L’ammasso difforme di sedicenti unificazioni liberali

In un momento storico nel quale si sente l’utilizzo imperante dell’espressione elettorale “l’unificazione dei liberali”, soprattutto fra tutti i così detti cespugli rappresentanti personalismi politici di ogni sorta, non pare inopportuno osservare che le unioni, unificazioni, le intese e patti debbono fondarsi su un’idea e non su desolanti e molto spesso fallimentari calcoli elettorali personali. Perché se così non fosse, ossia se un’unificazione non si fondasse su un’idea, che definisca un’azione, di che cosa potrebbero discorrere tutti questi capi di cespugli partitici per giungere a un accordo? Tuttavia, non è affatto agevole comprendere l’idea o le idee che uniscono o dividono tutti questi liberali, veri o sedicenti tali, poiché la maggior parte delle parole comunemente adoperate sono soprattutto notabili per la mancanza di contenuto: invero, è proprio nella succitata mancanza che sussiste la ragione del loro successo, in quanto è evidente e legittimo avere il sospetto che le parole usate da questi politici pseudo-liberali per descrivere i propri intenti sono state consapevolmente o inavvertitamente selezionate affinché esse siano adattabili a qualsiasi azione che gli stessi deliberino di intraprendere successivamente.

Inoltre, i suddetti politici che aspirano ad attrarre l’elettorato liberale e creare unificazioni elettorali prive di idee in generale e liberali in particolare amano definirsi progressisti contrapponendosi a coloro che definiscono in modo spregevole conservatori. Pertanto, costoro, così detti progressisti, che per ampliare il loro consenso elettorale tentano di mortificare il significante liberale cercando di appropriarsene impropriamente pur non conoscendone il vero significato, dimenticano o fingono di dimenticare, che in passato sono stati definiti conservatori taluni uomini di stato i quali in Italia cacciarono gli invasori stranieri, misero fine a regni millenari, mutarono regimi politici, rinnovarono il sistema tributario, attuarono leggi eversive della proprietà ecclesiastica. Allo stesso tempo, i suesposti politici che si reputano progressisti si sono formati politicamente reputando progressisti anche chi propugnava l’avvento di democrazie dette “progressive”, segnalate come negatrici dell’alternanza al potere dei partiti e delle fedi politiche, a vantaggio della dominazione propria a nome di un proletariato il cui avvento avrebbe dovuto rendere inutili le alternanze, imponendo un utopistico genere di pace sociale perpetua, a danno dell’individualità.

Quindi, tutte le istanze compiute dai medesimi con espressioni lessicali di “ritorno all’osservanza di una rigida morale pubblica e privata” o a quella di “una migliore giustizia sociale” o l’altra di “invocazione della pace” o ancora dell’eliminazione dei “fautori della guerra”, in realtà, riecheggiano semplicemente il consenso di tutte le persone bennate e possono essere interpretate nelle più diverse maniere, confacenti ai propositi e ai temperamenti di uomini che non hanno nulla in comune nella loro azione politica quotidiana. Quando si ascoltano discorsi intessuti di cotali parole, l’esperienza non può non suggerire di interpretarli nel loro significato diametralmente opposto a quello letterale. Infatti, chi grida giustizia ambisce di solito a qualche nuova iniquità, chi dice di voler innovare la morale, in realtà, intende interpretare una certa condotta in modo decisamente contrario alle regole della morale ordinaria rispettosa dei principi di giustizia e legalità sedimentati consuetudinariamente nella società civile. Altresì, chi vuole sconfiggere i fautori della guerra o instaurare la pace perpetua intende escogitare dei mezzi per silenziare l’avversario, tacciandolo come guerrafondaio o peggio ancora etichettandolo come sodale di un capo di stato straniero (vedi l’uso del termine accusatorio di “putiniano”).

Il profilo di questi politici corrisponde a quello di coloro che dicono di conoscere la verità e si arrogano il diritto di doverla declinare e proprio per questo non possono essere considerati dei liberali. I veri liberali, pertanto, hanno il dovere etico di opporre il principio secondo il quale si viene a conoscenza della verità solo se e finché si ha la possibilità di negarla; che il solo criterio della verità politica, come di ogni altra verità, è il diritto illimitato di discutere le regole accettate nel costume o nella costituzioni scritte, di criticare gli ordinamenti esistenti e tutti gli uomini al potere (nessuno escluso), di adoperarsi per mutare gli uni e per cacciare gli altri di seggio, il diritto delle minoranze di trasformarsi, in virtù di persuasione, in maggioranze, senza l’utilizzo di intrighi e giochi di palazzo. Nelle grottesche trattative di unificazione elettorale tra i veri liberali e i così detti progressisti mascherati da sedicenti liberali, esiste tuttavia un inconfutabile filo conduttore, che a ben guardare si può riscontrare attraverso il velame delle loro parole apparenti, ossia il contrasto che ogni volta emerge tra due principi, ossia rispettivamente tra quello del liberalismo e quello del socialismo.

Aggiornato il 19 aprile 2024 alle ore 12:14