Pa-Pnrr, la coppia diabolica: giustiziare il Leviatano!

Qual è il Leviatano che ci impedisce di crescere? Risposta (non scontata): il Giano Bifronte del Pnrr e della Pubblica amministrazione. Il primo rappresenta il carro carico di farina per gli affamati della ripresa economica e pagato da tutti, facendo nuovo debito pubblico. Il secondo fattore è, invece, il bue che dovrebbe trainarlo a destinazione. Solo che quest’ultimo sta quasi sempre “dietro” al carro e, quando si è così fortunati da metterlo alla “stanga” (Sergio Mattarella dixit), risulta elefantiaco, lento all’esasperazione e zoppo a metà. Per cui è quasi certo che il carico non arriverà mai a destinazione. Sulla cura/riabilitazione del Leviatano-Pubblica amministrazione si è molto speso negli ultimi tempi il Corriere della Sera, con proposte e analisi da parte di alcune delle sue firme più prestigiose. I relativi interventi sono citati e sintetizzati da Angelo Panebianco. In precedenza, infatti, erano apparsi in merito gli articoli di Sabino Cassese e di Ferruccio de Bortoli. Il filo conduttore è sempre quello: se una quota dei fondi del Pnrr rischia di essere restituita all’Europa, la colpa è del pessimo funzionamento dello Stato-Amministrazione. Osserva Panebianco come sia facile spendere risorse per acquisire consenso, piuttosto che addentrarsi in riforme impopolari perché, qualunque esse siano, vanno a intaccare interessi (elettorali) consolidati. Una volta vinte le elezioni, infatti, non si fanno riforme di medio-lungo periodo, perché chi ne beneficerà non sarà (politicamente) colui che le avrà avviate rischiando l’impopolarità. Allora, tutti d’accordo sull’unica cosa fattibile: allargare sempre più le maglie della spesa corrente dello Stato per assumere nuovo personale pubblico. Si preferiscono, cioè, i provvedimenti-annuncio destinati a incidere poco o nulla sullo stato dell’efficienza delle strutture amministrative, lasciando inalterate le disfunzioni organizzative che gravano sulla qualità della vita dei cittadini e sui costi di funzionamento della stessa Pubblica amministrazione.

Tecnicamente, Cassese fa poi rilevare come la montagna-Pa partorisca il solito topolino rispetto alle mega-riforme sottese dagli obiettivi e dai piani ambiziosi del Pnrr. Questo perché “i processi di attuazione degli investimenti pubblici poggiano su di un coacervo di regole che prevedono la partecipazione di una spropositata pluralità di attori, e molti di loro chiudono il loro passaggio a livello e creano ingorghi anche per difendere i propri interessi”. Inutile sostituire i lavoratori pubblici che vanno in pensione con un numero pari di nuovi ingressi, se non si sono verificati in via preliminare i reali carichi di lavoro ai fini di un miglioramento del servizio alla collettività, dato che (per motivi clientelari) l’impiego pubblico italiano è nettamente sovradimensionato rispetto alle effettive esigenze.

Sul piano del mancato arricchimento del Capitale umano, de Bortoli evidenzia come l’Italia vanti il triste record negativo in Europa del più elevato numero di neet, ovvero di giovani d’età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano. Il deficit formativo penalizza in particolare l’Amministrazione pubblica e rischia di far fallire concretamente il Next Generation Eu, che pone al centro dei suoi obiettivi proprio la formazione delle nuove generazioni. Infatti, stando al rapporto della Corte dei conti, è piuttosto basso il grado di attuazione del Pnrr per quanto riguarda l’Obiettivo 4 relativo all’istruzione e alla ricerca. Lo Stato, del resto, non è in grado di attrarre profili professionali qualificati, liberi questi ultimi di scegliere impieghi ben più remunerativi all’interno di un ricco mercato di aziende private, italiane ed estere. Ma, in tema, sono proprio i rappresentanti delle categorie imprenditoriali italiane a denunciare le notevoli difficoltà in cui si trovano le loro aziende, che non riescono a trovare almeno 1,2 milioni di lavoratori qualificati di cui hanno bisogno, soprattutto nei settori tecnologicamente avanzati.

Questo per l’analisi di fatto. Mancano tuttavia in tutti gli interventi citati delle proposte sistemiche innovative, meno che mai “rivoluzionarie”, per risolvere il rompicapo dei due aspetti del problema: troppe risorse da un lato; dall’altro, poca capacità di metterle a profitto per il rinnovamento tecnologico, produttivo e formativo della società italiana. Tanto vale, allora, provare a individuare un modello di intervento radicale, possibilmente il più innovativo e prototipale del mondo. In primo luogo, va detto senza mezzi termini che tra qualche anno sarà proprio l’Ai (Artificial intelligence) a sostituire in toto gli impiegati pubblici. Impossibile, infatti, tenere testa ad algoritmi e Big Data che contengono tutto lo scibile in materia di provvedimenti amministrativi e dei metodi corretti di redazione/stesura, coniugandoli con tutta la normativa esistente per la regolazione dei procedimenti stessi. Rimarrà il solo controllo umano sulla sola stesura finale per la firma in remoto. Tanto vale, pertanto, avviarci su quella strada fin da ora. L’altro tremendo corno del problema è arrivare al totale “decoupling” tra Pubblica amministrazione e ingerenza della politica nell’organizzazione amministrativa e nel reclutamento del personale (si pensi al disastro della Sanità regionalizzata!).

Basterebbe a tal fine ricondurre l’apparato amministrativo dello Stato e della Pa in generale sotto l’unico coordinamento di un’Autorità terza, tecnica e indipendente, il cui responsabile sia designato con maggioranza qualificata dalle due Camere e nominato dal Capo dello Stato. Compiti della proposta Autorità garante della Pa potrebbero essere i seguenti: una relazione annuale sui costi impropri della legislazione e dell’organizzazione delle Pubbliche amministrazioni, con relative proposte al Parlamento per la loro ottimizzazione; l’accertamento autonomo dei risultati e del merito individuale di impiegati e dirigenti; la verifica periodica del rapporto efficienza/efficacia dei processi di lavoro, provvedendo autonomamente al riordino delle strutture amministrative che non rispettino gli standard ottimali di funzionamento, di produttività e di trasparenza amministrativa; la gestione e selezione per merito del personale di tutta la Pa statale e regionale, attraverso la tenuta di Elenchi unici nazionali, a reclutamento centralizzato, dei vari profili professionali e dirigenziali. Infine, l’auspicato e radicale decoupling dell’Amministrazione pubblica dall’invadenza della politica si ha ponendo l’Autorità di cui sopra sotto la diretta tutela del Capo dello Stato, che assumerebbe così il ruolo costituzionale di garante dell’imparzialità sostanziale della Pubblica amministrazione. Così, nessuno potrà mai più intestarsi il merito (ma soprattutto il demerito) delle riforme perennemente abortite della Pa.

Aggiornato il 06 giugno 2023 alle ore 11:10