Piano Mattei: sì a misure concrete

Voglio iniziare questa mia nota prendendo, come riferimento, il decreto legge 161 varato dal Governo il 23 novembre 2023 (leggi qui, in particolare l’articolo 1). Ritengo anche utile aggiungere la dichiarazione della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sulla rilevanza strategica del provvedimento: “Proprio dai Paesi africani dovrebbe iniziare il processo che – nel prossimo futuro e grazie al supporto del direttore generale Eni, Claudio Descalzi – arriverà a coprire tutta la zona mediterranea e una buona parte di quella subsahariana, con l’idea di una cooperazione non predatoria, in cui entrambi i partner possano crescere e migliorare. Inoltre, il Governo italiano punterà alla totale autonomia dal gas russo per poi progressivamente diventare il principale Hub energetico a livello europeo”.

Alle parole della premier si sono aggiunte quelle del ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani: “Il decreto Mattei è un’altra scelta che considero di grande importanza perché risponde alla questione migrazione, per la stabilità del Continente africano. L’immigrazione non è un problema che si può risolvere intervenendo solo alla fine del percorso ma a monte”. Ebbene, nei primi giorni di ottobre dello scorso anno, proprio seguendo alcune anticipazioni della presidente Meloni, avevo anche prodotto una possibile proposta progettuale, coerente con le finalità che il Governo italiano cercava di attuare nel Continente africano e tentai, in modo sintetico, la ipotesi progettuale che riporto di seguito.

Progetto Transaqua

Consapevoli del problema di siccità che, in prospettiva nel tempo, sarebbe andato a colpire l’area del Sahel e in particolare il bacino del lago Ciad, gli ingegneri italiani della società Bonifica (allora del Gruppo Iri), a metà degli anni Settanta, studiarono ed elaborarono un progetto idrico avente lo scopo di garantire, nel tempo, il permanere del livello idrico del lago Ciad. Il lago Ciad, ricordo, era il lago più grande dell’Africa, ubicato a confine con il Niger, la Nigeria, il Ciad e il Camerun. Questo progetto idraulico studiò le modalità con le quali trasferire risorse idriche dal bacino del fiume Congo al lago Ciad, senza generare problematiche di portata, nel bacino del fiume Congo e, di tenuta, nel bacino del lago Ciad. Il progetto trovò anche il sostegno dell’allora presidente della Repubblica democratica del Congo, Mobutu Sese Seko.

Considerato un progetto faraonico, avveniristico, basato su previsioni catastrofiche non dimostrabili, il progetto non ottenne il giusto supporto politico e finanziario necessario per essere sviluppato. Ma né Bonifica né la Lcbc (organismo sovrannazionale, diretto fruitore del progetto Transaqua, creato dalla Nigeria, dal Niger, dal Camerun, dal Chad, dalla Libia e dal Centro Africa avente ad oggetto la salvaguarda del bacino del Lago Ciad – Lcbc (Lake Chad Basin Commission) abbandonarono mai l’idea progetto denominata Transaqua. Le previsioni della società Bonifica Spa, considerate “catastrofiche”, si sono invece avverate; nel 2018 il lago Ciad passò da una superficie di 25mila chilometri quadrati nel 1960 a 1.500 chilometri quadrati nel 2018. Questi dati trovano attestazione e conferma nel documento finale ufficiale redatto a seguito della Conferenza di Abuja (capitale della Nigeria) del febbraio 2018, indetta proprio per discutere del salvataggio del lago Ciad. Il progetto Transaqua, mai accantonato dalla Bonifica Spa, è tornato così in primo piano sulla scena africana e, alla fine del 2015, la Lcbc richiese alla società di ingegneria italiana di procedere ad un suo aggiornamento e ad una sua attualizzazione.

Gli ingegneri di Bonifica, ripartendo dall’idea base del trasferimento idrico dal bacino del fiume Congo al bacino del lago Ciad, studiati i nuovi fenomeni geo-politici che nel tempo avevano colpito e modificato l’area del Sahel, consci dell’avanzamento tecnologico che negli anni avevano trasformato progetti avveniristici in progetti realizzabili, aggiornarono il progetto Transaqua che diventò così non più un mero e semplice progetto di trasferimento idrico, ma diventò un vero e proprio “progetto di sviluppo tecnico, economico, sociale”; il trasferimento idrico diventò il filo conduttore di uno sviluppo economico dell’intera vasta area interessata dal progetto, con la realizzazione di dighe, centrali elettriche, sviluppo delle infrastrutture di trasporto, piattaforme logistiche, sviluppo urbano, sviluppo agricolo, centri abitati, lavoro, reddito, miglioramento della qualità della vita, argine, soprattutto, al fenomeno del terrorismo e della emigrazione illegale e clandestina. I benefici vennero subito identificati direttamente nelle zone interessate dal progetto e, (in)direttamente, anche nei Paesi confinanti. Ritengo opportuno precisare che il progetto Transaqua ha una dimensione geo-politica non semplice; gli Stati interessati fisicamente dall’opera sono essenzialmente tre: Repubblica democratica del Congo, Centrafrica e Nigeria, mentre il coinvolgimento più ampio interessa anche il Niger, il Cameron, il Chad ed il Congo Brazzaville. Consci del fatto che la Cina, attraverso le proprie società di Stato, era presente in modo massivo e massiccio nell’area interessata dal progetto (ma soprattutto in Nigeria), consci della potenza economica che questo Stato (o sarebbe meglio dire Continente per le sue caratteristiche e prerogative) rappresenta, la Lcbc ha messo in contatto la società cinese Powerchina e la società italiana Bonifica spa, al fine di favorire un accordo di collaborazione sul progetto Transaqua.

Questa collaborazione è stata oltremodo fondamentale per la dimostrazione della solidità tecnica del progetto Transaqua perché in Cina, Powerchina, ha già realizzato un progetto simile (Snwtp-South North Water Transfer Project) avente lo scopo di risolvere il problema della siccità del Nord della Cina, trasferendo l’acqua dal Sud del Paese. L’opera cinese era composta da tre mega canali, di cui uno già in funzione e due in corso di realizzazione. I benefici, in termini di sviluppo economico e sociale, erano simili a quelli ipotizzati dalla Bonifica spa con la realizzazione del progetto Transaqua.

La collaborazione sino-italiana aveva, come primo step fondamentale, il supporto alla Lcbc nella ricerca dei finanziamenti necessari per lo sviluppo dello studio di fattibilità. Bonifica si mosse sin dall’inizio in sintonia con il proprio Paese, l’Italia, portando a conoscenza delle principali Istituzioni interessate il progetto Transaqua, la collaborazione con la Cina e l’iniziativa in corso. Nel 2018 Bonifica e Powerchina vennero invitate, quali speaker, alla Conferenza internazionale per la salvaguardia del Lago Ciad, conferenza voluta fortemente dalla Nigeria nella persona del proprio presidente H.E. Buhari. La Conferenza durò tre giorni (26-28 febbraio 2018), vide la partecipazione di 6 capi di Stato africani, 12 primi ministri, delle Banche di sviluppo, dell’Onu e dell’Unesco, di alcuni ambasciatori europei, dell’Ambasciatore cinese. La Conferenza si concluse dichiarando che il lago Ciad andava salvato, che la situazione attuale dello stesso non permetteva ulteriori discussioni ma solo un’azione immediata e che l’unico progetto possibile per salvare il Lago risultava essere Transaqua. La Conferenza stabilì anche di procedere immediatamente con lo studio di fattibilità. Ma, durante la Conferenza accadde un altro fatto di rilevanza internazionale; l’Italia, attraverso il proprio Ambasciatore in Nigeria, comunicò ai partecipanti alla conferenza che l’Italia credeva nel progetto e offriva alla Lcbc un dono di 1,5 milioni per attivare lo studio di fattibilità di Transaqua. Fu un successo. Per la prima volta, se dimentichiamo per un attimo il lavoro e la fatica per arrivare a tale risultato, l’Italia si pose sulla scena internazionale in modo esemplare, appoggiando un progetto italiano, finanziando un progetto italiano, benedicendo una collaborazione con la Cina dando quindi costrutto allo slogan “aiutiamoli a casa loro”.

Ma l’Italia è sempre il Paese contraddittorio che conosciamo; così, ad un anno di distanza dalla Conferenza, dopo lunghe peripezie burocratiche, l’accordo che garantiva il finanziamento promesso alla Lcbc venne sottoscritto ma, ancora oggi, è congelato nelle mani della burocrazia e nulla più è stato fatto. Sarebbe penso utile che l’attuale Governo prendesse visione di una simile proposta perché forse potrebbe finalmente fare riferimento non ad una ipotesi ma ad una realtà congeniale con ciò che chiamiamo “Piano Mattei”.

Ma accanto a questa ipotesi progettuale ritengo opportuno far presente che la imprenditoria italiana ha una nutrita documentazione di progetti e di interventi realizzati nel Continente africano, ne ricordo solo alcuni:

– il raddoppio del Canale di Suez;

– nella regione di Benisciangul-Gumuz in Etiopia, circa 15 chilometri a est del confine con il Sudan. Con una potenza installata di 6,45 Gigawatt, la diga, una volta completata, sarà la più grande centrale idroelettrica in Africa, la settima al mondo;

– porto di Gibuti e asse autostradale Gibuti-Mogadiscio;

– asse ferroviario ad alta velocità Gibuti-Adis Abeba;

– diga di Inga costruita nel Congo negli anni Settanta;

– asse ferroviario ad alta velocità Il Cairo-Alessandria d’Egitto;

– asse autostradale Tobruk – Tripoli.

Questa consolidata esperienza dovrebbe quindi dare vita a un immediato incontro tra il Governo e le Società di ingegneria, le grandi Aziende e le imprese che direttamente o indirettamente hanno, nel tempo, prodotto risultati encomiabili nel Continente africano e concordare una proposta organica di azioni capaci di costruire, da subito, un incisivo e concreto Partenariato pubblico privato. È interessante, a mio avviso, che il Piano voluto da Giorgia Meloni non venga utilizzato solo come un interessante atto mediatico; lo so, non è una finalità della presidente Meloni, però è bene che la squadra di Governo e il sistema imprenditoriale italiano lo capisca.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 14 marzo 2024 alle ore 11:54