Metamorfosi surrettizia dello Stato di Diritto in stato di controllo

martedì 2 novembre 2021


Tutto iniziò l’8 marzo del 2020, quando si concretizzò la prima offensiva nei confronti della Carta costituzionale con l’emanazione dell’atto amministrativo da parte del presidente del Consiglio di allora, Giuseppe Conte, il cosiddetto decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che eluse, in modo incostituzionale, il rispetto dei dettami sanciti dalla Costituzione, garanti dei principi inalienabili dell’uomo, come il diritto alla libera circolazione e quello della libertà economica.

Dopodiché, lo Stato di Diritto, tutelato e garantito dalla Costituzione, in quanto costituente la sua fonte primaria nella gerarchia delle fondamenta da cui trae origine, è stato progressivamente minato e compromesso in nome di un nuovo indiscutibile “dogma giuridico”, riassunto nello “stato di emergenza” senza alcuna soluzione di continuità.

L’emergenza, difesa e avallata dai costanti richiami allarmistici della “dipendente” e asservita comunicazione dei mass media, è divenuta la giustificazione inconfutabile, al punto da essere il comun denominatore del Governo successivo a quello di Conte, il variegato Governo Draghi.

L’Esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce, con il decreto legge del 1 aprile 2021, n. 44 (“Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19, in materia di vaccinazioni anti Sars-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici”), nello specifico all’articolo 3, introduce il cosiddetto “scudo penale”, il quale prevede la non punibilità per morte e lesioni causate nella somministrazione del farmaco anti Covid-19, legiferando la norma che esonera il personale che somministra i farmaci anti Covid-19 dalla responsabilità per omicidio colposo o lesioni colpose, fattispecie di reati previste dagli artt. 589 e 590 del Codice penale, al punto da configurare l’esonero di responsabilità per il Servizio sanitario nazionale e quindi per lo stesso Stato, come (testualmente riportato) una causa di esclusione della punibilità, subordinata alla prova che il vaccino sia stato utilizzato conformemente alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e alle circolari del ministero della Salute sull’attività di vaccinazione.

Come può uno Stato discriminare come irresponsabili coloro che non intendono inocularsi dei farmaci ancora in fase di sperimentazione (almeno fino al 2023 afferma l’Aifa), declinando formalmente ogni responsabilità per eventuali effetti collaterali causati dai farmaci anti Covid-19?

Secondo i recenti studi della Politologia, la società moderna è passata dal sistema di “società di disciplina” a quello di una “società di controllo”, fondato sul monitoraggio digitale, virtualmente illimitato, dei comportamenti individuali quantificabili in un algoritmo ed il provvedimento del Green pass ne rappresenta l’estrema conseguenza. Rebus sic stantibus, è inverosimile che in una democrazia liberale come dovrebbe essere la nostra e come formalmente crediamo che essa sia e che vorremmo che anche sostanzialmente essa fosse, sia accettabile una deriva di controllo di matrice sovietica, che riporta alla memoria le pagine orwelliane, ahimè solo apparentemente surreali, del romanzo “1984”, attualizzandole in una interpretazione talmente realistica da metterne in discussione il loro stesso genere letterario fantastico di appartenenza, per ricondurle alla narrazione della cronaca attuale.

Se è storicamente fondato ciò che Niccolò Machiavelli sosteneva nelle sue opere, ossia che la storia è maestra di vita (“historia magistra vitae”), come nell’Unione Sovietica era obbligatorio esibire un lasciapassare per potersi spostare da un paese all’altro, attualmente in Italia la storia si ripete, andando però oltre l’immaginabile, ovvero imponendo il Green pass non solo per spostarsi, come per andare al ristorante al chiuso o ad un evento pubblico, ma anche per esercitare il fondamentale diritto costituzionale, come il diritto a lavorare.

Certa classe politica impregnata di quella bieca cultura secondo la quale ogni mezzo è giustificato per demonizzare la parte avversa, utilizzando anche l’anacronistico e vetusto strumento dell’antifascismo per silenziare e delegittimare l’avversario politico durante le campagne elettorali, con l’intento di minarne il consenso, non si ricorda o finge di non ricordare che proprio il Fascismo conquistò il potere e il Governo dell’Italia in modo inizialmente parlamentare e costituzionale, senza cambiare o modificare il testo dei dettami dello Statuto Albertino, ma attuando una politica surrettiziamente elusiva dei suoi principi fondanti, la quale in modo inerte venne accettata progressivamente dalla maggioranza dei cittadini.

Proprio in nome dell’emergenza causata dai disordini sociali di allora, Benito Mussolini ebbe successo fino a ricevere l’incarico di formare il suo primo Governo democratico, dopo la farsa della scampagnata del 28 ottobre del 1922, definita “Marcia su Roma”. Sempre in virtù di un’emergenza generata dai suddetti disordini, le compagini politiche di allora accettarono inizialmente di far parte di quel Governo guidato da Mussolini, il quale astutamente non osò modificare l’assetto costituzionale fino a quando non fu certo del suo potere, arrivando ad emanare le “leggi fascistissime”, che portarono all’esiziale annullamento dello Stato di Diritto. I cosiddetti anacronistici antifascisti di oggi non possono non ricordare che le leggi razziali emanate dal regime fascista impedirono ai cittadini italiani di origine ebraica di svolgere il proprio lavoro a causa della discriminante razziale. Mutatis mutandis, esclusivamente da un punto di vista di analisi giuridica, precisando che le due situazioni storicamente non sono equiparabili, se allora vigeva una ingiusta e aberrante discriminazione razziale, oggi vige una discriminazione socio-sanitaria secondo la quale coloro che non accettano di farsi somministrare dei farmaci anti Covid-19, considerati ancora sperimentali dall’europea Ema e di conseguenza dalla nostra Aifa e quindi con effetti collaterali a medio e lungo termine ancora sconosciuti, sono esclusi dal proprio lavoro, anche quando esso è svolto a distanza da casa e sono imputabili di essere responsabili di un’assenza ingiustificata, con la probabilità di incorrere in un licenziamento.

Ancora più sconcertante è la pseudo alternativa lasciata ai dissidenti contrari ai farmaci anti Covid-19, ossia quella di sottoporsi ogni 48 ore all’esame di sempre più introvabili tamponi, nonché troppo costosi, a causa dell’esponenziale aumento della richiesta per poter ricevere un provvisorio Green pass, affinché possano svolgere le proprie attività e soprattutto per poter lavorare.

La situazione è talmente surreale che mi sembra manifestare tutto il suo recondito intento, il quale non consiste nell’inocularsi un farmaco per ottenere un Green pass, ma al contrario sembra che l’imposizione dell’inoculazione di questi farmaci sia uno strumento per avere un lasciapassare e uno strumento di controllo individuale. Comunque, in nessun caso è possibile non constatare che la continua sicurezza sanitaria e la reiterata emergenza relativa non sono più fenomeni transitori, ma sono diventati la nuova forma di governabilità, trasformando progressivamente e in modo reticente i paradigmi della politica in generale e del Governo in particolare.

Non credete che questa metamorfosi corrente della politica italiana stia svuotando il Parlamento dei suoi poteri costituzionali, riducendolo ad un mero organo burocratico, limitato nella sua inerzia alla semplice approvazione (sempre in virtù della sedicente emergenza per la tutela della bio-sicurezza) di decreti emanati da tecnocrati, i quali più che rappresentare gli interessi della collettività sembrano rispondere a quelli di organizzazioni e poteri che sono alieni tanto al Parlamento italiano quanto alla sovranità popolare, che lo stesso non riesce più a rappresentare?

“O pessimum periclum, quod opertum latet!” (Publio Siro).


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno