Chissà se l’artiglieria pesante del Movimento Cinque Stelle capitolino, ieri, avrà pensato “non ci resta che piangere”. Dopo lo tsunami romano del 2016 e la conseguente vittoria su tutti i campi (Comune e incetta di Municipi), a questa mandata elettorale non è rimasto che raccogliere i cocci di una sconfitta senza appello. Prima Virginia Raggi, sindaco uscente che non ha raggiunto nemmeno il ballottaggio (addirittura è arrivata dietro Carlo Calenda), poi i territori, dove il M5S è stato spazzato via (solo a Tor Bella Monaca ha partecipato al ballottaggio. Ed è stato bastonato dallo sfidante del centrodestra).

Ciò che fa specie è la narrativa grillina, sfogliabile nel mare magnum dei social: Raggi è rimasta alla proposta del prolungamento Battistini-Monte Mario della linea A della metropolitana, mentre il fedelissimo Paolo Ferrara ha notato “controlleremo, vigileremo e non lasceremo passare nulla che non sia per il bene di Roma. Senza dubbio” e “la nostra sarà una opposizione seria, intransigente e decisa; non faremo sconti a nessuno. Saremo i guardiani del destino di Roma”. Intanto l’ex vicesindaco, Luca Bergamo, ha commentato: “Trovo del tutto priva di fondamento l’analisi di un buon risultato raggiunto da Virginia Raggi perché è riuscita a conquistare il 20 per cento al primo turno”. Oltre ad aggiungere: “Sono decisamente soddisfatto del risultato elettorale”.

Nel marasma generale c’è anche la possibile convergenza tra M5S e Partito Democratico. Già, perché anche questo è un punto interessante: quello che veniva definito “il partito di Bibbiano” adesso è un possibile compagno di viaggio con cui costruire un’alleanza strutturale, anche se a Roma e Torino il Pd l’ha spuntata senza la luce delle Cinque Stelle. Che sia un elemento sul quale ragionare in merito alla disaffezione dell’elettorato pentastellato? Ormai si contano solo i talebani fedelissimi alla linea (quale?), il resto è rimasto ai box. Proprio così: il M5S fino all’altro giorno aveva fatto leva sui pruriti dei delusi della politica, coinvolgendoli in una gita dove cantare filastrocche sull’uno vale uno e declamare ricette con cui aprire palazzi del potere come scatolette di tonno. Oggi, però, quei delusi sono tornati a riempire la casa dell’astensionismo, quell’astensionismo che ha stravinto elezioni e ballottaggi. Per un finale degno delle migliori tragedie: da grande slam a grande splash.

Aggiornato il 19 ottobre 2021 alle ore 12:46