Un consiglio “poco superiore” della magistratura

L’attuale composizione del consiglio superiore della magistratura rimarrà nei libri di storia per essere la consiliatura più delegittimata di sempre della storia dell’organo di autogoverno dei giudici. E sia per colpa dei componenti che si sono dimessi quando è scoppiato lo scandalo che ha riguardato la controversa figura di Luca Palamara, ma anche per demerito dei membri rimasti attaccati alla poltrona che hanno continuato a far funzionare il Csm con logiche addirittura peggiori per via delle scorie di odio scatenate proprio dal “Palamaragate”. Infatti, anche gli studenti delle scuole medie sanno che se in classe si litiga di continuo la funzione istruttiva diviene del tutto inefficace e la gravità degli accadimenti mise a suo tempo in grave imbarazzo persino il presidente della repubblica Sergio Mattarella, che è anche presidente del Csm, perché il richiamo all’ordine fu molto duro quando, nel giugno del 2019, esplose la “prima ondata” di fango dal telefono di Luca Palamara.

Tale deflagrazione ha distrutto molte carriere di magistrati che stanno rispettosamente attendendo in silenzio il corso degli eventi, mentre, con uno stile decisamente diverso, Palamara ha imperversato nei “talk show” anche perché il suo libro “Il Sistema”, pur raccontando molte cose indubbiamente vere, si risolve anche e soprattutto in una spregiudicata manovra mediatica e per questo ha incassato diverse querele. In effetti, dopo la “prima ondata” di fango mediatico del giugno 2019 si sono dimessi subito cinque componenti del Csm tra cui il consigliere Luigi Spina che è stato il primo a dare l’esempio ed ha fatto altrettanto Riccardo Fuzio, l’ex procuratore generale della Corte di Cassazione, ben conscio che la delicatezza del ruolo non gli permettesse di rimanere al Csm essendo il titolare dell’azione disciplinare. Stessa cosa è avvenuta un anno dopo quando è scoppiata la “seconda ondata” dal telefono di Palamara che stavolta ha riguardato altri tre componenti, tra cui il vice presidente laico David Ermini ed i consiglieri togati Giuseppe Cascini e Marco Mancinetti. Mancinetti si è dimesso subito ed anche da questo magistrato è stata impartita una lezione di dignità e stile, come del resto ha fatto Fulvio Baldi, altra vittima della chat di Palamara, che, senza aver fatto nulla di male, si è coscienziosamente dimesso da capo Gabinetto del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede un minuto dopo la pubblicazione di alcune indiscrezioni di stampa non significative.

Un diverso stile ha caratterizzato la figura di Giuseppe Cascini, anch’egli componente della sezione disciplinare, sul cui conto la implacabile chat di Palamara ha fatto emergere fatti che andrebbero chiariti nella competente sede disciplinare visto che le indiscrezioni di stampa hanno paventato presunti reiterati fatti di possibile rilievo disciplinare. Cascini non si è dimesso ed ha “approfittato” del contestuale pensionamento di Piercamillo Davigo per consolidare il proprio peso all’interno della sezione disciplinare. Ma il vecchio “Beppe”, come lo chiamano i suoi compagni di Magistratura democratica, è rimasto al suo posto anche e soprattutto perché il nuovo procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, ha esercitato l’azione disciplinare nei confronti del solo Marco Mancinetti. È in suo potere e, ovviamente, non c’entra nulla il fatto che Giuseppe Cascini e Giovanni Salvi siano due importanti esponenti di Md che hanno fatto entrambi carriera all’ombra della sezione romana di md da almeno 30 anni.

Imbarazzante anche la posizione del vice presidente, il Pd David Ermini, che non si è voluto dimettere dalla prestigiosa poltrona sebbene anche la sua nomina sia stata preceduta da una cena non molto diversa da quella costata la radiazione a Palamara. Il richiamo del capo dello stato avrebbe dovuto indurre ad un prudente azzeramento poiché quando un’istituzione gravemente delegittimata sceglie di continuare a lavorare come se nulla fosse successo, per un elementare principio noto a chiunque abbia compiuto 16 anni, i successivi provvedimenti saranno accompagnati da dubbi e perplessità da parte dell’opinione pubblica. Quindi, sebbene ancora composta da qualche magistrato serio come Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita, Paola Braggion e pochi altri, l’attuale Csm non gode più del necessario prestigio e per questo viene spesso bersagliata, ma i diretti interessati sembrano del tutto incuranti del fatto che l’opinione pubblica possa percepire la loro smania di sanzionare i magistrati anche come un tentativo di rifarsi una verginità.

A conferma della serietà del problema e dell’imbarazzo creato al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è tornato sull’argomento nel suo intervento alla Scuola superiore della Magistratura di Firenze lo scorso 24 novembre 2021, come riportato dal quotidiano la Repubblica: “La riforma del Csm prima delle nuove elezioni non è più rinviabile. L’organo di autogoverno, quale presidio costituzionale per la tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura, è chiamato ad assicurare le migliori soluzioni per il funzionamento dell’organizzazione giudiziaria, senza mai cedere ad una sterile difesa corporativa”.

In effetti, solo un quadro di grave delegittimazione istituzionale può giustificare l’incredibile presa di posizione della Procura di Milano che, qualche mese fa, ha apertamente criticato l’operato della Procura generale della Corte di Cassazione, colpevole di voler procedere in via disciplinare nei confronti del Pm di Milano Paolo Storari per un grave fatto di reato relativo ad una fuga di notizie riservate. Un simile modo di procedere da parte della Procura di Milano può essere oggetto di strumentalizzazione e sarebbe auspicabile che chi è chiamato a far rispettare regole agli altri non assumesse comportamenti percepibili dall’opinione pubblica come potenziali interferenze al normale corso processuale. In effetti, “protestare” contro chi sta svolgendo accertamenti disciplinari su un Pm accusato di fatti di rilievo penale suona davvero male anche in una situazione di totale delegittimazione istituzionale come questa.

La giustizia italiana si sta avvicinando alla propria Waterloo? Sembrerebbe di sì ed è per questo che è dovuto intervenire il ministro della Giustizia Marta Cartabia con la riforma recentemente approvata in Parlamento che ha posto finalmente un freno all’eccessiva durata dei processi. Tuttavia, la riforma non ha introdotto maggiori garanzie processuali per i cittadini quotidianamente vittime di ingiustizie e con la sua adozione Mario Draghi ha soprattutto risposto alle pressanti richieste dell’Unione europea per ottenere i finanziamenti del “Recovery plan”. Quindi, i problemi reali sono ancora sul tappeto ed attengono soprattutto al delicato tema della responsabilità del giudice e lo ha capito la Lega di Matteo Salvini che su questo tema ha raccolto una marea di firme per un quesito referendario che è l’unica strada per “responsabilizzare” seriamente la categoria. Ma nonostante lo scandalo degli ultimi due anni che, grazie al “Palamaragate”, ha fortemente delegittimato il Csm, la fine della giustizia italiana verrà sancita quando emergeranno le prove che alcuni magistrati condannano la gente senza il rispetto delle regole previste dal codice di procedura penale, facendo addirittura finta di credere a personaggi inattendibili pur di condannare personaggi scomodi che devono essere eliminati ad ogni costo, nonostante l’accusatore si fosse rivelato un soggetto ambiguo ed equivoco, come giudizialmente rilevato da altri magistrati degni di questo nome che hanno esaminato il medesimo compendio probatorio, escludendo la responsabilità del condannato.

Vicenda processuale grave ed indicativa di come alcuni magistrati manipolino i criteri di valutazione degli elementi di prova a carico pur di ottenere condanne “politiche” basate sul nulla e rispetto alle quali il cittadino non ha nessuna speranza di far valere le proprie ragioni difendendosi “nel processo” perché già tutto deciso in separata sede. Nulla di nuovo perché, come ha scritto il grande politico rinascimentale Francesco Crispi, “La calunnia disdegna i mediocri, ma si afferra ai grandi”. In effetti, a guardare il deprimente stato della giustizia italiana, sembrano passati 5 milioni di anni – e non 210 – da quando il grande poeta romantico Ugo Foscolo, nei Sepolcri, con una metonimia, adottava il termine “Tribunale” per indicare, addirittura, la “legge”: “Dal di’ che nozze e Tribunali ed are dier alle umane belve esser pietose di sé stesse e d’altrui, toglieano i vivi all’etere maligno ed alle fere, i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a’ sensi altri destina”.

Aggiornato il 17 dicembre 2021 alle ore 13:41