2019: l’Odissea dei primari

giovedì 19 settembre 2019


Una chiacchierata a 360 gradi con Biagio Papotto che, in virtù della sua esperienza come direttore di Struttura complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione, con posti letto e due ambulatori, uno nell’Ospedale di Santa Marta e Santa Venera ad Acireale (Catania) e l’altro nell’Ospedale San Giovanni e Sant’Isidoro di Dio di Giarre (Catania), e come segretario nazionale generale della Cisl Medici, ha il privilegio di avere punti di osservazione diversificati per analizzare alcune delle problematiche relative al ruolo di dirigente nel Servizio sanitario nazionale.

Ha studiato medicina per fare il medico oppure il burocrate?

Ritengo doverosa una premessa: sono un clinico ma ovviamente sono chiamato anche a svolgere attività organizzativa nella mia azienda. In questi momenti di managerialità a volte ho nostalgia del camice bianco, ma questa nostalgia non mi distoglie dal prestare la massima attenzione alle attività ed alle problematiche che devo affrontare in questo mio ruolo, con in più quello che personalmente ritengo sia un valore aggiunto: ho passato 35 anni della mia vita in corsia. So bene cosa significa. Conosco altrettanto bene l’evoluzione della figura del medico, e del primario in particolare, che è avvenuta in questi decenni. Una percentuale importante della attività giornaliera di un medico è consumata in burocrazia. Nel caso poi di un direttore di struttura complessa, quelli che una volta si chiamavano primari, il tempo dedicato alla attività amministrativa e non alla attività clinica di diagnosi e cura diventa estremamente elevato. Tra gli obblighi la predisposizione dei turni di servizio, che sebbene a volte delegati ad altri, necessitano comunque dell’avallo della figura apicale anche come garante supervisore per dirimere eventuali conflittualità derivanti da esigenze variamente rappresentate dai singoli dirigenti afferenti alla struttura. Inoltre al direttore di struttura complessa spetta l’esercizio del controllo sulle ferie, la loro distribuzione, il monitoraggio del debito orario che non deve mai essere superiore a quanto stabilito dalla normativa vigente altrimenti insorgono l’Europa e l’Ispettorato del lavoro. Inoltre, con o senza attribuzione di deleghe, deve controllare le schede di dimissione ospedaliera che hanno una diretta conseguenza di tipo contabile ed amministrativo, verificare il corretto riscontro relativamente alle prestazioni ambulatoriali eseguite ed anche questo ha ricadute contabili, monitorare l’insieme delle attività della struttura diretta e ciò ai fini della verifica e rendicontazione della produttività altrimenti ne deriverebbe un potenziale danno contabile che l’Azienda andrebbe a riversare sulla figura del primario.

Fossero solo queste le incombenze a carico di un direttore di struttura complessa? Probabilmente non ci sarebbe molto di cui lamentarsi. Ma in realtà, a sentire gli umori anche all’interno delle società scientifiche e delle associazioni e collegi raggruppanti le diverse figure apicali, avverte la sensazione di trovarsi di fronte ad un’autentica e dannosa involuzione del sistema?

Risparmiamoci la parte di delegato al rispetto della normativa antifumo, la delega alla privacy e torniamo alla attività amministrativa di reparto. Le cartelle cliniche devono contenere tutti i moduli di consenso informato debitamente compilati e sottoscritti, l’esame obiettivo, i diari giornalieri compilati e firmati, le copie dei già citati file “F” e l’esatta corrispondenza tra quanto erogato e quanto erogabile alla luce dei Drg, orribile acronimo che sta per Diagnosis related group, raggruppamento omogeneo di diagnosi. Un sistema che permette di classificare tutti i pazienti dimessi da un ospedale in gruppi omogenei per assorbimento di risorse impegnate. Vogliamo entrare poi nel sistema qualità, almeno laddove attivato in maniera concreta e non come slogan in nome del quale tutto è bello e utile oppure brutto e superfluo? E poi l’obbligo di partecipare alle riunioni di dipartimento, delle infinite commissioni aziendali, del collegio di direzione, del consiglio dei sanitari se hai pure avuto, ma questo è masochismo, la malsana idea di mettere a disposizione dell’azienda la tua esperienza e, magari fosse anche per sublimazione, ti sei cimentato nella specifica competizione elettorale. Poi tutte le situazioni connesse al benessere ambientale ed organizzativo, che, peraltro, sono argomento di verifica da parte del collegio tecnico ai fini della conferma o meno del ruolo di direttore così come detta il contratto collettivo nazionale. E, infine, tutte le relazioni da stendere dietro richiesta della direzione strategica. In effetti le incombenze sono tante.

Vabbè ma di tempo per visitare un paziente in carne ed ossa quanto ne avanza?

L’informatica ci ha facilitato la vita in molti ospedali. Ed ora tutto passa dalla via elettronica, dalla richiesta di una Tc o di una Rmn, all’impegnativa per un paziente, e tutto questo usando una firma digitale, un codice identificativo e facendo auspici che la tecnologia non ti molli all’improvviso. Se poi si blocca il computer magari riusciamo pure a visitare il paziente, salvo doverne in seguito cercare un altro, di computer intendo non di paziente, per completare gli adempimenti burocratici connessi e successivi alla attività di diagnosi e cura. Però, non sarei così pessimista. Quando sai fare il medico, quando sai essere medico, non è che all’improvviso regredisci e ti trasformi in qualcosa di diverso. Certo, la sfiducia è tanta. Spesso c’è il rischio di disamorarsi verso questa professione che però è pur sempre unica, ineguagliabile per le soddisfazioni umane che può dare.

Manager o burocrate? Oppure, peggio ancora, manager e burocrate. Non sarebbe opportuno trasferire almeno alcune di queste attività a figure amministrative e consentire al medico di fare il medico?

In effetti, molte attività oggi a carico di un direttore di Struttura complessa potrebbero essere affidate ad un funzionario amministrativo e costerebbero molto meno visto che questa figura dirigenziale costa ad una azienda molto di più rispetto ad un impiegato. Però, tra gelosie professionali, blocco delle assunzioni, mentalità del tipo “per quello che mi pagano è pure troppo quello che faccio” il sistema rischia di andare allo sbando. Il vero nodo però è l’impoverimento anche numerico del numero di personale amministrativo anche a seguito del blocco del turnover avvenuto specialmente nelle Regioni sottoposte a piani di rientro. Comunque, l’attuale contratto dei medici, che è stato fermo per oltre dieci anni, e che è stato firmato con la pre-intesa anche se ancora non è esigibile, è orientato verso una separazione tra ruolo clinico e ruolo gestionale e questa potrebbe essere una chance specie se unita ad un forte piano di assunzione e di ringiovanimento.

Quindi mi conferma che ci troviamo di fronte ad una autentica e dannosa involuzione del sistema?

Vorremmo conservare ed affinare le nostre capacità professionali affinché non venga svilito l’aspetto più significativo della scienza medica che è la potestà di diagnosi, cura e riabilitazione. Purtroppo il nostro Servizio sanitario nazionale è strutturato in maniera tale che il medico, specialmente il direttore di Struttura complessa, è sempre più costretto a farsi carico di compiti ed incombenze di tipo gestionale o pseudotali ed a passare un tempo ridotto in corsia, a letto del malato o in sala operatoria.

C’è ovviamente anche tra le figure apicali chi pensa che per contribuire in maniera significativa al corretto funzionamento del sistema e fare in modo che ne derivi un concreto miglioramento in termini di salute pubblica, sia necessario un impegno a 360 gradi della figura medica in quanto professionista in possesso di un patrimonio di competenze e di conoscenze tecniche tali da poter orientare processi e procedure a vantaggio di tutti gli stakeholder, ovvero i portatori di interesse a cominciare dai singoli.

C’è anche chi tra le figure apicali ritiene che il Sistema sanitario non sia semplicemente un costo bensì una grande opportunità e si sta impegnando per trasformarlo in un fattore di produzione non soltanto di salute, ma anche economico, potenziandone la capacità di essere scuola di innovazione e sviluppo, luogo di confronto, analisi ed elaborazione di conoscenze, di fundraising ed Attract financing. Penso alle sempre più frequenti collaborazioni con l’industria farmaceutica, alla registrazione di brevetti e non certo ad aspetti malevoli dove possono definirsi profili di responsabilità conseguenti ad azioni censurabili sia da un punto di vista etico che giudiziario.

Mi dispiace averla contaminata con questi termini anglofoni così frequenti nel nostro lessico. Al breakfast preferisco ancora il cappuccino e cornetto o meglio ancora una granita con la brioche come da noi in Sicilia. È indubbio che in un Paese come il nostro, che esprime bassi valori di crescita economica ed elevate percentuali di disoccupazione, in un Paese dove i nostri medici giovani sono in fuga verso l’estero per le motivazioni a noi tutti note, il sistema sanitario italiano, oltre al doveroso ruolo di tutela della salute pubblica, deve diventare un volano per lo sviluppo economico e per la crescita occupazionale. Altrimenti, potremo dire addio al Servizio sanitario che abbiamo conosciuto a tutt’oggi, con le sue caratteristiche di universalità.

È innegabile che l’essenza stessa della burocratizzazione appaia essere intrinseca nella definizione di direttore di Struttura complessa rispetto alla vecchia definizione di primario. Si usa però il termine direttore come negli uffici postali, nelle agenzie delle entrate, nelle banche, nelle sale dei ristoranti stellati.

Si, è innegabile. Bisognerebbe rivalutare il ruolo professionale, riprendere il fonendoscopio e i testi di medicina, rimettersi addosso il camice bianco e quello verde, riconfermare le nostre capacità professionali, porre in secondo piano gli aspetti manageriali. In un mondo di leadership diffusa, o meglio dove c’è l’apparenza di una leadership diffusa, ritengo che sarà molto più importante riuscire ad essere ottimi ed onesti medici, e a farsi riconoscere come tali dalla collettività, piuttosto che diventare bravi burocrati e affogare tra le carte.

@vanessaseffer


di Vanessa Seffer