Damilano ha violato la par condicio su Rai 3

Il pluralismo politico-istituzionale in televisione e in particolare sulla Rai (gruppo editoriale con il 98 per cento del capitale del Ministero del Tesoro e dell’Economia) è un principio che deve essere rispettato in modo preciso in occasione delle elezioni politiche o referendarie. La trasmissione su Rai 3 condotta da Marco Damilano, con ospite il filosofo francese Bernard-Henri Lévy “ha violato i principi di correttezza e imparzialità sanciti dalle disposizioni in materia di par condicio”. Il Consiglio di amministrazione dell’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, presieduto da Giacomo Lasorella, non ha avuto dubbi sulla scorrettezza commessa dal conduttore della trasmissione Il cavallo e la torre. L’Autorità non ha ritenuto sufficiente a sanare le violazioni riscontrate il tardivo ripensamento del conduttore che nella puntata successiva si era dissociato dalle frasi del filosofo francese ospitando lo storico Giovanni Orsina.

In conseguenza del delicato momento delle campagna elettorale l’Autorità ha ordinato alla Rai di trasmettere, in apertura della prima puntata utile del programma, un messaggio in cui il conduttore comunichi che nella puntata del 19 settembre “non sono stati rispettati i principi di pluralismo, obiettività, completezza, correttezza e lealtà”. È stato quindi dato mandato ai vertici di Viale Mazzini di avviare i procedimenti sanzionatori “al fine di accertare la condotta delle testate editoriali per le quali ha emanato appositi ordini dopo l’esame dei dati di monitoraggio relativi alla penultima settimana della campagna elettorale dall’11 al 17 settembre”. Secondo l’Agcom, nonostante gli sforzi compiuti dalla maggioranza delle emittenti televisive, “è stata riscontrata la persistenza di squilibri”. Le sanzioni per il mancato riequilibrio vanno da 25 a 250mila euro. La netta presa di posizione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni pone alcune riflessioni sui comportamenti di alcuni conduttori di programmi televisivi di approfondimento.

Nel caso di Marco Damilano le perplessità di un suo utilizzo su Rai 3 con un programma, infarcito di collaboratori e con uno studio ad hoc in Viale Mazzini nonostante la presenza di studi a Saxa Rubra, in Via Teulada e alla Dear Film sulla Nomentana erano state sollevate fin dall’inizio. Secondo elemento di contestazione la retribuzione contrattuale che si aggirerebbe intorno a mille euro a puntata che al termine del ciclo porterebbe la somma a circa 200mila euro, una cifra vicina al tetto dei 240mila euro fissato per i manager pubblici e quindi non per contratti a privati. Ma cosa era successo di grave in quella puntata? Prima considerazione negativa: il filosofo parlava senza interlocutore, un personaggio già criticato per le sue posizioni contrarie all’estradizione in Italia del brigatista, pluriomicida, Cesare Battisti dalla Francia.

In secondo luogo, per attaccare Matteo Salvini e Giorgia Meloni sosteneva il pericolo di un possibile ritorno del fascismo in Italia. In terzo luogo, gettava fango sull’elettorato italiano di cui non sempre andrebbero rispettate le scelte. Una tesi in contrasto con i principi della Costituzione italiana. Si è trattato, ha messo per iscritto l’Usigrai, di una puntata “a senso unico da parte di un conduttore scelto all’esterno dell’azienda nonostante l’Ad Carlo Fuortes potesse contare su circa 2mila giornalisti interni”. Un grave sfregio, secondo molti osservatori, nei confronti del pluralismo e della democrazia.

Aggiornato il 23 settembre 2022 alle ore 11:41