Pd, nel tutti contro tutti parte la sfida Bonaccini-Schlein

La sfida per la conquista della segreteria del Partito democratico è iniziata. Stefano Bonaccini versus Elly Schlein. Al di là delle autocandidature ufficiali (Paola De Micheli) e di quelle ufficiose (Matteo Ricci, Andrea Orlando e Antonio Decaro), la competizione tra il governatore e la vicepresidente dell’Emilia-Romagna è senza dubbio la più interessante. Il Pd vive giornate in cui va in scena il tutti contro tutti. Regna sovrano il caos. Lo testimoniano le parole usate dai protagonisti della corsa per la leadership della sinistra. Sull’ultrarenziano Bonaccini punta Base riformista, l’area che si raccoglie attorno al ministro della Difesa Lorenzo Guerini. D’altro canto, in prima fila durante la campagna elettorale, Schlein si è guadagnata il titolo di “Alexandria Ocasio Cortez d’Italia”, grazie al Guardian, che l’ha paragonata alla deputata dell’area radicale dei dem statunitensi.

In un’intervista al Corriere della Sera il governatore sottolinea la fase “molto delicata per famiglie e imprese. Servono risposte rapide e concrete. Per questo auspico che il nuovo governo si formi presto. Poi naturalmente parteciperò al congresso del Pd, perché serve una discussione molto schietta, alla quale mi dedicherò con impegno e determinazione. Il Pd ha bisogno di un forte contributo da parte di tutti”. Per la segreteria del Pd “o cambiamo profondamente o bruceremo in fretta anche il prossimo segretario. Serve una leadership, ma serve anche un partito”. Il problema è di sostanza: “Iniziamo, per esempio, col dire che nel gruppo dirigente servono molti più amministratori locali, donne e uomini, spesso giovani, che ogni giorno devono dare risposte ai cittadini sui problemi reali”.

Il Pd è arrivato “alle elezioni senza un progetto forte per l’Italia e senza un’alleanza all’altezza della sfida, nonostante tutti gli sforzi fatti da Enrico Letta. Lo certifica il voto dei cittadini”. Bisogna “ricostruire dalle fondamenta”. L’opposizione al governo sarà “seria e rigorosa”, con una grande attenzione in particolare a tre questioni di fondo: il nostro ruolo in Europa, il ruolo della sanità e della scuola pubbliche, e “i diritti delle persone, perché l’Italia non può diventare l’Ungheria”. Per quanto riguarda il M5s, per Bonaccini ha raccolto “nel voto il disagio sociale e una richiesta di protezione, più che istanze antisistema. E Conte è riuscito a consolidare la sua leadership”. Carlo Calenda e Matteo Renzi “sono andati per conto loro e hanno perso esattamente come noi. Tant’è che governerà la destra. In compenso siamo insieme in tante città”. Rispetto al congresso “concordo con Letta, il tempo di discutere è adesso. E bisogna farlo con chiarezza e in tempi ragionevoli, per evitare mesi in cui nessuno decide e altri parlano per noi”.

Elly Schlein analizza la sconfitta del partito. “Alle elezioni politiche – scrive sul suo profilo Instagram – domenica abbiamo perso nettamente. E bisogna riconoscere la vittoria piena delle destre, in particolare di Giorgia Meloni. Faremo un’opposizione dura e rigorosa, sul merito, di presidio della Costituzione e di difesa e allargamento dei diritti fondamentali, senza lasciare un centimetro alle discriminazioni e alla marginalizzazione. Saremo di aiuto al Paese”. La vicepresidente usa il plurale. “Continueremo – scrive – nelle battaglie contro ogni forma di diseguaglianza, per il clima e per la dignità del lavoro, lo faremo dentro e soprattutto fuori dal Parlamento. Con umiltà e ascolto, perché abbiamo tantissimo da ricostruire. Attraverso una profonda riflessione sugli errori, le contraddizioni e gli sbandamenti del campo progressista in questi anni. Per riallacciare pienamente i fili con quei mondi che non si sentono più rappresentati – prosegue Schlein – per lavorare con chi abita ogni giorno i luoghi del conflitto, per recuperare credibilità e la fiducia di chi vogliamo rappresentare. Per affrontare il problema enorme di un astensionismo dilagante – puntualizza – che fa male alla democrazia, specie quando tocca le fasce più povere della nostra comunità”.

Paola De Micheli conosce bene Giorgia Meloni. “Abbiamo avuto i figli nello stesso periodo. È stata brava a infilarsi nelle nostre debolezze e poi l’opposizione paga sempre”. Lo sostiene in un’intervista alla Stampa la deputata rieletta a Piacenza. “Il Pd – afferma – non può più essere quello dell’un po’ e un po’. Quello dei messaggi mai netti. Non abbiamo mai detto cose nette e radicali e quando abbiamo cominciato a dirle era troppo tardi, come sul Jobs act. E anche in quel caso, credo che il linguaggio non fosse comprensibile perché noi abbiamo un linguaggio complesso e troppo elitario. Va cambiato anche quello”. L’ex ministra alle Infrastrutture del Conte II si candida alla guida del Pd perché crede profondamente nel partito e nel suo ruolo in Italia e in Europa. “Se ci ritroviamo e cambiamo possiamo farcela. Sono una candidata terragna e di campagna, una militante e una lavoratrice che ha avuto tutto dal Pd e che vuole fare cose concrete. Le persone ci votano se vedono passione, cuore e autenticità e non gente in posa”. Alle elezioni “abbiamo perso e non è colpa degli altri o degli elettori, che ci hanno detto in modo chiaro che dobbiamo cambiare. Quindi dico ripartiamo dai militanti e dagli amministratori, dalle donne”.

Il metodo “è che dobbiamo essere noi ad andare dalle persone senza pretendere che siano loro a venire da noi”. La povertà crescente “è al primo posto nel mio programma. Chi parla di abolire il reddito non ne ha bisogno e non ha mai parlato con chi ne ha bisogno. Aiutare chi ha bisogno è la cosa più di sinistra che c’è. Poi bisogna distinguere tra chi fa il furbo e chi no. Il reddito va certo modificato per raggiungere veramente l’obiettivo”. Tra i possibili avversari alla segreteria, come Bonaccini o Schlein, “non temo nessuno, ho le mie idee e io faccio politica da Treviso a Crotone”. Sandra Zampa, ex sottosegretaria alla Salute e già vicepresidente del Partito democratico, eletta domenica scorsa in Senato, pensa che, alla luce dell’esito delle Politiche “sia necessario avviare un percorso di rinascita del Pd, una sorta di rifondazione vera e propria. Non serve una faccia nuova, o almeno non basta. Qua il problema non è il volto nuovo. Serve smontare il sistema delle correnti che già vanno organizzandosi per scambiarsi sempre lo stesso potere, senza rendersi nemmeno conto che quel potere è sempre più piccolo perché sempre più ristretto è il consenso”. 

Zampa attacca la nomenklatura del partito. “Basta con una classe dirigente che c’è solo se sta al Governo. Basta. Dobbiamo cambiare davvero e metterci al lavoro per assicurare una discussione ampia e che tocchi le fondamenta di questo partito. È un percorso lungo – prosegue – ma necessario. Sarò con chi avrà il coraggio dei padri fondatori del Pd. Chiediamoci di cosa ha bisogno il Paese, di cosa si aspettano da noi gli italiani, di come costruire le risposte. Il chi – conclude zampa – non può venire prima del per che cosa e del perché essere in campo”. Dario Nardella si tira fuori dalla corsa per la segreteria. “Io – dice il sindaco di Firenze – non partecipo alla corsa ad auto candidarsi altrimenti il Pd diventa X Factor e per X Factor bisogna andare in altri posti. A me piacciono idee, proposte. Se c’è la voglia di cambiare radicalmente questo partito io ci sono, se invece c’è da fare la corsa ad X Factor la lascio fare ad altri”. Sull’opportunità di cambiare il simbolo, ha spiegato Nardella, “è uno dei tanti punti. Dobbiamo però partire prima dalle idee”.

Aggiornato il 29 settembre 2022 alle ore 18:04