Roma e miasmi: è caos rifiuti

Dopo l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia, la Capitale d’Italia è ora ad un passo da una nuova crisi igienica. La situazione è tale che i cittadini romani rischiano di dover indossare le mascherine ancora a lungo per proteggersi dai miasmi che provengono dalle montagne di rifiuti lasciate marcire al sole sotto queste temperature torride di inizio estate.

In questi anni il Campidoglio e la Regione Lazio non sono stati in grado di tamponare l’emergenza rifiuti e continuano con lo scaricabarile. Ma la domanda che molti si pongono è la seguente: la responsabilità della cattiva gestione dei rifiuti a Roma è del sindaco Virginia Raggi o del presidente Nicola Zingaretti? Raggi ha commesso tanti errori: ha abbindolato i cittadini facendogli credere che i rifiuti spariscono con la bacchetta magica, ha raggiunto solamente il 46 per cento di raccolta differenziata dopo 5 anni di Amministrazione (senza dimenticarsi del fallimento della raccolta a porta a porta che assorbe molte risorse finanziarie e che non si è rivelata adatta a tutte le zone della città), ha aggravato la situazione economico-finanziaria della municipalizzata Ama e ha provocato un caos nella governance della stessa, facendo dimettere diversi dirigenti apicali. Poi ha licenziato due assessori all’Ambiente e non ha una minima idea di come si debba attuare una vera economia circolare.

Zingaretti è corresponsabile se non il vero colpevole della situazione di degrado. I motivi? Il Testo unico ambientale stabilisce che la Regione ha, tra le diverse competenze in materia di rifiuti, il compito di: approvare progetti di nuovi impianti, autorizzare le modifiche degli impianti e l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero e di predisporre il piano regionale di gestione dei rifiuti. Bene, anzi male. Dal 2013 ad oggi il presidente Zingaretti ha chiuso la discarica e il termovalorizzatore di Colleferro, ha bloccato il progetto di impianto di gassificazione di Albano Laziale e quello di Malagrotta (con delle modifiche progettuali quest’ultimo sarebbe in grado di produrre anche idrogeno verde a impatto zero quale combustibile essenziale per la transizione ecologica) e altri impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti nel territorio romano e continua a demonizzare i termovalorizzatori di ultima generazione (dal 2019 il Lazio ha un solo termovalorizzatore a San Vittore del Lazio con una capacità massima trattata di 400mila tonnellate all’anno), al punto che nel Piano regionale 2019-2025 non vi è traccia e si privilegia un numero elevato di discariche nel territorio. Di conseguenza, il Lazio è costretto (dietro le sue evidenti responsabilità) a raggiungere accordi economici onerosi con diverse Regioni italiane per portare i rifiuti indifferenziati nei vari Tmb (trattamento meccanico biologico) e termovalorizzatori.

Le maggiori forze politiche che si stanno preparando per il prossimo appuntamento elettorale di Roma concordano sul fatto che ci debba essere l’autosufficienza impiantistica per il trattamento, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti urbani, attraverso un mix di tecnologie che consenta l’effettiva attuazione di un ciclo dei rifiuti in linea con i principi dell’economia circolare. Il candidato sindaco del Partito Democratico, Roberto Gualtieri, sostiene che sia necessario investire negli impianti di recupero, dai biodigestori alle bioraffinerie escludendo, invece, la costruzione di un nuovo termovalorizzatore, la cui tecnologia sarebbe a suo avviso superata e che non consentirebbe di far raggiungere livelli europei di raccolta differenziata.

Una posizione inspiegabile avallata anche dal presidente Zingaretti e dal suo assessore regionale Ambiente, Massimiliano Valeriani (quest’ultimo è ormai popolare per le fake news sui termovalorizzatori) che non tiene conto del fatto che in molte città europee come Barcellona, Malmö, Stoccolma, Vienna, Parigi, Berlino, Copenaghen e Milano, i termovalorizzatori vanno a gonfie vele grazie a buona parte dei rifiuti indifferenziati prodotti a Roma garantendo vantaggi economici e sociali alle comunità locali interessate: energia elettrica, calore termico, attrazione turistica e tutela dell’ambiente e della sicurezza pubblica.

Recentemente la Commissione europea ha rimarcato (dietro una policy chiara presente nel Diritto europeo da diversi anni) i seguenti punti:

1) la gerarchia europea per la gestione dei rifiuti posiziona il recupero energetico dopo la prevenzione e il riciclo e prima della discarica. Significa che si deve riciclare ciò che è riciclabile, che si deve recuperare come energia ciò che non è riciclabile e in discarica ci devono andare solo materiali non riciclabili e non combustibili;

2) la recente Direttiva indica un obiettivo minimo di riciclo al 65 per cento dei rifiuti urbani e un limite massimo di conferimento in discarica al 10 per cento. Il restante 25 per cento dei rifiuti dovrà essere usato per recupero energetico ovvero gli scarti del riciclo e i rifiuti non riciclabili ma valorizzabili;

3) nessuna norma o indirizzo europeo vieta i termovalorizzatori o ne prevede la dismissione. La stessa Commissione ha solo ricordato che la capacità di incenerimento non può compromettere gli obiettivi di riciclo nel lungo periodo, ovvero non può superare il 35 per cento. Quindi, i Paesi europei del nord in over-capacity dovranno progressivamente ridurre la loro capacità di termovalorizzazione (in alcuni supera il 50 per cento) mentre quelli del Sud e dell’Est dovranno aumentarla.

La contrarietà a queste tecnologie sostenibili e innovative non ha alcuna base razionale ed è solo uno slogan identitario ed ideologico. Non disporre di impianti di recupero energetico significa esporre un territorio come quello romano a un problema di insicurezza nella fase di smaltimento, con rischi enormi per i cittadini e le imprese. Senza dimenticare che la Tari è la più alta d’Italia a causa del turismo dei rifiuti: migliaia di tir all’anno che partono da Roma per trasportare e far smaltire tonnellate di rifiuti in ogni parte d’Italia e dell’Europa. Alla faccia del green deal e dell’economia circolare.

Vi ricordate l’emergenza rifiuti a Milano nel 1995 o quella di Napoli del periodo 1994-2012? Con determinazione, i governi centrali e le istituzioni locali riuscirono a risolverle, realizzando diversi impianti di termovalorizzazione con ottime performances ambientali. Perché Roma non segue lo stesso modello virtuoso e in linea con i principi di economia circolare? Nel 2019 la città capitolina ha prodotto 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani di cui circa 600mila tonnellate di quelli indifferenziati: questi ultimi potrebbero essere recuperati in casa propria per trasformarli in energia elettrica e calore termico per la comunità locale. Serve senso di responsabilità e decisionismo politico. Quello che manca alla Capitale d’Italia e soprattutto alla Regione Lazio.

(*) Dirigente Forza Italia Roma Capitale, presidente Ripensiamo Roma

Aggiornato il 30 giugno 2021 alle ore 11:01