Migrazioni: Europa verso il modello Uk?

L’approvazione del nuovo Patto europeo sull’immigrazione e sull’asilo, adottato a maggioranza dai ministri dell’Interno degli Stati membri nella tarda serata di giovedì scorso, è stato accolto con soddisfazione dal ministro Matteo Piantedosi. Il nuovo accordo diventerà ora la base dei provvedimenti europei in materia di immigrazione. Sebbene l’Italia resti “Paese di primo approdo” e che il presunto “obbligo di solidarietà” si limiti a mettere gli Stati che non vogliono accogliere i migranti davanti alla scelta di accettare i ricollocamenti o pagare ventimila euro a persona, c’è da dire che la condizione ottenuta dal Bel Paese per il suo placet – che fino all’ultimo aveva minacciato di non dare – non è di poco conto ed è, per certi aspetti, rivoluzionario rispetto allo stato di cose cui i Governi che si sono succeduti negli anni e la stessa Unione europea ci avevano abituato.

L’Italia, infatti, ha ottenuto maggiori aiuti da parte dell’Unione per quanto riguarda il controllo e la gestione del fenomeno. Le frontiere italiane vengono quindi riconosciute come frontiere europee, alla cui gestione tutti sono tenuti a contribuire: almeno economicamente e con la semplificazione delle procedure per l’identificazione. Il nostro Paese, inoltre, ha ottenuto un maggior impegno, da parte dell’Unione, nello stringere e implementare accordi con Paesi terzi – a cominciare da quelli di transito – ai quali affidare gli immigrati irregolari o quelli espulsi che non è possibile rimpatriare direttamente. L’Europa insomma, grazie all’impegno italiano, sembra decisa ad adottare il controverso e contestato “modello britannico”.

La visita della premier Giorgia Meloni, che si è recata in Tunisia assieme alla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e al primo ministro olandese Mark Rutte è un ulteriore riprova del fatto che il vento, nel Vecchio Continente, sembra stia iniziando a spirare in tutt’altra direzione per quanto riguarda i migranti. Come si sa, la Tunisia versa in uno stato di assoluta e totale devastazione economica, che a sua volta sta generando un forte malcontento popolare che potrebbe finire col destabilizzare il Paese. Il presidente Kais Saied sa di essere a rischio e per questo ha fatto appello all’Europa. La mossa italiana di rispondere per prima alle richieste tunisine e di essersi impegnata in Europa per un patto di cooperazione col Paese maghrebino è stata decisamente astuta. In questo modo, la Tunisia riceverà – come ribadito oggi da Von der Leyen – dei sostanziosi aiuti economici per uscire dalla crisi: in cambio – come da richiesta italiana col placet dell’Europa – dovrà impegnarsi a chiudere le rotte migratorie e – almeno così sembra – anche a diventare meta di “deportazione” per gli immigrati irregolari o espulsi dal territorio italiano ed europeo. Un po’ come l’Uganda con il Regno Unito. Per l’Italia è tutto di guadagnato, in tutti i sensi: e perché tra i Paesi maggiormente afflitti dal problema dell’immigrazione clandestina; e perché, in questo modo, si candida a diventare uno dei principali punti di riferimento del Nord Africa e a sfidare l’influenza francese e turca nell’area.

Niente che non sia già stato fatto in passato con la Turchia o con la Libia: pagare in cambio dell’aiuto nel contrasto all’immigrazione clandestina. Niente di disumano: se i fari di civiltà come la Danimarca, la Germania, la Svezia, l’Olanda o l’Austria (non l’Ungheria e la Polonia, quindi), in forza del nuovo Patto sulle migrazioni, possono pagare per sottrarsi al ricollocamento, per quale ragione dovrebbe essere disumano il fatto che l’Italia faccia lo stesso con la Tunisia per controllare il fenomeno o per poter espellere i clandestini che, comunque, non hanno diritto di soggiornare sul territorio nazionale? A ben vedere, la strada tracciata in sede europea verso l’adozione del sopracitato “modello britannico”, sembra la soluzione più ragionevole e con le maggiori speranze di essere accettata da tutti i Paesi membri: al netto dei giudizi morali e della sensibilità personale sul tema, è una questione di concretezza.

Una soluzione va trovata, ma questa soluzione non può essere quella della redistribuzione o di una maggior cooperazione a livello europeo: ogni tentativo in tal senso è destinato a infrangersi contro i veti incrociati non solo dei Paesi “sovranisti” come l’Ungheria o la Polonia, ma anche degli altri Stati (inclusi quelli socialdemocratici) che semplicemente non sono disposti a mettere a rischio la stabilità dei loro conti pubblici piuttosto che la sicurezza dei loro cittadini per farsi carico dei migranti. Di conseguenza, il “modello britannico”, con l’identificazione di qualche altro Paese, oltre la Tunisia, dove trasferire i migranti irregolari, unito a una maggiore selettività all’ingresso e una maggior sostegno agli Stati più esposti al fenomeno, sembra essere l’unica via praticabile.

Aggiornato il 12 giugno 2023 alle ore 10:56