi gente, semplicemente, gente composta da individui liberi di crescere attraverso le progressive capacità lavorative di ciascuno, secondo i propri bisogni e secondo le proprie aspirazioni di benessere. Il post-proletario, desovietizzato, si è riscoperto un individuo capace di lavorare e d’investire nel proprio arduo futuro lavorativo, economico e familiare, verso la propria rivoluzione di crescita personale in società.

Le future società libere potrebbero essere società socio-economicamente fluide nel progresso, e quindi rotte di schemi post-ideologici, una volta che le ideologie del passato saranno lontane, contestualizzate pacificamente negli specifici secoli trascorsi e vissuti. Le società rotte di schemi liberticidi, e quindi economically queer, potrebbero divenire delle verosimili società anche politically queer, idonee a rompere con equilibrati metodi transpartitici le apnee atrofizzanti del medioevo leninista ad egemonia partitocratica sovietica e post-sovietica. Secondo quest’ultima il proletariato industriale avrebbe potuto essere solo un mero blocco monolitico o spersonalizzato di elementi, utili in quanto utilizzabili entro i confini di una rivoluzione confusa, facilmente tradibile, corruttibile, deviabile nonché strumentalizzabile in favore di nuove oligarchie statolatriche.

Ogni strascico di quelle dialettiche depressive e spersonalizzanti può e deve essere contrastato, sulla via di un neo-repubblicanesimo che conservi le sacre libertà costituzionali per un futuro di progressi, in ogni campo delle scienze produttive umane, sociali, tecnologiche. In mezzo alla valle confusa di nichilismi e macerie ideologiche, possiamo iniziare a lambire un futuro di battagliere relatività non relativiste, con alleanze plurali, vertenziali, politicamente queer e transpartitiche, idonee ad interpretare i nuovi bisogni di libertà, nonché capaci di opporsi all’illibertario neo-giacobinismo gender, ormai sempre più strumentalizzato dalla grande finanza. Intanto, possiamo già porci di fronte all’ulteriore corso della storia civica con un animo più spaventiano e meno spaventato. “Meno male che Silvio c’è” (non si fraintenda): più Spaventa, meno Lenin.

Aggiornato il 26 maggio 2021 alle ore 10:43