Ristabiliamo la realtà storica

Io che non sono più un pischello, come si dice a Roma, ho avuto la fortuna di parlare con molte persone che hanno vissuto gli anni terribili della Seconda guerra mondiale, tra cui quasi tutti i miei insegnanti delle elementari e delle medie. Ebbene, nessuno di costoro – nei loro racconti – ha mai usato il termine “nazifascismo”. Soprattutto in merito al conflitto che si svolse in Italia e che si concluse con il ritorno del sistema democratico. Si parlava quasi esclusivamente di tedeschi e di angloamericani, con il quasi simbolico intervento delle cosiddette forze partigiane. Lo stesso illustre storico Basil Liddell Hart, nel capitolo dedicato alla Campagna d’Italia, pubblicato nella sua monumentale opera dedicata al conflitto, usa esclusivamente questi ultimi termini e non menziona il “decisivo” intervento degli stessi partigiani.

Eppure, nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito ad una sorta di metamorfosi storica, con la quale una ben definita parte politica si è sostanzialmente appropriata della ricorrenza simbolica del 25 aprile, attribuendo a essa una sorta di carattere religioso, in cui il bene assoluto, incarnato essenzialmente dai partigiani di un certo colore politico, riuscì valorosamente a sconfiggere il male assoluto incarnato dal demone del nazifascismo. E più passano gli anni – la prossima volta festeggeremo l’ottantesimo anniversario della Liberazione – più si ingigantiscono i crimini degli sconfitti, in modo speculare alle incommensurabili virtù dei buoni partigiani che hanno riportato la libertà, e più si annebbiano i fatti reali: su tutti il decisivo intervento degli eserciti Alleati nel riportare la democrazia in Italia.

Quindi, in estrema sintesi, la Festa della Liberazione è divenuta la ricorrenza non di un fatto storico pieno di luci e di ombre – tra cui il mistero della morte di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, culminato con l’orrendo spettacolo di Piazzale Loreto – ma la celebrazione di un dogma resistenziale di stampo comunista. E come accade per qualunque altro dogma, chi non lo accetta in modo acritico, osando addirittura esprimere qualche dubbio, viene bollato con marchio d’infamia dell’eresia.

Nel Medioevo, per stabilire se qualcuno mentisse, c’era la pratica giuridica dell’Ordalia, che in longobardo significa giudizio di Dio. Oggi, nell’era dell’intelligenza artificiale e del chiacchiericcio mediatico, i depositari del citato dogma resistenziale impongono a tutti i cittadini, compresi i più alti vertici dello Stato, di esprimere a richiesta la loro fede antifascista. E se questi ultimi non adempiono, si beccano l’anatema di nostalgici e negazionisti da parte di qualche gran sacerdote di turno, alias intellettuale organico politicamente molto corretto. Ogni riferimento ad Antonio Scurati è puramente casuale.

Aggiornato il 26 aprile 2024 alle ore 09:35