Costituzione e obbligo fiscale

martedì 1 giugno 2021


La settimana scorsa il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, ha proposto di aumentare l’imposta sulle successioni riguardante i patrimoni che superano un milione di euro, arrivando a proporre di applicare un’aliquota del 20 per cento su quei patrimoni che eccedono i 5 milioni di euro.

Questo aumento sarebbe innestato in una riforma strutturale del fisco e questo aumento dell’imposta sulle successioni, che riguarderebbe solo l’uno per cento degli italiani, consentirebbe di creare un fondo da destinare a tutti quei giovani che vivono sotto un determinato reddito, precisando che non riguarderebbe il ceto medio, ma solamente il ceto sociale più ricco degli italiani.

Prima di entrare nel merito della proposta di Enrico Letta, sarebbe opportuno analizzare ciò che afferma la nostra Costituzione riguardo al dovere di tutti i cittadini di contribuire al pagamento del fisco. L’articolo 53 della Costituzione recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Quindi questo dettame costituzionale stabilisce che tutti i cittadini italiani, o stranieri, che hanno interessi economici in Italia sono obbligati a contribuire alle spese che lo Stato sostiene, in ragione della loro capacità contributiva, applicando dei criteri di progressività.

In particolare, gli introiti che lo Stato ricava dal gettito fiscale devono basarsi su criteri di giustizia distributiva ed eguaglianza del carico tributario, tenendo conto dei principi suddetti. Da ciò si evince che il costituente ha previsto che il sistema fiscale debba basarsi sul criterio di progressività, il quale postula che ciascun cittadino debba concorrere a sostenere finanziariamente la spesa pubblica in base alla propria disponibilità economica, in modo tale che, superate determinate soglie di reddito, chi possiede maggiore disponibilità contribuisca di più di coloro che posseggono un reddito più basso.

Quindi secondo i principi costituzionali non è illegittimo aumentare il contributo fiscale per coloro che detengono un reddito molto più ricco della maggioranza dei cittadini. Infatti, l’attuale normativa sull’imposta sulle successioni già prevede delle differenze di contribuzione fiscale in rapporto al principio di progressività. Secondo la normativa vigente in Italia, l’imposta sulle successioni e sulle donazioni (Isd) viene applicata a tutte le eredità e alle donazioni tra vivi, con aliquote e franchigie differenziate a seconda del grado di parentela tra chi effettua e chi riceve il trasferimento di beni.

Nel dettaglio, la legge stabilisce che per i trasferimenti in favore del coniuge o di parenti in linea retta (figli, nipoti, genitori) l’aliquota è pari al 4 per cento del valore ricevuto (al netto degli eventuali debiti), ma ogni beneficiario ha diritto a una franchigia di un milione di euro, cioè non paga nessuna imposta se la quota di eredità o la donazione che riceve è inferiore a un milione. Per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle l’aliquota sale al 6 per cento, con una franchigia per ciascun beneficiario pari a 100mila euro; per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, l’aliquota resta al 6 per cento, ma non si applica alcuna franchigia. Inoltre, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti l’aliquota è dell’8 per cento e non vi sono franchigie.

Riguardo a quanto finora esposto, bisogna precisare che l’imposta sulle successioni è esclusa per alcune specifiche tipologie di beni come i titoli di Stato italiani e di altri Paesi Ue; le aziende, i rami di azienda o le quote di controllo in società di capitali, se i parenti in linea retta o il coniuge proseguono nell’esercizio dell’attività per un periodo di almeno cinque anni dalla data del trasferimento; il Tfr e le prestazioni erogate dai fondi di previdenza complementare; i veicoli iscritti nel Pubblico registro automobilistico; le polizze vita.

Per una analisi più oggettiva è altrettanto rilevante precisare che la maggioranza delle ricchezze di grandi dimensioni sono detenute all’estero e sono molto spesso occultate al fisco tramite mandati fiduciari o trust fund, con la conseguenza che l’imposta sulle successioni colpisce soprattutto le proprietà immobiliari appartenenti al ceto medio.

Questa proposta di Letta ha generato il putiferio tra le forze politiche, scaturendo delle discussioni polemiche e sterili, molto spesso basate su slogan propagandistici anziché concentrate su una seria e responsabile analisi riguardante il merito della proposta e sui suoi risvolti costituzionali. Gli italiani avrebbero, almeno per una volta, diritto di capire meglio quanto sia giusto o non giusto riformare l’imposta sulle successioni con un confronto costruttivo ed esplicativo, esente dalla caotica e molto spesso volutamente incomprensibile bagarre della nostra classe politica, perché solo con un confronto serio potremmo comprendere meglio come migliorare lo Stato di diritto e quindi il rispetto della Costituzione, anche su tematiche così fondamentali per la nostra economia e per la nostra stessa libertà economica, come l’obbligo fiscale dei cittadini nel partecipare, secondo il principio della progressività reddituale, alle spese sostenute dallo Stato – e quindi dalla collettività – per l’erogazione dei servizi e per i beni della cittadinanza.

Proprio con l’intento di applicare questo modus operandi, fondato sul confronto serio sul merito della questione, il sottoscritto intervisterà l’economista professor Carlo Cottarelli su tale argomento, durante la quarta puntata della rubrica “Cura Ri-Costituente” sul canale “L’Opinione Web Tv”, sperando di contribuire a far comprendere meglio se sia giusta o meno la proposta di Letta e quanto sia costituzionalmente necessaria o meno l’imposta sulle successioni.


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno