Sono negazionista

venerdì 4 settembre 2020


Sono negazionista. Nego, in primo luogo, l’emergenza Covid e non – ovviamente – la pandemia in sé, innegabile ed evidente. Il termine, usato in senso sarcastico–dispregiativo dai tanti seguaci del pensiero unico, richiama, in modo subdolo e subliminale, la negazione della Shoah o magari altre consimili, ascrivibili a ignoranza o malafede (per esempio, la negazione della rotondità dell’orbe terracqueo dei “terrapiattisti”). Prescindiamo pure dal fatto che molti dei dileggiatori di professione hanno negato per tanto tempo la storia delle foibe istriane e negano tuttora o fingono di ignorare gli attualissimi laogai cinesi; ma il punto è un altro:

1) L’emergenza italiana è l’unica al mondo.

2) La letteratura scientifica più accreditata nega la persistente letalità del virus.

3) Non è un mistero che l’unico Paese al mondo ad aver dichiarato l’equivalente di uno “stato di guerra” (inesistente), in proroga fino a ottobre, conferendo poteri speciali anticostituzionali al presidente del Consiglio, è l’Italia. Non è un mistero, ma è una verità ben nascosta. E la favola del “negazionismo” costituisce un’arma di distrazione di massa, diretta per l’appunto a nasconderla.

4) Si sono levate autorevolissime voci di grandi uomini di scienza (se ne citano solo alcuni: Luc Montagnier, Giulio Tarro, Giuseppe Remuzzi, Alberto Zangrillo, Matteo Bassetti, Maria Rita Gismondo) che confermano, in varia guisa, due verità di fondo: 1 – che il virus (tutti i virus, anche il Coronavirus) depotenzia la sua carica virale nel tempo, per il fatto stesso di propagarsi; 2 – che gli anticorpi umani costituiscono la più importante difesa contro il virus e, grazie a Dio, questa difesa non è affidata al governo Conte, ma alla natura, che provvede all’immunità di gregge. Il profano, come me, ci capisce poco – non meno tuttavia dei “virologi” delle mitiche 15 task forces governative – ma osserva che queste due leggi scientifiche trovano mille conferme. Basta chiedersi come mai non si è verificato lo sterminio di massa in Svezia, il cui governo di sinistra (non un governo Matteo Salvini, Giorgia Meloni o Silvio Berlusconi, che avrebbe certamente ammassato i cadaveri nelle fosse comuni delle spiagge italiane) ha rifiutato – ossia negato – qualsivoglia misura emergenziale, lockdown o quarantena di massa che sia. E’ possibile che questo governo “negazionista” abbia scelto la strada giusta o comunque più sensata di quella degli arresti domiciliari generalizzati o della mascherina notturna?

Sono negazionista. Nego gran parte delle “emergenze” italiane. In Italia è tutta un’emergenza. E la particolarità dell’emergenza italiana è la sua eternità. Il rimedio emergenziale al pericolo emergente sopravvive all’emergenza stessa. Lo schema tipico è il seguente: la cosiddetta “opinione pubblica”, bombardata dai tanti messaggi mediatici che amplificano il pericolo connesso a un fatto o più fatti di cronaca, invoca o forse no – ma qualcuno la sente invocare – l’intervento pubblico; il governo di turno, sorretto come sempre dalla stampa compiacente, annuncia i suoi drastici rimedi all’emergenza, i quali per essere appunto drastici e risolutivi devono cambiare lo status quo ante. E il cambiamento non può consistere in atti amministrativi, regolati dalle leggi in vigore; sarebbe poca cosa. Per essere drastico e decisivo, deve consistere almeno in una nuova legge, meglio se due o tre; e ovviamente deve trattarsi di legge “speciale”. Sicché le nuove leggi, sempre “speciali”, si affastellano in un unico calderone nel quale sopravvivono le vecchie. Con questo criterio abbiamo creato un monstrum di 200mila leggi. Primato mondiale!

Il criterio non è cambiato per il Coronavirus, con la variante – e al contempo aggravante – che la nuova “legge” ha forma di Dpcm. Ha forma amministrativa, ma sostanza di legge. E dunque Il ragionamento rimane valido, nella misura in cui il Dpcm contiene norme generali che regolano la vita di tutti gli italiani. Ebbene le “emergenze” italiane, assunte a fondamento giustificativo di leggi speciali, producono eccezioni e strappi durevoli e definitivi alle regole generali. Per esempio, la presunta emergenza corruzione (in verità diffusa in tutto il mondo) ha ispirato norme penali liberticide, con sanzioni afflittive pesantissime irrogate prima dell’accertamento di reità; nonché un codice degli appalti, che erige a sistema il sospetto generalizzato e paralizza le opere pubbliche. Con l’attuale “emergenza” Covid gli italiani rischiano di dovere sopportare, chissà per quanti anni ancora e ben oltre la persistenza del pericolo reale: il “distanziamento sociale”; la scuola pubblica chiusa a ogni piccolo colpo di tosse di un alunno; gli uffici pubblici non aperti al pubblico; restrizioni ai viaggi; controlli di polizia sulla propria persona; divieti di riunioni; chiusura dei locali.

Sono negazionista. Nego l’assoluto della prevenzione. Questa seducente parola è molto insidiosa. Dietro la smania di prevenire tutti i pericoli della vita si cela in verità il pensiero utopistico. Il principio di realtà impone di accettare la limitatezza e l’imperfezione della condizione umana. Ciò comporta la necessaria “convivenza” con il pericolo. Il rischio zero non esiste. Per la verità, nessuno ammette di credere nella totale immunità dal rischio, tuttavia gli utopisti, mentre non lo ammettono esplicitamente, coltivano implicitamente l’erratissima idea e la scellerata ambizione di eliminare il pericolo. Accanto agli utopisti siedono alcuni interessati pragmatisti, che “campano” sulla prevenzione. Vi dice niente il fatto che le case farmaceutiche di tutto il mondo hanno investito immense risorse nella ricerca del vaccino? Non credo che il loro interesse alla salute pubblica coincida perfettamente con quello di ognuno di noi alla propria salute psico-fisica.

Ciò posto, è chiaro che la nostra vita di relazione non deve essere sacrificata all’innaturale commistione dell’utopismo col pragmatismo interessato, perseguendo l’insano scopo di eliminare ogni rischio. Si tratta invece di scegliere la strada migliore per “convivere” con quei pericoli che sono ineliminabili. E il pericolo virus è uno di questi, come lo è il pericolo “corruzione” (per tornare all’esempio di poc’anzi). L’assolutismo della prevenzione è un errore logico, in quanto sono irrealizzabili i suoi fini; consiste anche in un “peccato” di presunzione, perché “divinizza” i rimedi umani ai mali di questa terra. Il pericolo della seconda ondata (del Covid) non deve paralizzare la nostra vita, ma dobbiamo convivere con la possibile seconda, terza e quarta ondata, di questo virus o qualsiasi altro consimile.

Sono negazionista. Nego l’opportunità politica dell’assistenza sociale generalizzata. Il sociologo Luca Ricolfi ha evidenziato che ci avviamo a grandi passi verso la società parassitaria di massa, per effetto – non solo, ma in gran parte – delle misure “emergenziali” (anticovid) di questo governo. Il lavoro viene impedito o comunque ostacolato in mille modi; in compenso aumenta la platea degli assistiti. Al reddito di cittadinanza si affiancano ora varie tipologie di sussidi e fantasiosi bonus. Ovviamente, l’assistenza “emergenziale” è destinata, come dicevamo, a durare ben oltre l’emergenza; sia per le ragioni anzidette, sia per la ragione ulteriore che il beneficiario dell’assistenza non desidera perdere la sua quota parte, piccola o grande che sia. Non è necessario alcun commento; ci limitiamo a una piccola chiosa: ogni risorsa utilizzata nella sfera assistenziale è sottratta alla sfera della produttività.

Sono negazionista. Nego la nuova religione scientista.

La scienza nulla può dire in relazione alla tavola e alla gerarchia dei fini. La scelta dei valori attiene all’ambito etico e a quello politico. La scienza è un bene strumentale a disposizione dell’uomo per raggiungere i suoi fini, ma non determina i fini da scegliere. Ciò significa che il governo Conte, celandosi dietro la scienza delle varie task forces, è venuto meno al suo stesso compito. Ma c’è di più. Nel caso concreto, la “scienza” a supporto del governo si è dimostrata una patacca di infima qualità. Era prevedibile, dal momento che sono stati insigniti di chiara fama in “virologia” persone che in vita loro non hanno visto, nemmeno per un istante, una provetta di laboratorio o una corsia d’ospedale. Sicché la loro infallibile scienza è entrata in contraddizione con quella dei veri studiosi, italiani e stranieri. Ma seppure il comitato tecnico–scientifico del governo Conte fosse il migliore possibile, comunque non sarebbe accettabile l’estromissione della politica. La norma giuridica che regola la convivenza sociale deve compensare e rendere compatibili i vari interessi umani in conflitto; al contrario, lo scienziato ha un punto di osservazione con oggetto monistico; il suo sapere è limitato a un solo oggetto di interesse; egli non può che assolutizzare quell’interesse. Il risultato della delega di Conte ai grandi scienziati della task force è sotto gli occhi di tutti: non sappiamo se le misure anticovid abbiano impedito che qualcuno si ammalasse di broncopolmonite; in compenso, sappiamo per certo che molte persone sono morte, perché non hanno ricevuto assistenza ospedaliera (per tutte le altre patologie); alcune si sono suicidate per i rovesci economici; sono aumentate a dismisura i casi di sindromi depressive; l’economia italiana ha subito un tracollo irrimediabile; le relazioni sociali sono state frantumate.

Vogliamo poi aggiungere che, su scala mondiale, le grandi profezie “scientifiche” dell’era moderna si sono rivelate non dissimili da quelle dei Maya? Tutte smentite dai fatti: dal buco dell’ozono alla desertificazione del pianeta; dall’innalzamento dei mari, con allagamento delle città costiere, all’aumento della temperatura su basi antropiche. Il consesso dei grandi scienziati pare ispirarsi all’inclita dottrina della fanciulla Greta. Una ragione in più, per diffidare, non già della vera scienza, bensì dello “scientismo”.

Sono negazionista. Nego la subordinazione gerarchica della libertà individuale al bene comune.

I nostri tutori si preoccupano tanto della nostra felicità globale, da sacrificare – per necessità s’intende – la nostra libertà individuale al bene superiore della salute pubblica. Non nego che possano tollerarsi ridimensionamenti, limitati nel tempo e nella consistenza, della libertà individuale; nego tuttavia un rapporto meccanico di subordinazione gerarchica tra il bene individuale e collettivo. Il benessere sociale è la somma delle mille condizioni individuali di benessere; come il bisogno sociale è la risultante dei mille bisogni individuali. Per tale ragione, la libertà individuale costituisce un valore primario, di pari rango rispetto ai beni della collettività. Nella vicenda del Coronavirus si è ampiamente superato il limite di tollerabilità del sacrificio individuale. La libertà di movimento, il diritto di culto religioso, di associazione sono stati sacrificati arbitrariamente. E si continua a “legiferare”, invadendo la sfera privatissima della persona. Basti pensare che si impone la mascherina anche al camminatore solitario, che non può contagiare o essere contagiato da chicchessia.

Sono negazionista. Nego che la paura debba prevalere sulla gioia di vivere.

La convivenza umana impone, come s’è detto, una serie di regole che tendono a comporre interessi in conflitto. Conseguentemente I giusti principi che presiedono alla convivenza sociale non devono essere declinati in termini assoluti e rigidi. Il principio di precauzione non può essere portato fino alle estreme conseguenze, tanto da far prevalere sempre e comunque la paura sulla voglia di vivere. La paura del contagio impone il distanziamento da chicchessia, giacché ognuno di noi è un potenziale “untore”. E l’untore numero uno è – come dice il “grande” Roberto Burioni – il bambino, che è immune, ma contagia. Impedire al bambino di socializzare, toccare le persone e le cose, equivale a bloccare la sua crescita. Ci si vuole spingere fino a questo punto, in nome della sicurezza? Come la paura, che deforma il giusto principio di precauzione, non deve prevalere sulla necessità fisiologica del bambino di crescere e imparare, così non deve impedire agli adulti di manifestare la gioia di vivere. Anche vivaddio nelle occasioni conviviali e negli “assembramenti”, che non sono necessariamente “adunate sediziose”.

Sono negazionista. Nego la virtù della moderazione in materia di libertà individuale.

In linea di massima la moderazione è una virtù, in quanto espressione di tolleranza e inclinazione all’ascolto. Esistono tuttavia valori non negoziabili, rispetto ai quali la “mediazione” non ha alcun senso. Per un liberale, la libertà individuale non è “merce di scambio”, è un valore primario non negoziabile, il cui sacrifico può essere accettato solo in quanto sia necessario e proporzionato. Né la necessità, né la proporzione hanno caratterizzato e tuttora caratterizzano le misure anticovid, destinate purtroppo a permanere oltre il covid. A me pare che l’opposizione al governo, in questo frangente, sia stata e sia tuttora colpevolmente “moderata”. Nessuna voce, per esempio, si è levata contro l’immondo obbligo dell’autocertificazione o la chiusura dei luoghi di culto. Oggi in tutta Europa le piazze sono colme di oppositori a misure anticovid, molto meno restrittive che in Italia. Nel nostro amato Paese, al massimo della negazione della libertà, corrisponde il minimo livello di protesta politica e sociale. È venuto il momento di negare la moderazione.


di Michele Gelardi