Ricette ambientali: l’espatrio del politicamente corretto

La questione ambientale è importante. Con l’evoluzione tecnologica l’impatto antropico sull’ecosistema globale ha registrato inevitabili invasività. Anche il progresso delle organizzazioni sociali è però importante. Non si può quindi rinunciare a vivere bene in società; non sarebbe opportuno sopravvivere con carenze energetiche, quando ancora i fabbisogni non possono essere garantiti al cento per cento a tutti attraverso le fonti rinnovabili, su cui si deve puntare sì ma senza generare discriminazioni pilotabili, irragionevoli ed anticoncorrenziali, sui mercati liberi. Le fonti green, attualmente, hanno una capacità produttivo-energetica che si aggira intorno al 40 per cento del totale asse energetico. Tutela ecosistemica, da un lato, sviluppo democratico della società civile che deve garantire la piena ed effettiva soddisfazione dei fabbisogni, dall’altro lato: le esigenze apparentemente inconciliabili s’intrecciano. Il metodo per contemperarle dev’essere un metodo tarato su strategie idonee. Le strategie proporzionali alle capacità maturate, attese ed attendibili, devono partire dall’amore per la natura restando pragmatiche, senza decrescite infelici o ideologie del green-washing time.

Lo scrittore di una sinistra novecentesca Guy Debord, morto nel 1994, agli inizi degli anni Settanta scriveva che l’inquinamento “è oggi alla moda: esattamente come la rivoluzione. Si impadronisce di tutta la vita della società ed è rappresentato illusoriamente nello spettacolo”. Il dissacratore d’ideologie facili Debord aveva anche scritto che esso “Si impone ovunque in quanto ideologia e guadagna terreno come processo reale” (Guy Debord, Il pianeta malato, 1971). Le questioni sulle transizioni ecologiche devono essere affrontare con le percentuali potenziali in mano, tempo per tempo. Occorrerebbe partire da alcune domande, con statistiche autorevoli alla mano. Quanto il fotovoltaico, l’eolico, il geotermico e altre fonti verdi riescono a coprire all’interno del fabbisogno energetico? Quanto possiamo spingere sulla evoluzione democratica – liberomercatale ed al contempo socialmente antitrustizzata – di queste fonti di energia? L’energia geotermica necessita di grandi spinte, anzitutto sul piano delle ricerche applicativo-tecnologiche. Intanto vengono proclamati i piani di rientro e di chiusura delle fonti fossili e dei bacini produttivi elettromagnetici. Bene, ma al di là dei buoni, belli e giusti propositi, come andrà a finire la questione della garanzia democratica per la soddisfazione del fabbisogno energetico? I cittadini meritano risposte serie e strategicamente strutturate dalle istituzioni europee e nazionali.

Di slogan e miraggi nebulosi la politica si ciba per instaurare meccanismi neo-populisticamente corretti, soprattutto tra i giovanissimi e tra i cultori degli attivismi facili, che sbandierano i “no” a tutto e quasi a prescindere, senza capire che se si dice “no” ad una via, si deve realisticamente accedere alle altre vie, tra quelle esistenti sul pianeta Terra allo stadio attuale delle conoscenze e delle conoscibilità su cui investire. Non viviamo nel pianeta sognato, ma in quello esistente. Gli investimenti che saranno elargiti per la transizione ecologica dovranno produrre investimenti per la ricerca tecnologica. Potremmo così avere maggiori risultati tangibili, nel prossimo ventennio, per lo sviluppo organizzativo del lavoro all’interno delle avanguardistiche frontiere di produzione energetica, come per la geotermica, branca ancora tutta da approfondire e da eco-strutturalizzare per coprire fette via via maggiori di fabbisogni. L’espansione della ricerca eco-tecnica accrescerebbe di gran lunga le infrastrutture tecnologiche idonee alla produzione ed alla diffusione delle energie ambientalmente sostenibili. Non c’è progressismo industriale senza una progressione organizzativa della ricerca scientifico-tecnologica e tecnico-applicativa, e non ci sarà alcuna seria transizione ecologico-sociale senza un’organica cultura d’investimento.

Sulla questione della transizione energetica la von der Leyen è progressista e pragmatica, al netto delle ideologie eco-integraliste. Spesso i mantra del green washing finiscono per distanziarsi dal gradualismo che le cifre dei fabbisogni energetici o delle odierne potenzialità di conversione industriale ci consigliano di tenere davanti, come stella polare, sulla necessaria via di Damasco dell’ecologia. La Presidente ha sostenuto che occorre imporre un prezzo all’inquinamento, rendere pulita l’energia, introdurre un nuovo Fondo sociale per il clima, automobili più intelligenti, aeroplani più ecologici. Si sta tentando di andare oltre quelle tre berlusconiane ricette del progresso italiano che iniziavano con la lettera “i”: inglese, impresa, informatica. I tempi corrono, le ricette restano nella storia ma i pasti cucinati ammuffiscono. È la legge della rigenerazione, al di là di ogni irrealistica palingenesi. Pragmatismo e tensione ideale a volare alto nella vita pratica. Morali ma non moralisti. Progressisti ma non sloganisti. E la politica saprà accorgersi che non basta un mero Panta rei. Oltre ogni ragionevole rischio d’abuso della resilienza, mamma adottiva di questa piccola era-Covid, raccogliamo già le fredde maschere cadute del populismo. Non ci basterà metterle da parte: dai fanciullini miglioristi ci aspettiamo una battaglia meritoria e meritocratica contro le dittature mobili del qualunquisticamente corretto, e corrotto. Ritornando al logos in politica.

Aggiornato il 26 ottobre 2021 alle ore 10:13