Il fascismo, il petrolio e gli interessi delle grandi potenze

Un dato che ha sempre contraddistinto ogni regime che si è succeduto nel governare l’Italia è stato sempre quello di non perseguire gli effettivi interessi economici della nazione, per condizionamenti esteri o a causa della sterile propaganda politica interna.

Fin dall’inizio della nascita dell’Italia, durante il processo che portò alla “sedicente” unità nazionale si videro i prodromi di quella politica che manifestava tutta la sua sudditanza nei confronti della Gran Bretagna.

Un aspetto molto poco conosciuto o comunque meno raccontato, è il fatto che anche durante il regime fascista, ossia durante il regime che per antonomasia si definiva e intendeva essere la massima rappresentanza del nazionalismo più radicale, non venne meno il modus operandi dei regimi precedenti di penalizzare gli interessi economici italiani, soprattutto per quanto riguarda la politica internazionale.

Dunque, subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, le nazioni vincitrici del conflitto si contesero il controllo di un territorio della neonata nazione dell’Iraq, ossia di una parte di territorio di ciò che era rimasto dell’Impero ottomano, uscito drammaticamente sconfitto dal conflitto mondiale.

La zona territoriale in questione era la provincia di Mossul, caratterizzata dal fatto di essere ricca di giacimenti petroliferi e per questo alquanto desiderata dai Paesi vincitori.

Ciascuna delle succitate nazioni aspirava a prendere il completo possesso di Mossul, al punto che si creò un tale scontro politico-diplomatico da rischiare la degenerazione in un nuovo conflitto armato.

Proprio in questa circostanza tanto critica Mussolini rivelò la sua deleteria strategia di politica internazionale, improntata su una visione non lungimirante, ma ancorata alla cultura ottocentesca dell’anacronistico colonialismo, a scapito dell’approvvigionamento del nuovo oro, definito nero, ovvero il petrolio, che stava diventando la risorsa energetica principale della futura economia mondiale.

Dalla cosiddetta “Questione di Mossul”, svoltasi tra il 1919 e il 1926, emerse tutto il provincialismo nostrano nella politica internazionale di allora e rappresentò un esempio eclatante per comprendere quanto il ceto dirigente politico di allora coniugasse anacronisticamente il prestigio internazionale con la conquista di inutili territori coloniali, mentre i dirigenti di classi politiche più moderne e lungimiranti, come quella inglese e quella statunitense, nonché francese, presero contezza dell’importanza di possedere fonti energetiche e materie prime innovative e fondamentali per lo sviluppo economico ed industriale, quale era ed è tuttora il petrolio.

Inoltre, dal succitato scontro politico-diplomatico si evinse quanto gli Usa fossero diventati superiori ai due contendenti alleati Francia e Gran Bretagna e quanto i primi rappresentassero il futuro al contrario delle altre due nazioni europee, le quali erano diventate il riflesso di un glorioso passato di supremazia politica, economica e militare che non esisteva più.

Non a caso la Seconda guerra mondiale fu vinta proprio grazie al decisivo intervento degli statunitensi, che con la loro economia e finanza si avviavano verso il dominio mondiale.

Per addentrarsi nei particolari del suddetto racconto storico, è necessario iniziare dal 1932, quando l’italiana Agip era diventata azionista della compagnia petrolifera britannica Bod, la quale, grazie ad una concessione del governo iracheno, aveva ottenuto il diritto allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi presenti nella zona di Mossul.

Dopo solo due anni, l’Agip divenne l’azionista di maggioranza della Bod, prendendone il totale controllo e si accingeva ad iniziare le operazioni di estrazione del petrolio dal territorio di Mossul, che secondo degli studi effettuati sulla zona, era talmente abbondante di oro nero, che l’Italia non solo sarebbe diventata autosufficiente dal punto di vista energetico, ma si sarebbe perfino arricchita diventando una nazione esportatrice di petrolio.

Durante questo frangente storico, Mussolini manifestò tutta la sua miope politica internazionale, iniziando la campagna coloniale in Etiopia, che determinò un tale ingente investimento economico, da indurlo a vendere la Bod agli anglo-americani, i quali successivamente (quod erat demonstrandum), grazie all’estrazione di eccezionali quantità di petrolio, arricchirono la loro economia.

La politica estera mussoliniana, tanto ispirata ad una perniciosa ed inutile esibizione di potenza quanto condizionata da obiettivi propagandistici finalizzati ad esaltare la figura di “duce” di Mussolini, commise uno dei più gravi delitti per gli interessi economici reali dell’Italia, ossia la perdita degli abbondanti giacimenti petroliferi di Mossul, che avrebbero permesso di mettere una decisiva ipoteca sul futuro del suo sviluppo economico e sulla sua futura ricchezza.

L’occasione perduta dell’affare di Mossul evidenzia e aiuta a comprendere, in modo palese, quanto il fascismo mostrò tutti i suoi caratteri di regime “vetusto”, che, privilegiando una politica internazionale colonialista, fu completamente indifferente all’esigenza indifferibile (per l’economia di una nazione moderna) di acquisire materie prime e fonti energetiche vitali per la nuova economia mondiale.

Tutto ciò avvenne in un contesto storico in cui tutte le potenze moderne avevano abbandonato la vetusta politica coloniale, considerandola inutilmente costosa e preferendo applicare una condizionante politica di controllo indiretto e di sfruttamento delle nazioni in via di sviluppo, ricche di risorse minerarie ed energetiche, ovviamente tramite la sudditanza delle loro classi dirigenti nei confronti delle grandi potenze, come d'altronde ancora oggi accade.

In nuce, mentre il regime fascista perpetrava la sua politica economica suicida, allo stesso tempo stava creando i presupposti per determinare quell’allontanamento politico dalle democrazie occidentali, che se da un lato nel 1935 sarebbe sfociato in vere e proprie sanzioni da parte della Società delle Nazioni nei confronti dell’Italia, dall’altro avrebbe indotto Mussolini a degenera verso la esiziale deriva dell’alleanza con il nazismo.

Aggiornato il 28 marzo 2023 alle ore 11:42