Saramago non è tornato

È un testo che mi ha sempre inquietato, forse perché osserva, con un umanesimo spietato, le nostre società e i nostri modelli di Stato, che presumeremmo avanzati in tema di democrazia, quantomeno dichiarata, ancorché malamente praticata. Il titolo del libro, di Josè Saramago, è “Saggio sulla lucidità”. Descrive uno scenario di delusione verso la politica, le istituzioni e i suoi rappresentanti, esprimendo una insofferenza verso i governanti che assomiglia terribilmente ai momenti drammatici che stiamo vivendo, seppure pare che quest’ultimi siano percepiti in modo banale, distante, dalla generalità. Al massimo, avvertiti e tradotti visibilmente negli aumenti progressivi del costo del gas, nel rialzo dell’inflazione; nell’invito, al momento ancora silenziato, ad adottare stili di vita più sobri in tema di consumi, soprattutto di quelli riferiti all’energia e alla mobilità, nonché nei trasporti.

Il libro racconta di ciò che accade in una indefinita città del Portogallo, in occasione di una tornata elettorale nel corso della quale si registra un’astensione massiccia, maggioritaria, del corpo elettorale e di come tale accadimento venga interpretato dalle forze politiche di Governo e di opposizione come fatto eversivo. Una testimonianza palese di un ordito di trame finalizzate a sovvertire il sacro ordine costituito. Una congiura, forse, ispirata da potenze straniere e nemiche che intendono in tal modo sovvertire il sistema. Da lì una reazione governativa progressiva e violenta verso i cittadini, che risulteranno tutti sospettati di far parte della trama, mentre per converso i politici che l’autore, premio Nobel per la letteratura nel 1998, indica come appartenenti al partito di mezzo, oppure di destra o di sinistra, non si discostano assolutamente da una lettura condivisa e univoca che vede negli elettori non più la fonte d’ispirazione delle proprie azioni e programmi politici, ma il nemico: il nemico d’abbattere. Nel racconto, che si sviluppa come un giallo, c’è il richiamo a una epidemia che ha colpito il Paese qualche tempo prima, determinando la cecità di quanti si siano infettati: quanta similitudine con il dramma del Covid che abbiamo vissuto in questi due ultimi anni e che ancora stiamo combattendo. O meglio, subendo!

Nel frattempo, però, si avvicina anche per noi cittadini italiani, sempre più involuti nel ruolo di sudditi che intendono imporci, l’ennesima incomprensibile scadenza elettorale, quasi come se non fossimo in uno stato di guerra, ancorché non palesemente dichiarata, mentre i parolai di una politica senza più pensiero critico, dopo avere umiliato e mutilato il Parlamento con una legge suicida, ingaggiano tra loro la sfida delle promesse vuote e impossibili, sventolando il cencio di un Eldorado, ognuno con la propria visione di un avvenire radioso e progressivo, dimentichi tutti delle regole basilari dell’economia politica, del fatto che andrebbero sempre indicati i cespiti certificati delle risorse che si potrebbero impiegare. E poi quali redditi verrebbero effettivamente penalizzati, quali politiche economiche – in un’ottica di armonizzazione con quelle dell’Unione europea e confortata da essa – si dovrebbero intraprendere, quali ulteriori e necessari sacrifici dovremmo intraprendere.

No, meglio esibire le paillette e mostrine, meglio ostentare a ogni piè sospinto i crocifissi al collo di Cristi con il capo inclinato. Così, almeno loro, non vedranno e sentiranno le cose che si propinano agli elettori. Meglio lanciare promesse sulla flat-tax, con la solita tiritera degli aiuti alle famiglie, aggiungendo semmai la proposta di ripristinare il servizio di leva obbligatorio per i nostri giovani, mostrando un tempismo e una capacità di leggere i tempi terribili che stiamo vivendo che, ancora una volta, sanno raccontare della lontananza della politica dalla sensibilità e dai timori diffusi tra la gente, nelle famiglie, qualunque esse siano, monocellulari, ordinarie, allargate, multicolori.

Chi, infatti, affiderebbe a questa amorfa classe politica le proprie figlie e i propri figli, o la nipoteria, soprattutto nei momenti difficili che il Paese sta vivendo. Chi si fiderebbe di loro, della loro autorevolezza e del loro senso dello Stato, della loro ragionevolezza e capacità di ponderazione? I sacrari militari, che costellano il nostro Paese, dove riposano inquieti migliaia di ragazzini dai più diversi dialetti e dalle uniformi bucherellate, che non ebbero la fortuna di tornare a provare la carezza di una madre, che non conobbero l’amore di una donna, il piacere di accarezzare un figlio, d’impegnarsi nel lavoro e nella società, ormai sembra che non contino più niente, mentre cresce in tanti la consapevolezza che una sparuta minoranza di cittadini, i quali il 25 settembre pure esprimeranno una scelta partitica, consentiranno a delle forze politiche, qualunque esse saranno, di governare con numeri insignificanti, con percentuali che un tempo sarebbero state intestate alla minoranza, un’Italia piegata.

Sì, è proprio il trionfo di una politica sinistra, che nulla ha di liberale e convintamente democratico e partecipativo. E nessun Saramago italiano sembra più in grado di descriverla. Che almeno la smettessero di dire bugie!

Aggiornato il 02 settembre 2022 alle ore 17:51