Italiani all’estero: intervista ad Andrea Di Giuseppe

A volte capita di rimanere piacevolmente sorpresi dalle persone, soprattutto quando dimostrano coerenza. Avevo avuto modo di intervistare Andrea Di Giuseppe lo scorso febbraio, per parlare della sua elezione a presidente del Comites di Miami: mi aveva colpito non solo la sua professionalità, ma soprattutto il suo reale impegno nei confronti dei connazionali all’estero, motivo per cui aveva deciso di fare “il giro di boa” e aggiungere al suo impegno imprenditoriale anche quello politico. E, come tutte le persone che non si limitano a parlare ma decidono di scendere in campo mettendoci la faccia, Di Giuseppe ha intrapreso un percorso che lo ha visto prima diventare ad aprile Coordinatore Intercomites Usa (rappresenta quindi tutti i Presidenti dei 10 Comites statunitensi nei rapporti con le istituzioni del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale) ed ora presentarsi come candidato alla Camera dei Deputati in qualità di capolista della coalizione di centrodestra in quota Fratelli d’Italia nella ripartizione dell’America settentrionale e centrale.

La premessa era d’obbligo in quanto l’intervista inizia con la mia presa di coscienza di dover cambiare la prima domanda: non posso chiedergli cosa lo ha spinto a candidarsi, la risposta la conosco perché ne avevamo già parlato.

“I miei amici mi chiedono spesso ‘Ma chi te lo ha fatto fare?’ ed io, per quanto capisca perfettamente cosa intendono, rispondo che le persone che possono ed hanno i mezzi devono mettere a disposizione la propria professionalità perché sennò non possiamo poi lamentarci dello scarso valore dei nostri stessi rappresentanti”.

Un concetto semplice, insomma: agire dove possibile con l’obiettivo di raggiungere il miglior risultato, senza lasciare nulla di intentato.

“Stando all’estero da tanto tempo ho imparato che la coerenza è fondamentale. Specialmente negli Stati Uniti, proprio per un discorso culturale, siamo abituati a mettere in pratica ciò di cui parliamo: non ci sono reti di salvataggio, quindi bisogna lavorare tanto e dimostrare di essere capace di mettere in pratica ciò di cui si parla, altrimenti facciamo solo chiacchiere da bar e si viene screditati totalmente. Meritocrazia, pragmatismo ed efficienza sono il bagaglio esperienziale che mi caratterizza e che ho imparato proprio negli Usa”.

E sempre per coerenza, anche se è stato contattato da vari partiti, ha scelto di candidarsi con Fratelli d’Italia.

“Io sono di destra da sempre e ho scelto il partito a me più vicino, sempre all’interno della coalizione. Nel collegio estero, chiaramente, il programma nazionale italiano ovviamente è importante, ma più rilevante ancora sono i programmi specifici per gli italiani all’estero: una sorta di sottoprogramma o programmi locali. Quindi insieme al candidato al Senato Vincenzo Arcobelli, abbiamo stilato un elenco delle priorità per i nostri connazionali. Il punto è centrare le reali esigenze dei cittadini per non farli sentire di “serie b”: per esempio una necessità sarebbe tentare di abbassare il costo dei contributi degli italiani all’estero per le assicurazioni mediche. Altro aspetto fondamentale: il problema del rientro in patria dei cervelli. Ora c’è solo la fuga ma non ci sono idee per riportare in Italia i nostri professionisti che rappresentano un’eccellenza nel mondo ma non riescono a lavorare a casa propria. Servono strategie non solo a breve termine, ma a anche a medio e lungo termine. E soprattutto serve non sperperare i fondi che abbiamo a disposizione per progettualità che nulla hanno a che fare con i cittadini italiani residenti all’estero. C’è anche il discorso della cittadinanza. Oggi paradossalmente le terze generazioni con lo ius sanguis possono avere la doppia cittadinanza anche se in Italia magari non ci sono mai stati, ma tutti gli italiani emigrati fino al 1992  hanno dovuto rinunciare alla propria cittadinanza italiana per poter prendere quella americana: ovvero le persone nate in Italia hanno perso i loro diritti di italiani.

Poi c’è la questione della pensione che è a dir poco vergognosa: non abbiamo la possibilità di recuperare i contributi versati in Italia, quindi tutti i lavoratori che hanno maturato contributi in Italia devono rinunciare i propri risparmi pensionistici perché non c’è la possibilità di reversibilità con il nuovo ente previdenziale locale di riferimento”.

Parliamo delle modalità di voto: da qualche giorno si prospetta lo spauracchio del rischio brogli.

“Io sono molto preoccupato, infatti ho in programma un incontro con il Console proprio per parlare di questo. Oltre al tema dei brogli c’è il problema della perdita delle schede elettorali. La criticità maggiore infatti è rispettare le tempistiche. Oggi le modalità del voto sono basate sull’invio della scheda elettorale tramite posta ordinaria. La stessa scheda andrà rimandata sempre tramite posta ordinaria al Consolato di riferimento. A quel punto tutte le schede verranno spedite a Napoli per lo scrutinio. Ma perché i Consolati non possono fungere da seggi elettorali per poi mandare elettronicamente i risultati dello spoglio? La metodologia che viene utilizzata rasenta la follia”.

Ed in effetti, visto il pragmatismo tipicamente americano, questa scelta stupisce. A pensare male, si potrebbe dire che questo meccanismo farraginoso sia voluto.

“Non lo escluderei… storicamente l’elettorato all’estero non è di sinistra: facile ipotizzare che questa sia la ragione per cui molti pensano che in meno votano e meglio è. Anche per l’ultimo referendum almeno il 50 per cento degli elettori non ha ricevuto la scheda elettorale: parlandone con il Console mi è stato detto che il problema si è creato per la stampa cartacea delle schede. Francamente non la trovo una risposta degna di un’amministrazione pubblica. Queste sono le ragioni per le quali ci sentiamo cittadini di serie B. Tra l’altro gli italiano all’estero sono tantissimi ed hanno delle competenze che pochi altri popoli hanno: allora o si cambia la legge o si dà veramente la possibilità a tutti di essere cittadini di serie A, con diritti e doveri uguali. Stiamo andando incontro ad un periodo che sarà veramente complesso per il nostro Paese e rischiamo di fare la fine della Grecia o dell’Argentina. Auspico sinceramente che chiunque venga eletto possa dare un contributo sostanziale, impegnandosi per creare una discontinuità con il passato in modo da dare un’iniezione di fiducia. Fiducia che si conquista sempre con la coerenza. Per questo vorrei ribadire un concetto semplice ma fin troppo sottovalutato: se si viene eletti in una formazione politica e, quale che sia la ragione, non ci si rispecchia più nei valori che la formazione esprime, ci si deve dimettere. Altrimenti è una truffa ai danni degli elettori”.

Un’ultima domanda sulla politica specifica di Fratelli d’Italia sulla giustizia. In questi giorni, anche grazie alla candidatura di Carlo Nordio, si parla di una sorta di svolta garantista, che ne pensa?

“Guarda, io ho una prospettiva americana e questo paese è garantista per definizione: il termine ‘oltre ogni ragionevole dubbio’ è stato creato qui. Allo stesso tempo, si ha una percezione della certezza della pena che è diversa rispetto a quella italiana. Va garantita sia la correttezza del processo all’imputato, che la certezza della pena. Ma questo concetto va spiegato e il ruolo della politica a lungo termine dovrebbe avere anche un valore culturale: bisogna insegnare che ad ogni azione corrisponde una reazione. Ognuno deve assumersi le responsabilità delle proprie azioni. Basterebbe ripristinare in maniera idonea lo studio dell’educazione civica a scuola, tanto per cominciare. Il problema di oggi è che la società viene divisa in garantisti e giustizialisti senza però che le persone conoscano davvero il significato di queste definizioni. E questa ignoranza viene strumentalizzata purtroppo a livello politico”.

Dopo una mezz’ora abbondante di telefonata non posso non constatare che se tutti i nostri politici, a prescindere dalla loro ideologia di riferimento, avessero la cultura della coerenza (che, se non fosse ancora chiaro, è sinonimo di serietà, unica condizione necessaria a suscitare fiducia negli elettori), probabilmente assisteremmo ad una campagna elettorale diversa. E forse, si abbasserebbero anche notevolmente le percentuali di astenuti al voto.

Aggiornato il 31 agosto 2022 alle ore 16:56