La politica e il giallo Eni, Amara rischia come Mattei

venerdì 11 giugno 2021


Nel Dopoguerra, quando la Democrazia Cristiana dava mandato ai propri uomini (col tempo appellati come boiardi di Stato) di ricostruire l’economia italiana, la politica garantiva che le grandi aziende di Stato potessero contare su una scorta insindacabile, erano i fondi neri: con questi ultimi sono stati confezionati i grandi affari internazionali che hanno portato soldi verso l’Italia degli anni ’50, ’60 e ’70. Enrico Mattei, Eugenio Cefis, Paolo Bonomi, Giulio Viezzoli… tutti nomi che forse non diranno nulla alla generazione smart, ma erano negli anni del benessere importanti imprenditori per conto dello Stato: operavano nel mondo e spesso erano costretti a fare bei regali a capi di Stato esteri, ministri, sovrani, sceicchi, sultani e capi tribù vari.

Il loro obiettivo? Far arrivare l’Italia a chiudere un affare prima di Francia, Belgio, Olanda ed Inghilterra. L’unica clausola che la Dc poneva era doversi accertare che su quell’affare di materie prime (ma anche preziosi o commesse varie) non vi fosse un preciso interesse di colossi statunitensi, perché diversamente la politica doveva studiare la situazione per decidere se trattare con gli americani o lasciar perdere: questa clausola capestro era dettata dal fatto che l’Italia aveva perso la guerra.

Poi è caduta la Prima Repubblica, e da quasi trent’anni a questa parte la magistratura solleva il sospetto di corruzione per in ogni affare delle aziende italiane nel mondo. Resta il fatto che, il giorno dopo il deposito delle motivazioni della sentenza che assolve tutti gli imputati nel processo Eni-Nigeria, è avvenuta l’iscrizione nel registro degli indagati del procuratore aggiunto di Milano (Fabio De Pasquale) e del pm Sergio Spadaro con l’ipotesi di “rifiuto d’atti d’ufficio in relazione al processo Eni/Shell-Nigeria”. Sono tutti indagati a Brescia, e “come atto dovuto” sottolinea il procuratore di Milano, Francesco Greco.

Una vicenda che prima del 1989 non sarebbe mai capitata, perché a lume di buon senso se è difficile e laborioso dimostrare la corruzione su suolo italiano, figuriamoci tracciare un simile reato in Africa o in qualsivoglia sperduto staterello. A patto che la magistratura, dopo aver commissariato (dal 1992) la politica non voglia oggi procedere altrettanto con le multinazionali italiane. A questo sillogismo ci arriviamo un po’ tutti. Invece di pestare l’acqua nel mortaio con le solite storie trite e ritrite, interesserebbe sapere come mai corre voce che l’iscrizione nel registro degli indagati dei magistrati milanesi risalirebbe ad una decina di giorni fa: ovvero dopo l’interrogatorio del pm Paolo Storari, indagato a Brescia per i verbali dell’avvocato Piero Amara. Quest’ultimo è l’ex legale dell’Eni: proprio la gola profonda della “Loggia Ungheria”, già condannato per corruzione in atti giudiziari, ed oggi arrestato secondo le solite malelingue per evitare che parli troppo.

È evidente che Amara sia a conoscenza di verità inconfessabili che, a detta di addetti ai lavori, scoprirebbero le coperture alle logge con raggio d’azione nella giustizia, nei lavori pubblici, nell’energia, nella sicurezza, nella sanità… soprattutto si teme che, la cancrena arrivi ai nomi della super-loggia che comanda su tutte ed è diretta emanazione della Loggia Maat di Washington. Il re è nudo o Dio è morto? Difficile e compromettente rispondere a certe domande. Emerge quanto vertici di Eni e magistratura siano per autorevolezza e potere di gran lunga superiori all’esercito di senatori ed onorevoli che oggi occupano i Palazzi. Nella Prima Repubblica la politica regolava la vita di toghe ed Eni, oggi i parlamentari obbediscono ed assecondano grandi aziende e magistratura.

La Procura di Brescia si sarebbe mossa per competenza, e per via del video che scagiona i vertici Eni: forse occultato dall’accusa milanese per continuare a sostenere la colpevolezza dei vertici della società petrolifera. Ma chi avrebbe avuto interesse ad azzerare i vertici di Eni e quindi la politica espansiva in Africa della multinazionale italiana? Domanda a cui difficilmente ci sarà mai risposta, un po’ come cercare i veri mandanti dell’omicidio di ambasciatore e carabiniere nel Congo, o sapere chi avesse interesse ad uccidere Giulio Regeni in Egitto e via con casi simili.

Resta il fatto che l’avvocato Piero Amara è a conoscenza di verità infernali: perché è stato Amara a filmare di nascosto l’ex dirigente Eni, Vincenzo Armanna. Dal video emergerebbe l’intento di gettare fango su alcuni imputati e sull’Eni. Ci domandiamo chi avesse interesse a danneggiare l’Eni, soprattutto se non si debba ipotizzare una sorta di spionaggio internazionale teso a depotenziare l’Eni, e per eliminare uno scomodo concorrente soprattutto in Africa. Armanna viene licenziato dall’Eni e poi diventato il grande accusatore: perché i magistrati lo reputano credibile? Nelle motivazioni dei giudici nel processo Eni/Shell-Nigeria si legge: “Volontà di Armanna di ricattare i vertici Eni, lasciando chiaramente intendere a Piero Amara che le sue dichiarazioni accusatorie avrebbero potuto essere modulate da eventuali accordi, facendo un chiaro riferimento a Descalzi”.

Siamo in presenza d’un intrigo internazionale, e l’Eni non è nuova a questi fortunali: non dimentichiamo che Enrico Mattei (il fondatore dell’Eni) venne redarguito dai vertici della Diccì d’osservare la regola della precedenza Usa sugli affari petroliferi, forse la sua morte è addebitabile allo sgambetto alle “Sette Sorelle” nei contratti con la Persia. Se già ai tempi di Mattei l’Eni impegnava miliardi di lire o dollari nel concludere una trattativa estera, come potrebbe l’Eni di oggi essersi fatta scoprire per miseri cinquantamila dollari?

Perché tra i documenti analizzati dal pm Paolo Storari (inchiesta Eni-Nigeria) c’è come prova di corruzione un versamento da cinquantamila dollari: il danaro passava da un conto di Armanna a un teste nigeriano, Isaac Eke. Somme come cinquantamila dollari vengono impiegate quotidianamente all’estero da tutte le multinazionali, si tratta d’importi pagati per contanti e senza corrispettivo di tracciabilità fiscale. Brescia indaga per capire se questo bonifico sia stato creato ad arte da Armanna per tirare l’Eni in un processo.

Oggi la politica, piccina ed impotente, assiste ad una lotta tra magistrati ed Eni, ed ancora tra magistrati e magistrati come tra poteri internazionali ed Eni. Così Amara ha fatto aprire a Perugia l’indagine per la fantomatica associazione segreta fatta da magistrati romani e David Ermini (vicepresidente del Csm) ha risposto “i pm scoprano chi vuole delegittimare la magistratura”. Intanto il processo Eni/Shell Nigeria ha tutta l’aria di polpetta avvelenata internazionale per depotenziare la multinazionale italiana in Africa. Non dimentichiamo che l’Eni è in molti Paesi esteri il nostro vero servizio diplomatico, la sua sicurezza viene gestita da 007 con esperienza pregressa nei servizi dello Stato italiano.

La morte dell’Eni agevolerebbe in Africa le multinazionali francesi, inglesi ed olandesi… ma tutto questo è ignoto a gran parte dei politici attuali. Una bella spy story: per scongiurare che finisca tutto nel solito mistero senza spiegazione, è necessario che lo Stato coccoli i testimoni Armanna ed Amara… evitando che venga servito loro lo storico caffè ristretto.


di Ruggiero Capone