I migranti come arma della nuova Guerra Fredda

giovedì 11 novembre 2021


Stiamo assistendo alla vicenda delle migliaia di migranti mediorientali bloccati al confine tra la Bielorussia e la Polonia. Per la precisione, sarebbero almeno diecimila le persone sospese in questo “limbo” (stima del Governo polacco), con pochissime scorte di cibo e acqua e con temperature assai rigide. Sarebbe comprovato il coinvolgimento della Bielorussia: l’autocrate di Minsk, Vladimir Lukashenko, starebbe orchestrando l’assalto migratorio all’Unione europea come ritorsione per le sanzioni comminate da quest’ultima al suo Paese, definito dalle istituzioni comunitarie “regime da gangster”, in seguito alle violazioni dei diritti umani e alla spietata repressione del dissenso nei confronti dell’attuale presidente. I migranti, infatti, partirebbero dal Medio Oriente con l’appoggio di agenzie di viaggio incaricate dal governo bielorusso di concedere i visti – questo, almeno, è quanto dichiarato dal ministro dell’interno lituano, Kestutis Lancinskas, alla Bbc e dalla testata tedesca Deutsche Welle – salvo poi, una volta giunti in Bielorussia, essere messi nelle mani dei trafficanti con l’ordine di portarli nel territorio dell’Unione, o essere condotti alla frontiera e, con l’ausilio dei militari, spinti ad attraversarla, come attesterebbero, peraltro, i filmati. Secondo le stime del Governo polacco, da quest’estate sarebbero stati oltre trentamila gli ingressi non autorizzati dalla Bielorussia.

Varsavia, tuttavia, non si limita ad accusare il presidente bielorusso, ma punta il dito anche contro il “padrino” del regime di Minsk, Vladimir Putin, che secondo il premier polacco, Mateusz Morawiecki, starebbe facilitando i contatti tra il governo bielorusso e le agenzie mediorientali incaricate di organizzare i “viaggi della speranza” e che avrebbe suggerito lui stesso al suo “protetto” di servirsi dei migranti per mettere sotto pressione l’Unione europea. Nel frattempo, la Polonia si dichiara pronta a tutto per impedire ingressi non autorizzati, ed effettivamente, oltre a schierare diverse migliaia di soldati, stando a quanto riportano le agenzie di stampa, sarebbero già una cinquantina i migranti che avrebbero tentato lo sfondamento della barriera di filo spinato e che, per questo, sarebbero stati fermati e respinti.

Naturalmente, l’Europa è in fibrillazione per quanto sta avvenendo. La Polonia, per bocca del premier Morawiecki, sollecita l’Unione a intervenire e a prendere una posizione chiara sulla questione, sottolineando come la difesa delle frontiere rispetto all’immigrazione illegale non sia solo nell’interesse della Polonia, ma dell’intera Europa: è in gioco la sicurezza e la stabilità dell’intero continente. D’accordo anche il ministro dell’Interno tedesco uscente, Horst Seehofer, ha concordato sul fatto che solo una strategia europea può essere risolutiva. Nel frattempo, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è volato a Varsavia, dove ha incontrato il capo del Governo polacco, al quale ha espresso solidarietà assicurando, al tempo stesso, un impegno concreto da parte delle istituzioni comunitarie per dirimere la questione. Come? È interessante notare che lo stesso Michel abbia aperto a quella che, fino a non molto tempo fa, veniva etichettata come una soluzione eccessivamente radicale, oltre che demagogica: la costruzione di muri. Infatti, secondo il presidente del Consiglio europeo, si dovrebbe cominciare a ragionare sull’opportunità, per l’Unione, di finanziare quei Paesi che, per una maggior sicurezza e per contrastare i flussi migratori irregolari, sarebbero intenzionati a erigere delle barriere fisiche ai loro confini. Legalmente è possibile – afferma Michel – ma deve decidere la Commissione. Quel che è certo è che se ne discuterà al prossimo Consiglio, in cui Michel ha assicurato che si impegnerà personalmente per il finanziamento di infrastrutture atte a proteggere meglio i confini europei e a contenere i flussi, soprattutto in quei Paesi maggiormente esposti ai flussi, come la Polonia (e si spera anche l’Italia). Secca la replica di Ursula von der Leyen, che boccia la proposta sostenendo che i fondi europei non possono essere usati a questo scopo e che la situazione va risolta attraverso strumenti diplomatici. Intanto, dopo aver sospeso lo schema di facilitazione dei visti per i diplomatici bielorussi, l’Unione europea si prepara a comminare nuove sanzioni nei confronti di Minsk.

Nella contesa intervengono anche gli Stati Uniti. L’Amministrazione di Joe Biden ha esortato la Bielorussia a non servirsi dei flussi migratori come strumento di ricatto e pressione nei confronti dell’Europa. Un monito che segue alle preoccupazioni espresse dalla Nato, la quale accusa a sua volta la Russia: i migranti sarebbero un vero e proprio ordigno posto nel cuore dell’Unione europea, piazzato da Minsk ma progettato da Mosca. L’obiettivo sarebbe quello di destabilizzare l’Europa, unendo al rincaro dei prezzi per le forniture energetiche (volute da Putin che di proposito ha tenuto bassa l’offerta a fronte dell’innalzamento della domanda in seguito alla ripartenza post-pandemia) i flussi migratori fuori controllo. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non escludono – laddove ce ne fosse bisogno e l’Europa lo richiedesse – un invio di truppe per aiutare nel controllo dei confini e nella gestione dell’emergenza. Mosca risponde alle accuse incolpando Bruxelles, che starebbe strangolando la Bielorussia con le sanzioni commerciali e che, per conseguenza, doveva aspettarsi una qualche reazione.

Tutta questa faccenda, se non altro, è utile a dimostrare tre cose fondamentali. La prima agli euro-scettici e ai sovranisti di tutti i Paesi: per rispondere adeguatamente alle sfide globali bisogna far parte di una Comunità più grande, come quella europea. È evidente che nessun Paese può reggere per molto tempo la pressione dei grandi numeri di migranti, men che meno quella Polonia che, ultimamente, è stata piuttosto impertinente nei riguardi di quelle istituzioni alle quali ora chiede aiuto. Si tratta di un problema che può essere risolto solo in sede europea, attraverso lo sforzo coordinato e condiviso di più Paesi. Da qui la necessità di affrettare il processo di integrazione, almeno per quanto riguarda la difesa e la politica estera, che devono essere comuni.

In secondo luogo, questa vicenda è uno smacco alle “anime belle” e ai “pasionari” dell’immigrazionismo: l’immigrazione è un fenomeno che necessariamente va controllato e gestito in maniera tale da non creare disordini e da non avere un impatto destabilizzante sulla vita socio-economica delle nazioni che la ricevono. E se l’unico mezzo per controllare efficacemente questo fenomeno è la costruzione di barriere fisiche ai confini, è inutile stracciarsi le vesti per il filo spinato, visto come “segno di disumanità e di chiusura egoistica”: i muri non possono e non devono essere un tabù, se servono a rendere effettive delle regole e a rispondere a delle esigenze di ordine pubblico. L’Unione europea se ne sta lentamente rendendo conto.

Da ultimo, questo dimostra che l’immigrazione è diventata una vera e propria arma della nuova Guerra Fredda: un’arma che il mondo autoritario usa contro il mondo libero, facendo leva sul rispetto di quest’ultimo per i diritti delle persone e sulla sua sensibilità rispetto ai principi umanitari. A questo proposito, c’è da domandarsi seriamente, ora che sappiamo che l’immigrazione dal Medio Oriente è promossa e attivamente incoraggiata dalla Russia e dai suoi alleati, se dietro quella proveniente dall’Africa – che riguarda perlopiù l’Italia e la Spagna – non ci sia invece la Cina, altro grande baluardo autocratico, che sappiamo avere grandi interessi economici nel Continente nero, del quale si sta lentamente appropriando, comprandone un pezzo alla volta e costruendo delle vere e proprie enclavi.

In questo frangente, i muri o altre strategie (come i respingimenti o il contenimento dei flussi direttamente in Africa) non sono più un segno di chiusura egoistica, ma uno strumento di legittima difesa contro chi è disposto a usare ogni mezzo per distruggere la nostra civiltà liberale e democratica: una specie di nuovo “ombrello atomico”. Chi, nonostante questo, continua a pensare che sia possibile una soluzione diversa da una politica migratoria più restrittiva a livello comunitario, e che sia possibile continuare ad accogliere senza criterio e senza limiti, è dalla parte dei nemici della nostra civiltà e, anche inconsapevolmente, collabora alla sua distruzione.


di Gabriele Minotti