Ariemma: “Insegnare filosofia guardando le serie televisive”

giovedì 7 settembre 2017


Ama gli incroci, gli innesti e odia sentir dire che la filosofia è roba vecchia. Racconta che Platone si impara guardando la serie tv Black Mirror. Ed è una rivelazione. Tommaso Ariemma nasce a Napoli nel 1980. Insegna filosofia in un liceo di Ischia e ama contaminare la sua materia con quella delle più amate serie televisive. Il suo è un modo nuovo di insegnare, quasi una rivoluzione e davvero in pochi riescono a resistergli. Sperimenta e non è mai stanco di stupire, così come racconta nel suo libro “La filosofia spiegata con le serie tv” edito da Mondadori. Da alcuni anni strega i suoi ragazzi a scovare Immanuel Kant fra i sopravvissuti e i rottami dell’isola di Lost. Oppure, per spiegare Parmenide e il suo assioma (“L’essere è e non può non essere”, ndr), chiede di ascoltare i dialoghi fra i due investigatori di True Detective. Leggerlo è un piacere. Una scoperta avvincente soprattutto per i giovani di oggi. “Un modo nuovo per stuzzicare la curiosità e l’intelletto delle nuove generazioni solo per alcuni rincretinite dal web e dagli smartphone”.

Nel libro “La filosofia spiegata con le serie tv” cosa racconta?

Un esperimento filosofico, ma soprattutto didattico, fatto con i miei studenti di liceo, che mescola il pensiero dei filosofi più celebri con le trame e i personaggi delle nuove serie tv come Lost, Mad Men, Black Mirror, Breaking Bad, per spiegarlo in modo più efficace e avvincente ai giovani di oggi.

Il suo è un modo nuovo di insegnare la filosofia. Ce ne può parlare?

Si tratta di trasmettere il pensiero filosofico attraverso la contaminazione con la cosiddetta “cultura di massa”, fatta di serie tv, social network, videogiochi e molto altro. Un modo efficace per rendere la filosofia “mutante”, addirittura “virale”, come nel caso del mio libro che sta trovando tantissimi e inaspettati lettori.

È vero che si definisce un filosofo pop?

Sì, la “pop filosofia” è la corrente filosofica alla quale mi richiamo e che da dieci anni è presente in Italia in modo significativo. È molto diffusa anche all’estero. In Italia è praticata soprattutto da giovani filosofi come Lucrezia Ercoli, Simone Regazzoni, Cesare Catà, Salvatore Patriarca, Alessandro Alfieri e tanti altri, oltre al sottoscritto (tra i primi a promuoverla). È l’unica corrente filosofica che ha superato i ristretti recinti accademici e che adesso ha fatto il suo ingresso nelle scuole, per la prima volta, proprio con il metodo che ho proposto attraverso il libro.

Per un giovane deve essere avvincente entrare nella pop-filosofia...

Prima che avvincente è sicuramente “spiazzante”. I ragazzi non si aspettano la contaminazione tra la filosofia, che nel migliore dei casi è per loro materia morta o inutile, e le serie tv a cui si appassionano, fino alla vera e propria dipendenza.

Qual è la sua serie tv preferita?

Mad Men. Una serie tv ambienta nell’America degli anni sessanta. I protagonisti sono un gruppo di pubblicitari. Una serie dal grande spessore filosofico e dalla grande ricerca estetica.

Quale filosofo rappresenta?

Non “rappresenta” in realtà nessun filosofo. Ma, al tempo stesso, offre tantissimi spunti filosofici. Lo spessore filosofico è la chiave di molte nuove serie tv in circolazione. Nel libro faccio confrontare ai miei ragazzi le idee del protagonista di questa serie con il pensiero di Karl Marx. Si parla di merci, di pubblicità, e allora perché non una bella sfida tra un pubblicitario e il teorico del comunismo?

Da dove nasce l’idea del libro?

Nasce dalla convinzione che i nostri ragazzi non sono assorbiti dai loro smartphone o rincretiniti dai media e che basta trovare la chiave giusta per stuzzicare la loro curiosità e attivare la loro passione. Io l’ho fatto con le serie tv, anche perché, prima di cominciare a insegnare, ha fatto ricerca all’università proprio su questo fenomeno, pubblicando diversi volumi accademici. Conoscevo dunque bene la mia esca per attirare i ragazzi!

Filosofia e cultura di massa possono convivere?

Certamente, ma possono anche scontrarsi, poi fare pace, e riprendere le ostilità. Più che convivenza parlerei piuttosto di una vera e propria relazione amorosa.

Lost sta a Kant come Game of Thrones sta a Machiavelli, ce lo può spiegare?

Non c’è una proporzione perfetta. Il libro racconta anche esperimenti diversi. Abbiamo così immaginato Kant a risolvere gli enigmi di Lost, oppure, nel caso di Machiavelli, abbiamo visto come un discorso fatto in Game of Thrones rispecchiasse perfettamente il suo pensiero.

Il libro non propone una regola unica, ma offre vari tipi di esperimenti. Come nell’insegnamento in generale, si tratta di cambiare continuamente stimolo per non far sopraggiungere l’abitudine e la noia, invitando piuttosto alla creatività.

Il web ha rivoluzionato il modo di insegnare? In peggio o in meglio?

Per me in meglio, perché offre nuovi scenari per applicare la filosofia. Io e i miei ragazzi ci abbiamo provato con una pagina Facebook “Scuola Pop. Filosofia e cultura di massa” dove si possono trovare i nostri esperimenti di “video performance” che hanno ottenuto un notevole seguito.

I ragazzi leggono sempre di meno: è un problema?

Se parliamo di “lettura” in generale, i ragazzi leggono e scrivono molto più di prima: sui social soprattutto e in generate in rete. Quella che è venuta meno è la qualità, certo, ma non darei solo la colpa ai giovani. È anche vero che si pubblica molto e male, senza la cura editoriale di una volta. È difficile trovare un buon romanzo o un buon saggio. Un altro problema infine: anche i bravi scrittori molto spesso sono poco attenti alle trasformazioni della stessa letteratura e del suo pubblico e scrivono un romanzo ottocentesco o un romanzo “sperimentale”, come quelli di Burroughs, per un pubblico del ventunesimo secolo. Con il risultato, spesso, dell’illeggibilità. Gli scrittori dovrebbero scrivere libri con la stessa potenza narrativa o con la stessa forza attrattiva di una delle nuove serie tv.

La magia di una buona serie e la bellezza della filosofia, è questa l’ultima frontiera dell’insegnamento?

Visti i risultati in termini di attenzione e partecipazione dei ragazzi, direi che siamo sulla buona strada.

Lei non si ferma alle serie tv. Il suo approccio “pop” si rivolgerà anche ai videogiochi?

Certo, ma anche e soprattutto a ciò che si può creare all’interno dei diversi social network come veri e propri ambienti di apprendimento.

È nato nel 1980, è un professore giovane. Luciano De Crescenzo l’ha mai letto?

È stato uno dei miei primi libri di filosofia! Me lo consigliò mia madre. De Crescenzo è stato all’epoca geniale. Ma ora ci sono le nuove serie tv e, come mi piace ripetere, non possiamo stare “solo” a guardare.


di Michele Di Lollo