Il nuovo Medioevo? Peggio del primo

Forse non aveva tutte le ragioni del mondo Roberto Vacca quando, nei primi Anni Settanta, prevedeva cose orribili a seguito della possibile crisi dei grandi sistemi, fra cui quelli informatici e, dunque, della produzione e nello scambio di “digitalizzazioni” di ogni genere di dati. Occorre però riconoscere che l’intuizione di base era appropriata: la complessità dei sistemi, oltre ad una certa soglia, genera fragilità potenziale e, nel caso dei blackout, reale e attuale.

È di queste ore la notizia dell’attacco informatico ai servizi elettronici destinati alla prenotazione vaccinale della Regione Lazio. Ne sapremo di più nei prossimi giorni ma, sin da ora, appare chiaro il contrasto fra l’elevatissima tecnologia delle reti telematiche e la loro intrinseca vulnerabilità, ossia la loro esposizione alla manipolazione esterna. Sembra un paradosso, ma non lo è: più un sistema informatico è complesso e più esso possiede moduli software e routines potenzialmente aggredibili da fonti esterne. Il corpo umano, per esempio, è estremamente robusto in condizioni ambientabili stabili e non troppo distanti dai parametri che, nel corso dell’evoluzione, ci hanno portato sin qui ma esso rimane comunque altrettanto fragile poiché i “punti di ingresso” che offre all’ambiente esterno sono necessariamente numerosi, basti pensare all’alimentazione e alla respirazione.

Lo stesso vale per i sistemi informatici, i quali, peraltro, sono il risultato di una evoluzione nemmeno lontanamente paragonabile a quella biologica e, dunque, assai più rozzi e di conseguenza più delicati. Lo stesso mondo del software per computer distribuiti in massa soffre, da un lato, di numerosi punti di ingresso, come è noto, da parte dei malintenzionati e, dall’altro, di inevitabili errori di programmazione – i famosi bug – che vengono a stento colmati in interminabili versioni successive. Su tutto questo vale ancora oggi la sentenza di un esperto americano, Severo Ornstein, quando, nei primi Anni Ottanta, opponendosi alla SdiStrategic Defense Initiative – di Donald Reagan, fece osservare che programmi informatici di quella complessità avevano un punto di debolezza fondamentale insormontabile: essi, infatti, avrebbero necessitato di collaudi che, in realtà, avrebbero coinciso con la loro applicazione pratica, cioè con la guerra.

Sul piano politico internazionale tutti gli osservatori sono concordi nello stabilire che, la sola proposta reaganiana, bastò ad imprimere una svolta nelle pretese sovietiche, ma questa è un’altra storia. L’indiscutibile realtà segnalata da Ornstein vale oggi per l’intera rete di miliardi di segnali elettrici che, in ogni istante, vengono scambiati nel mondo in ogni settore, civile e militare, economico e scientifico e, come si vede, persino sanitario. Il suo insieme non risponde ad alcun modello integrato e controllato per cui in Italia, e altrove, i dati di qualsiasi ordine prodotti in una provincia stentano ad essere riconoscibili e dunque integrabili con quelli in possesso di un’altra. Figuriamoci sul piano globale.

È presumibile che, in futuro, si stabilisca un regime di integrazione che, come la diplomazia classica, consenta ai vari Governi di interagire e competere correttamente, ossia senza che le varie posizioni vengano “drogate” da interventi malevoli esterni, ma, per ora, il mondo digitale è un vero e proprio colabrodo. Fortunatamente, per mettervi le mani, occorrono competenze piuttosto specialistiche e rare ma poi non troppo, perché il mondo degli hacker non è solo costituito da esperti di computer science ma anche da giovani “smanettatori” del computer i quali, attraverso tentativi ed errori, riescono ad impossessarsi di parole d’ordine, codici seriali e così via.

Il Medioevo, insomma, è già re-iniziato e la politica non dovrebbe prestarvi attenzione solo quando si palesa un guaio imbarazzante o, nel caso del sistema sanitario laziale assediato come uno dei tanti comuni medievali ma senza mura di cinta, francamente criminale e dannoso per un’intera comunità, bensì attraverso una contrattazione tecnico-politica internazionale. Questa, quanto meno, dovrebbe mettere le basi per una maggiore e comune tutela standardizzata della circolazione di informazione nella consapevolezza che, per ogni Paese, i più pericolosi avversari non sono tanto o solo quelli che caratterizzano la competizione internazionale visibile a chiunque ma quelli nascosti, individui o, peggio, organizzazioni, che, oggi, operano nel buio per mere finalità di lucro ma, domani, chissà.

Aggiornato il 02 agosto 2021 alle ore 11:30