Capocrazia: presidenti a confronto

Ci voleva un “saggio” per mettere allo stesso tavolo, finalmente, due ex presidenti del Consiglio, come Romano Prodi e Giuseppe Conte. Il gioco di prestigio, che ha fatto apparire nello stesso luogo l’uno e l’altro, è stata la presentazione il 14 marzo scorso, presso la Galleria nazionale di Roma, del nuovo libro del professor Michele Ainis, Capocrazia, edito da La nave di Teseo. Lunghissime e comiziali, in questa occasione, le risposte di Conte; lapidarie e tutte nello spirito romagnolo quelle di Prodi, con brevi e altrettanto efficaci inserti del professor Ainis, che deve essersi divertito un mondo a vedere i due principali rappresentanti della Capocrazia contendersi il primo piano. Ovviamente, l’argomento principe è stato il progetto di riforma costituzionale del premierato, per rafforzare poteri e durata degli Esecutivi, sempre molto caduchi qui da noi. Prodi, in particolare, ha posto l’accento sul fatto che, a riforma fatta e a bocce ferme (in base a quanto finora trapelato), i due presidenti si troverebbero in una condizione capovolta, rispetto alle figure attuali, in quanto il primo, il premier, avrebbe l’investitura popolare, mentre il secondo no, essendo la sua una elezione di secondo grado. Ma il premierato andrebbe a incidere parimenti sulla stabilità del Parlamento, dato che, come sostiene Conte, da parte sua sempre disponibile a sedersi a tavolo con la maggioranza per discutere di riforme costituzionali, “se cade il premier cade anche il Parlamento: un ricatto implicito tale da asservire quest’ultimo al primo”. Prodi richiama con l’occasione i contenuti ben più solidi del presidenzialismo americano, per cui in quel sistema istituzionale esistono contrappesi formali e di fatto, come il “quarto potere” della stampa libera e indipendente.

Invece Ainis avanza una proposta, per così dire scandinava, prendendo spunto dall’Islanda in cui, per un progetto di revisione costituzionale, si è scelto di costituire una Commissione di esterni. Anche se, fa notare Conte, in questo caso, per via dei (nostri) grandi numeri, invece di arrivare, come in Islanda, a qualche migliaio di osservazioni da parte dei cittadini, si arriverebbe alle centinaia di migliaia, prolungando all’infinito il processo decisionale. Per Ainis esiste un problema di fondo della rappresentanza democratica, a causa del sempre maggiore tasso di astensione (sia locale che nazionale) e delle leggi elettorali che, per l’appunto, privilegiano la Capocrazia, a tutto danno delle scelte del cittadino, che si vede costretto a votare liste bloccate di “nominati”, scelti dal “capo” del partito. Per le riforme costituzionali come il premierato è assolutamente necessario, per Ainis, il ricorso al referendum approvativo. La riforma così com’è è un vero pasticcio. Che cosa accade al premier eletto se il Parlamento gli vota contro negandogli la fiducia? Il modello proposto darebbe un enorme potere ai piccoli partiti i cui voti sono determinanti, creando così un vero ossimoro della stabilità tanto tenacemente perseguita! Per Prodi, l’unica via di uscita da una serie di paradossi è di mettersi tutti assieme per fare una riforma equilibrata, procedendo in primo luogo a una modifica dell’attuale legge elettorale, dando così stabilità alle maggioranze, in modo da restituire la scelta ai cittadini attraverso meccanismi di collegio, come l’uninominale a doppio turno. Bisogna farla finita con le candidature multiple, per cui se ti bocciano in un collegio uninominale puoi venire eletto lo stesso, grazie alla quota proporzionale! Mentre negli altri Paesi le leggi elettorali durano molto a lungo, qui da noi invece vengono riviste a scadenze ravvicinate, e sempre per motivi elettorali, in cui si cerca di impedire a qualcun altro di vincere le elezioni!

Il ritorno al proporzionale proposto da Conte, rileva Prodi, non funziona in una società complessa. Vedi l’attuale malfunzionamento del sistema elettorale tedesco, che produce coalizioni sempre meno omogenee, per cui Olaf Scholz ha due partiti che litigano ogni giorno tra di loro. Un buon sistema elettorale, invece, deve obbligare le formazioni politiche a raggrupparsi. Il presidenzialismo, poi, è un’arma a doppio taglio che non di rado provoca tragedie. E, purtroppo, anche le elezioni europee non hanno nulla di transnazionale, in quanto rappresentano in buona sostanza una conta elettorale interna. Sarebbe ben diverso se, invece, ci fossero liste europee con candidati dei vari Paesi sui collegi singoli. Ma l’Unione europea è una costruzione sempre in progress, da questo punto di vista. Ancora oggi, non esiste un Esecutivo sovranazionale, ma un Consiglio europeo dove ogni Nazione gioca i propri interessi, e il veto di un piccolo Paese può impedire la fusione della volontà europea per i grandi cambiamenti. Così, un disco rosso della minuscola Malta può impedire ai rappresentanti di 430 milioni di cittadini di prendere una decisione comune di grande importanza.

L’idea di Prodi per riformare il Partito democratico è quella di riagganciare il rapporto con la società civile italiana, magari formando gruppi itineranti di una ventina di persone qualificate, che vadano sul territorio a discutere con migliaia di persone su questioni emergenti, per raccogliere le proposte dal basso dei cittadini, in merito alla soluzione dei problemi che affliggono oggi la società italiana, sia a livello locale che nazionale. L’autonomia differenziata, rileva Prodi, non fa che creare altrettante piccole Repubbliche, mentre sarebbe bene che i partiti dessero finalmente attuazione all’articolo 49 della Costituzione per garantire i loro processi democratici interni! In materia, osserva Ainis, si è operata una netta forzatura dell’articolo 116 della Costituzione, nel passaggio in cui si dice che “qualche” Regione può ricevere competenze maggiori delegate dallo Stato. Invece, la legge Calderoli non fa altro che trasformare questa eccezione in regola, dato che una Regione può ottenere tutte le 23 competenze in ballo. Altra grave anomalia del sistema, secondo Ainis, è il ricorso improprio alle Commissioni parlamentari di inchiesta, “proposte a settimane alterne”, in cui si surrogano i poteri della magistratura. E nessuno fa il proprio mestiere, visto che per esempio nei ruoli amministrativi delle regioni possono essere nominati amici e parenti dei politici che contano. Altra grave anomalia è quella del doppio mandato settennale del Presidente della Repubblica, che invece dovrebbe essere un atto eccezionale in situazioni di emergenza istituzionale.

Infine, Giuseppe Conte, nella sua elegante eloquenza tribunizia, ha puntualizzato vari elementi, in merito alle attuali questioni politiche. Innanzitutto, che Giorgia Meloni tende portare a ridosso della scadenza del suo mandato il referendum costituzionale sul premierato, facendo un po’ come Matteo Renzi quando ha offerto la sua testa al giudizio degli elettori. Però, come Renzi, anche Meloni dovrà spendersi per la sua riforma rischiando parimenti di rimanere impigliata al risultato relativo. Meloni è pienamente legittimata a governare ma non ha ancora dalla sua la maggioranza nel Paese. Dal punto di vista delle decisioni sbagliate di Governo, Conte rileva che stiamo andando indietro per quanto riguarda la legislazione innovativa in materia di anticorruzione, rispetto ai primi posti conquistati all’epoca del suo Governo. Sull’astensione Conte ha rilevato, poi, che i valori percentuali non cambiano quando si va a votare “direttamente” per sindaci e presidenti di Regione. Se va a votare sempre una minoranza si rischia di eleggere un premier divisivo, che porterà instabilità sociale assumendo iniziative invise alla maggioranza. Per dare più potere al cittadino, invece, sono di gran lunga preferibili i referendum consultivi. Per le alleanze, infine, fare politica significa mettere l’accento sui principi, per poi declinare gli obiettivi. È difficile lavorare con dei leader il cui obiettivo non è una competizione sana (“io che ci faccio se prendo un voto in più del Pd?”). In Sardegna c’era un progetto credibile e convincente: in altri casi non si ha invece lo stesso risultato né con la sommatoria matematica né con quella politica.

Sulla questione ucraina, d’altro canto, che è un argomento divisivo rispetto al Pd, Conte ha osservato che la strategia militare non sta dando frutti, come aveva anticipato il Movimento cinque stelle, che ha sempre sollecitato il Governo a farsi portatore di una proposta negoziale. Anche lui si chiede che cosa accadrà dopo le prossime elezioni presidenziali americane di novembre, dato che più ci si allontana dal 2022, più si perde forza negoziale. Idem nel caso della guerra a Gaza: solidarietà a Israele ma non a una invasione indiscriminata, che non avrebbe dovuto ricevere da parte dell’Occidente una simile copertura politica. Che cosa succederà a Rafah se rimarranno queste regole di ingaggio? Appoggio, tuttavia, alla missione difensiva in Mar Rosso, perché non si deve esporre il petto all’aggressore senza reagire. In linea di principio, conclude Conte, occorre mantenere aperta la porta del dialogo tra culture, recuperando un metodo multilaterale nella mediazione dei conflitti.

(*) Capocrazia di Michele Ainis, La nave di Teseo, 208 pagine, 16 euro

Aggiornato il 18 marzo 2024 alle ore 09:26