Violenza su donne e bambini: cercasi fatti e non parole

Il 22 novembre di ogni anno si celebra la Giornata internazionale sui diritti dell’infanzia ed il 25 novembre la Giornata mondiale contro la violenza sulle Donne. Conseguentemente, per circa una settimana i media tengono il focus sulla violenza nei confronti di donne e bambini. Ma dopo? Cosa resta delle altisonanti parole espresse in più occasioni dai rappresentanti istituzionali? Restano i dati allarmanti di violenze su questi soggetti vulnerabili. Il fenomeno è in crescita e durante il lockdown i dati sono raddoppiati, come era inevitabile, nel silenzio assoluto di tutti, anche e soprattutto dei paladini che il 22 ed il 25 novembre si posizionano sotto i riflettori. Secondo gli operatori dei Centri contro la violenza, durante i primi giorni del lockdown, a marzo, il silenzio è stato assordante in quanto la situazione nelle famiglie disfunzionali era così difficile, per le vittime, che non riuscivano neppure a fare una telefonata. Poi il telefono ha squillato e si è avuta “la dimensione della nostra impotenza, a chiamare era una donna che era dovuta fuggire da casa perché rischiava la vita. Era nella piazzola di un distributore di benzina e non sapeva dove andare. Le strutture di prima accoglienza, a causa del lockdown, non potevano far entrare nuove ospiti. Il nostro centro era chiuso alle persone esterne. Gli spostamenti tra comuni erano vietati. Dopo un pomeriggio al telefono con case rifugio e forze dell’ordine siamo riuscite ad accordarci con la questura ed è andata lì. Ma una volta arrivata abbiamo perso tutti i contatti”.

Dal rapporto 2020 di ActionAid sul sistema antiviolenza in Italia, apprendiamo che il caso raccontato non è isolato e che le richieste di aiuto al numero antiviolenza 1522 sono state più del doppio nello stesso periodo del 2019 (+119,6 per cento). Una strage annunciata, se si pensa a quanto abbiano inciso i cronici ritardi nei finanziamenti e la mancanza di un coordinamento tra le istituzioni sui territori. Al 15 ottobre, data di chiusura del rapporto, le Regioni dovevano ancora erogare il 28 per cento dei finanziamenti per il 2015-2016, il 33 per cento di quelli del 2017, il 61 per cento di quelli per il 2018. E il 90 per cento dei fondi stanziati per il 2019. Ma i centri li hanno già spesi. Solo cinque Regioni hanno iniziato a trasferire i fondi dell’anno scorso e solo parzialmente: Abruzzo, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia, Molise e Veneto. Il dipartimento delle Pari opportunità, infine, non ha ancora firmato il decreto per stanziare i 28 milioni di euro previsti per il 2020. I fondi straordinari non sono arrivati a tutti i centri.

Secondo ActionAid, molti centri sono stati costretti a sospendere gli stipendi delle operatrici e a cercare fondi esterni per comprare mascherine e guanti (distribuiti solo in pochissimi casi dalle istituzioni locali). Non hanno avuto la possibilità di accedere ai tamponi necessari per far entrare le donne nei rifugi, si sono trovati senza spazi adeguati alle quarantene cautelative delle donne e dei bambini soccorsi e addirittura, in alcuni casi, hanno dovuto pagare extra alloggi per chi aveva necessità di immediata protezione dagli uomini violenti. Anche il “Codice Rosa”, il triage nei pronto soccorso per le possibili vittime di violenza, che consente di ricoverarle in ospedale per 24 ore in attesa di trovare una struttura di accoglienza, è crollato dinanzi alla crisi sanitaria del Covid–19.

Secondo i dati Istat, durante il lockdown sono state 5.031 le telefonate valide al 1522, il 73 per cento in più sullo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2.013 (+59 per cento). Il 45,3 per cento delle vittime ha paura per la propria incolumità o di morire; il 72,8 per cento non denuncia il reato subito. Nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64,1 per cento si riportano anche casi di violenza assistita. I motivi principali di chiamata al numero di pubblica utilità̀ sono le richieste di aiuto da parte delle vittime della violenza (35,9% nel 2020) e dello stalking (4,1 per cento). Se questo è lo stato di inefficienza allarmante in cui versa la rete di protezione delle donne vittime di violenza, sul versante della tutela dei minori la situazione è ancora più grave. Basta analizzare i risultati dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia redatto dal Cesvi (Cooperazione e sviluppo). L’indice analizza la vulnerabilità al fenomeno del maltrattamento dei bambini nelle singole Regioni attraverso l’analisi dei fattori di rischio presenti e della capacità delle Amministrazioni locali di prevenire e contrastare il fenomeno tramite i servizi offerti. Si conferma l’elevata criticità dei territori del Sud Italia, che rispetto alla media nazionale registrano peggioramenti sia tra i fattori di rischio che tra i servizi, pur con diversi livelli di intensità: le ultime quattro posizioni dell’Indice sono occupate da Campania (20°) Calabria (19°), Sicilia (18°) e Puglia (17°). Le Regioni ai primi posti sono: l’Emilia-Romagna, il Trentino-Alto Adige (2°), Friuli-Venezia Giulia e Veneto al terzo e quarto posto, e Toscana, in quinta posizione.

Andiamo al cuore dell’Italia: il Lazio, che occupa la quattordicesima posizione e viene inserita tra le Regioni “a elevata criticità”, ovvero quei territori nei quali, a fronte di un’elevata criticità ambientale, rappresentata da fattori di rischio elevati, non corrisponde una reazione del sistema dei servizi, rimasti invece al di sotto della media nazionale.  A questo punto sembrano essenziali interventi strutturali a tutela delle persone vulnerabili, di tutte quelle persone che vengono lasciate sole o addirittura in casa con il loro carnefice. Queste persone vanno aiutate a scappare dalla situazione di pericolo in cui versano.

La vera emergenza è la crisi della rete di protezione. Non per il personale, che anzi ha retto con la forza di un leone, ma per la burocrazia che inceppa tutti i meccanismi, per la corruzione che erode le risorse dei servizi sociali – poco attenzionati dai mass media e poco conosciuti al di fuori degli adepti del settore – e per la mancanza di interventi strutturali e lungimiranti. La violenza non è più un’emergenza ma un fenomeno con cui fare i conti, un fenomeno da mappare in tutta Italia e da risolvere con politiche strutturali e di lunga durata. A questa sfida sono chiamati il Governo e tutti gli Enti territoriali e, ovviamente, tutti i Garanti dell’infanzia, il cui silenzio è stato assordante come quello delle vittime che non sono riuscite neppure a denunciare gli abusi subiti.

Aggiornato il 30 novembre 2020 alle ore 12:03